• Dal punto di vista predicativo, il Buddha utilizzò paragoni, similitudini e metafore per consentire agli ascoltatori di comprendere il "Dharma, che è profondo, difficile da realizzare, difficile da capire, non può essere afferrato con la mera logica, ed è sottile e comprensibile solo dai saggi". E, senza queste figurative immagini, l’ascoltatore può avere difficoltà nel comprendere il significato di questi suoi insegnamenti. • Dal punto di vista letterario, queste immagini figurative usate dal Buddha, servivano per rendere familiari i poco noti e poco familiari Upamana, cioè gli ignoti oggetti astratti. Quindi, gli Upamana, a volte erano presentati per illuminare ed abbellire l'oggetto del paragone e, talvolta, vividamente presente davanti a noi come non-familiare. In breve, possiamo dire che similitudini (e metafore) rendono più concrete la maggior parte delle cose astratte. (fonte) • Quando, secondo una convenzione mondana, si parla di un ‘sé’, non lo si dice dal punto di vista del significato supremo e reale. Per questo motivo, anche se i Dharma sono vuoti e privi di un ‘sé’, non c’è alcun errore nel parlare di un "io" semplicemente prendendo in considerazione i dettami della convenzione mondana. (fonte) Le persone equiparano ciò che il Buddha ha detto e fatto, e chiamano tutto ciò buddhismo. In realtà, ciò che il Buddha disse e fece, e che successivamente fu scritto e tradotto nei sutra, fu di riunire insieme un gruppo di parole che erano già in vigore come fenomeni nascosti agli altri dal mondo del samsara. In un certo senso, non è stato davvero molto diverso da quello che ha fatto Albert Einstein quando scrisse la Teoria della Relatività generale e Relatività speciale. Einstein non creò un sistema di leggi dominanti, forzando poi la natura a seguirle, ma invece, 'intuitivamente rappresentò' ciò che era in vigore come eventi già esistenti, e quindi scrisse le sue teorie per adattarvisi di conseguenza. Non per offendere le 10.000 cose, ma per mancanza di un più profondo discorso, al limite, ciò che l’Illuminazione di Sakyamuni fece è stato di risvegliarlo alla verità del Vuoto, cioè alla Vacuità. Cioè, al fatto che tutte le cose sono intrinsecamente vuote... il che va di pari passo con ciò che, per lo più, è chiamata ‘Originazione-Dipendente’, o ‘Sorgere a causa delle Condizioni’. Inoltre, tutte le parole che sono semplicemente scritte o parlate danno espressione ad una sintassi verbale riguardo ai fenomeni esistenti per coloro che sono interessati ad ottenere una qualche comprensione dell’Illuminazione, come Esperienza del Risveglio.
Quando si parla di Einstein e del Buddha, e di ciò che essi fecero, non bisogna confondere le due questioni. Essi furono piuttosto diversi. Gli sforzi di Einstein sono stati un prodotto dell'intelletto umano, mentre nel Buddha non fu così. Vero, il conscio intelletto di tutti i giorni può aver guidato alla spinta iniziale anche Shakyamuni, ma alla fine le teorie di Einstein furono espresse e condivise esclusivamente attraverso processi del pensiero e del linguaggio, linguaggio matematico, ma tuttavia sempre un linguaggio. Se il Risveglio di Shakyamuni fosse stato nient’altro che una intellettuale costruzione mentale applicata su una "Legge di Natura", che aspettava solo di essere scoperta dalla prima persona che gli fosse capitato, qualsiasi comune persona razionale, utilizzando l’intelletto logico, potrebbe "imparare" a Risvegliarsi, allo stesso modo di come essa può "imparare" la teoria della relatività di Einstein. Ma tale non sembra essere il caso, tuttavia. Se le nostre menti hanno creato il dualismo, esse dovrebbero essere in grado anche di distruggerlo, o di destrutturarlo. Questo non è un deviante trucco intellettuale che pretende di risolvere il problema logicamente, mentre invece lascia la nostra angoscia profonda come prima. (fonte) >Il Maestro di Dharma Ch'ung-yuan chiese, "Che cos'è il Vuoto? Se mi dici che esiste, allora implichi che esso è resistente e solido. Se tu dici che è qualcosa che non esiste, allora perché lo indichi come un aiuto?" Shen-hui rispose, "Uno parla del Vuoto per il beneficio di coloro che non hanno visto la loro propria natura di Buddha. Per coloro che hanno visto la loro Buddha-natura il Vuoto non esiste". Se vi fosse una cosa simile come un recinto, in cui da una parte si trovano quelli non-Illuminati e, dall'altra, quelli Illuminati, allora quelli sul lato non-Illuminato, cercando di attraversare, sarebbero molto assistiti nel tentativo di assimilare dentro il loro essere, come una seconda natura, le Quattro Nobili Verità ed il Nobile Ottuplice Sentiero. Una volta che fossero passati attraverso le Quattro e gli Otto, non ne avrebbero più bisogno, e neanche di esistere. Lo stesso vale per tutto. Nel corso dei secoli, le persone hanno inventato diverse strade per ottenere l’Illuminazione, da quelle tradizionali fino allo Zen, ma il risultato finale, una volta sperimentato, è lo stesso. Lo Zen rende più breve il percorso sforzandosi di provocare l’esperienza illuminante al di fuori delle Scritture, che è una forma di approccio concreto, non astratto e diretto fino all’osso di Illuminazione. La Via Zen, che sia veloce, immediata o graduale, si basa sulle intuizioni del Buddha stesso, prima che diventassero troppo iper-gravate dalle Scritture. Una persona che cerca l'esperienza Zen deve in qualche modo arrivare a riconoscere le stesse intuizioni che Siddharta Gautama sperimentò quando si risvegliò per diventare il Buddha, e che più tardi a loro volta, dettero origine alle Scritture. Se l’Illuminazione non esce fuori, allora la cosa migliore è di crearne le basi. Prima della sua esperienza di Illuminazione sotto l'Albero del Bodhi, il Buddha provò molte, molte diverse cose nel suo tentativo di 'incrociarla'. E, dopo il suo Risveglio, egli potè vedere ciò che era di vantaggio e ciò che non lo era. Che poi è quello che egli ha cercato di mettere in parole per i suoi seguaci. Ecco come hanno messo radici le Quattro Nobili Verità ed il Nobile Ottuplice Sentiero. Un antico detto dice: “Noi siamo il prodotto di ciò che siamo stati; e saremo il prodotto di ciò che siamo”. Un testo Pali, chiamato ‘Anguttara’ dice ancor più: "Non può accadere che il frutto di un atto ben fatto di corpo, parola, e pensiero, dovrebbe avere come risultato qualcosa che è sgradevole, odioso, o distastroso. Ma che esso potrebbe essere altrimenti è del tutto possibile". --------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- Sotto il sole la gente continua a chiacchierare di tutto e di più, e la maggior parte delle persone non aggiunge molto a quel nulla. Le persone si chiedono, "Perché io devo fare qualcosa? Hui-neng, il sesto patriarca, mentre da giovane badava ai suoi affari vendendo legna per sua madre, ascoltò per caso una strofa del Sutra del Diamante e fu subito risvegliato. Sri Ramana Maharishi, che non si interessava mai a niente di formale, si risvegliò tutto da solo all'Assoluto, quindi perché preoccuparsi di fare qualche cosa?". Non è certo sbagliato. In realtà, è un buon motivo, ma racchiuso nei migliori vestiti del samsara. La risposta più rapida, naturalmente, è che non è necessario. Ma, se al riguardo una persona ha voglia di fare qualcosa? L'esperienza di Illuminazione è preordinata o predestinata? O una persona può, di sua spontanea volontà, perseguire o esercitare un'influenza sul risultato?. Se una persona passa sulle rotaie mentre arriva un treno e viene uccisa, poteva la stessa persona scegliere di non attraversare le rotaie mentre passava il treno e agire sulla scelta di non fare effettivamente così? E' il destino, il fato, il Karma? La maggior parte delle scuole di pensiero Indù e con base religiosa Indiana, specialmente quelle più antiche, credono e promuovono il concetto di un Karma che opera in linea retta, con le azioni del passato che influenzano il presente, e le azioni del presente che influenzano il futuro. Perciò, di conseguenza, lasciano poco spazio al libero arbitrio. Molte di queste interpretazioni hanno permeato la cultura ed il pensiero occidentale, così che il Karma ha finito per essere una sorta di concetto tipo "destino" o "fato". Tuttavia, il Karma opera più rigidamente secondo la visione buddhista, così come fu formulato dal Buddha, agendo più o meno come una sorta di reazione, con il momento presente che è formato sia dalle azioni del passato che del presente; e le azioni del presente che formano non solo il futuro ma anche lo stesso presente. Questo costante aprirsi all’input del presente nel processo di causalità rende possibile il libero arbitrio. Questa libertà è simboleggiata nell’immagine che i buddhisti usano per spiegare il processo: l'acqua che scorre. A volte il flusso del passato è così forte che si può fare poco se non di rimanere fermi, ma ci sono anche momenti in cui il flusso è abbastanza dolce per essere deviato in quasi tutte le direzioni. (fonte) "Il momento presente è formato sia dalle azioni del passato che del presente; le azioni del presente formano non solo il futuro ma anche il presente"… Tenendo conto di ciò, vi è questo assioma: “Essendo presente ‘questo’, quello sorge; senza di ‘questo’, quello non accade”. Che da testi pali e sanscriti è così elaborato: “(I risultati de)Le azioni non cessano, nemmeno dopo centinaia e migliaia di anni. Incontrando la giusta combinazione di condizioni e di tempo, esse danno i loro frutti”. Vasubandhu, il grande maestro indiano dell’Abhidharma, ha scritto: “Gli elementi materiali e mentali si succedono ininterrottamente gli uni agli altri, in una serie, una processione, che ha l’azione come causa originaria” Egli continua, e questa è la conclusione: “I successivi momenti di questa processione sono diversi; pertanto vi è una evoluzione o trasformazione di queste serie”. I momenti successivi sono differenti, così che essi non sono gli stessi. Se fossero gli stessi non sarebbero diversi. A livello sottile, le differenze sono praticamente impercettibili. A livello grossolano, le differenze si manifestano più facilmente. Prendete queste differenze e mettetele nel loro campo operativo delle condizioni e l'evoluzione o trasformazione si compongono da sole. Condizioni? Noi ora abbiamo le condizioni! Che diavolo sono le condizioni? Qui, la parola condizioni è un termine usato nel nostro contesto per tradurre dal sutra la parola sanscrita Pratyaya che letteralmente significa: "le pre-esistenti condizioni che consentono alle cause primarie di funzionare". Il che fondamentalmente significa che se le condizioni sono assenti, allora le cause sono impedite. Le condizioni sono il set, l’ambiente o il campo d’azione in cui gli atti o gli impulsi si svolgono. Esse inoltre possono essere rafforzate o diminuite da altre condizioni, o sostituite da altre condizioni, per accelerare o ritardare i risultati nel flusso di eventi. Il che significa che le condizioni possono, ma non necessariamente, essere fatte modificare. Esse sorgono prevalentemente su più vasta scala da cause originate in un lontano passato. Quando le condizioni si manifestano, per la maggior parte esse sono non definite, cioè, ‘indefinite’ o spente, nel senso che non possono creare o dare altre figurative risposte. Tuttavia, anche se sono trascorse, esse sono ancora estremamente potenti nell’imporre se stesse all'immediate circostanze in cui operano. Vale a dire: “Qualsiasi spostamento nel modo in cui le condizioni si muovono, in su o giù, o attraverso il flusso relativo alla causa impatterà il risultato derivante da tale causa”. Come lo si può sapere? Basta tornare sopra all’analogia di Einstein, in cui egli proprio 'intuitivamente lo capì'. Nel corso di migliaia e migliaia di anni, persone attente hanno visto sorgere sempre di più la stessa cosa ed hanno posto le parole-basi sui fenomeni osservati. Si veda inoltre David Hume, che similmente disse che la conoscenza non è ottenuta dal ragionamento a priori, ma deriva interamente dall’esperienza, quando scopriamo che qualsiasi particolare oggetto (o fenomeno) è costantemente congiunto l’uno con l'altro. Ancora, per illustrare: Due persone sono maestri giocolieri. Essi sono entrambi in grado di manipolare otto o dieci palle alla volta. Con molta pratica e perfetto tempismo ognuno dei giocatori è capace di lanciare la palla, a metà del gioco, dal mucchio di palle agli altri giocolieri senza sbagliare un colpo, passando le palle una alla volta all'altra persona, pur essendo a metà partita. Essi l’hanno sempre fatto per più di un'ora senza mai perdere. Stanno giocando da quindici minuti, quando si spengono le luci e vengono immersi dalla totale oscurità. L'unica cosa che si sa è che uno dei giocatori sbaglia un lancio. Ora egli è sotto di una palla e il contatore comincia a confondersi perché invece di dieci palle egli ora ne ha nove, mentre il suo avversario ne ha ancora dieci. Inoltre, il rumore della palle che cadono è inquietante e disturba la sua concentrazione. L'unica cosa che si può capire è che le palle sono tutte sul pavimento. All'inizio tutto era uguale tra i due giocatori, l'unica cosa che è cambiata sono le condizioni, cioè, le luci si sono spente, facendo sì che la loro partita fosse diversa da tutte le altre volte che essi avevano effettuato l'identico atto. Affinché essa potesse funzionare, però, avrebbero dovuto esservi "momenti" e "momenti successivi". Vasubandhu, citato prima, scrive di una successione di momenti, usando il plurale di ‘momento’, e suggerendo che i momenti sono costituiti da più di uno, con ‘momento’ che, in questo caso, sembra essere intercambiabile con ciò che normalmente è chiamato "il presente" o "adesso". Ma che cos’è il presente? Tutti dicono sempre "ora" quando devono dirlo ancora, perché il prima ‘ora’ è già sparito, ad infinitum. Beh, non si può trattenere l’acqua che scorre, ma se si devono usare le parole, il qui-ed-ora (il presente) è forse meglio descritto come ciò che sta eseguendo la sua funzione dopo la dissoluzione del precedente divenire, ma prima del sorgere del prossimo divenire, ed anche questo all'infinito. Buddhaghosa nel Visuddhimagga scrive di continuità del presente ed il Samyutta dice che esso è di due tipi: materiale e immateriale. La continuità materiale "dura finché l’acqua tocca la linea fangosa della riva quando uno smuove l’acqua per renderla chiara". Invece, la continuità immateriale "consiste di due o tre cicli di impulsioni". Tuttavia, Nagarjuna, prendendo spunto dall’Abhidharma, implica che se il tempo è composto di parti separate, come passato, presente (cioè, ‘ora’), e futuro, il tempo perderebbe la sua coerenza. Se il presente ed il futuro sono considerati prodotti del passato, sia il presente che il futuro sarebbero indissolubilmente avviluppati nel passato, quindi non sarebbero in grado di essere entità separate. Se, d'altro canto, il presente e il futuro sono separate rappresentazioni del passato, ciò li renderebbe disconnessi, quindi non causati da, e senza riferimento al passato. Nagarjuna implica perciò che il presente e il futuro non esistono, e non vi è alcun effettivo afferrabile "momento statico" del tempo, mentre allo stesso tempo egli non nega la "in-mediata esperienza del cambiamento". Anche se le fasi del tempo hanno ‘un prima ed un dopo’, ognuno di essi, egli ammette, ha una sua propria integrità. Ecco perché io arrivo a dire che è la sua propria integrità, che si focalizza sulle più piccole persone a divenire verbalmente conosciuta tra gli uomini come "momenti" o "momenti successivi". Dogen scrive nello Shobogenzo: “La vita è una fase del tempo, e la morte è un’altra fase del tempo, come, ad esempio, la primavera e l’inverno. Noi non supponiamo che l'inverno diventi primavera, né diciamo che la primavera diventa estate”. Nel flusso delle cose non vi è alcun specifico concreto ‘istante’ in cui l’inverno improvvisamente non è più, e Bum, di colpo esiste la primavera. Anche se c’è un vero e proprio solo momento nel tempo, esso non è una cosa realmente esistente, perché non può esistere indipendentemente dagli altri momenti di tempo, che anche non ci sono; di conseguenza non può esservi, se non immobile, una in-mediata esperienza del cambiamento. E’ questa esperienza che artificialmente inventata e delimitata da concetti umani si trasforma in sempre più piccoli incrementi che, quando sufficientemente piccoli diventano praticamente inesistenti e per questo sono chiamati "momenti" e, quando riuniti insieme, "momenti successivi". E’ comunemente sostenuto che ciò che c’era nel passato sia scomparso, ciò che attualmente c’è, è transitorio, e ciò che verrà non si è ancora verificato. Di conseguenza, dopo aver accettato la Visione dell’Originazione Dipendente che tutti i dharma sono tra loro mutualmente dipendenti come cause e condizioni, per la loro coesistenza uno considera ancora il Dharmadhatu come un flusso di dharma (fenomeni). I dharma del passato sono svaniti nel nulla, i dharma del presente non sono altro che apparenze transitorie, e i dharma del futuro non sono arrivati e sono quindi imprevedibili. Questa visione del Dharmadhatu è limitata dalla nozione del tempo e, come tale, essa si discosta dal corretto significato del Dharmadhatu buddhista. Il vero Dharmadhatu non è né limitato dallo spazio né dal tempo. Secondo la visione corretta del Dharmadhatu, tutti i dharma passati, tutti i dharma presenti e tutti i dharma futuri stanno tutti insieme nel Dharmadhatu. Normalmente, la gente può sperimentare attualmente soltanto una ‘minuta’ parte di tutti i dharma (che diventano "momenti", come descritto sopra) e, perciò, le persone sostengono che i dharma passati sono scomparsi e quelli futuri sono imprevedibili. “Se uno pratica secondo la dottrina buddhista e, quindi, esce fuori dalla schiavitù di una visione ‘fissa’ di una struttura spazio-temporale, allora è possibile sperimentare o testimoniare i dharma passati, così come i dharma futuri.” (Fonte)
LA PAROLA "RETTO". Che cosa significa?
Prima di andare avanti c’è un'altra cosa. Ancora, abbiamo a che fare con le parole e il loro significato. La quarta delle Quattro Nobili Verità si riferisce agli otto precetti prescritti dal Buddha: ‘Retta Visione, Retta Intenzione, Retta Parola, Retta Azione, Retto Comportamento, Retto Sforzo, Retta Consa-pevolezza, Retta Concentrazione’. La prima cosa che salta agli occhi è che vi è una serie di Retti e Rette, provenienti in particolar modo da un esempio universale di non-dualismo. Ma, bisogna ricordare che il Buddha dal suo stato Illuminato sta traducendo in parole ciò che egli vorrebbe far sperimentare ai suoi simili non-illuminati, così deve usare parole che egli spera che essi possano capire. Il problema è che i non-illuminati entrano subito in discussione con le parole dicendo che non appena una parola è usata, ad esempio "Retto", allora subito sorge il feroce dualismo, perché "Retto" ha come opposto "Errato". Il Buddha sa che non è altro che esperienza, quindi non ha un problema con ciò, perché conosce il significato che dal suo stato Illuminato egli intende con la parola "Retto". Il problema sta nell’esperienza vissuta dai non-illuminati. Il problema è che noi traduciamo "Retto" dal termine Sanscrito "samma", che non dovrebbe essere tradotto in "Retto", così realisticamente non ci sarebbe il suo opposto "Errato". Quindi, in questo caso ‘Retta Visione’ non è dualisticamente opposta a Visione Errata di per sé, e ‘Retta Intenzione’ non è di per sé contraria a Intenzione Errata, ecc, ecc. Comunque, poco importa, perché in realtà questi sono non più che astratti concetti provenienti dallo stesso fenomeno, messi tra parentesi in una determinata sezione di tale fenomeno, e poi rivestiti con le parole “Retta Visione, Errata Visione, Retta Intenzione, Errata Intenzione”. Se il termine “Retto” non si traducesse in ‘Retto’ con ‘Errato’ come suo dualistico opposto e contrario, allora è proprio ciò che si intende quando la parola “Retto” è usata dal Buddha, come egli la utilizza nel Nobile Ottuplice Sentiero? Per rispondere a questo, dobbiamo di nuovo andare ad un'illustrazione: ”Indietro nel tempo, quando un dollaro era un dollaro, un agricoltore prese in prestito 200,00 $ per poter coltivare la sua terra. Con il denaro che aveva, ne utilizzò metà per acquistare sementi e metà per vivere un anno, sapendo che poi avrebbe potuto portare il suo raccolto al mercato e venderlo per 400,00 $, raddoppiando così il suo denaro. Con la somma doppia di denaro avrebbe rimborsato il prestito e gli restavano ancora 200,00 $ per reimpiantare una nuova coltura così da ottenere tutto il guadagno l’anno successivo, senza la necessità di prendere in prestito altro denaro. Egli sapeva anche che se non rimborsava il suo prestito avrebbe perso la sua fattoria. Il raccolto arrivò come previsto. Egli divise il grano in dieci sacchi, che riteneva avessero il valore di circa 40,00 $ ciascuno, caricò quindi i dieci sacchi sul suo carro, vi legò il suo cavallo da tiro e si diresse verso il mercato del grano nella grande città. Lungo la strada, una delle ruote colpì una grande pietra. L'agricoltore scese dal carro e controllò la ruota. Egli notò che l'asse era un po’ piegata, e per risolvere il problema avrebbe dovuto scaricare l'intero carro perché il peso del grano era troppo pesante per poterlo sollevare. Egli notò che la ruota da un lato era inclinata verso l'alto e dall’altro lato era inclinata verso il basso. Egli tuttavia era sicuro che la ruota non sarebbe uscita e così continuò il suo viaggio. Ciò che egli non notò era che ad ogni giro la ruota si inclinava verso l’alto e andava a sfregare sul bordo due dei sacchi di stoffa colmi di grano. Dopo un po’ la ruota fece un buco nei due sacchi e senza che l’agricoltore se ne accorgesse, il grano cominciò a cadere. Nel tempo che gli occorse per raggiungere il mercato, le due sacche furono completamente svuotate. Ora l'agricoltore aveva solo otto sacchi, ciascun sacco del valore di 40,00 $, per un totale di 320,00 $. Inutile dire che ne restò un po’ sconvolto. Poi, egli fece ritorno a casa con il carro vuoto senza altri incidenti. Egli pagò il debito che aveva ed a lui restarono 120,00 $. Per andar avanti come egli aveva sperato sapeva di aver bisogno di 200,00$, 100,00$ per il grano, 100,00$ per vivere durante l'anno. Essere sotto di 80,00$ significava un sacco di problemi. Avere solo 60,00$ per acquistare le sementi e provare a vivere con 60,00$; oppure acquistare l'intero importo del grano e farsi prestare ancora un po’ di denaro; Cosa doveva fare? Potete vedere tutte le varie possibilità. Ma il punto principale è che, anche se la ruota non funzionava a dovere poteva essere considerata "corretta", perché una ruota che è vera, è il modo in cui si suppone che sia. Ma, dopo che l'asse si fu piegata, il semplice fatto che la ruota finì per sfregare i sacchi del grano finché essi non persero il carico, non la rendono esattamente "errata". L'agricoltore potrebbe non aver voluto, è vero, a lungo termine impattare la sua situazione in modo negativo, ma altri fattori sono entrati in gioco. E cosa dire riguardo la pietra? Quale ruolo giocò essa? Come era finita sulla strada proprio là dove la ruota vi passò sopra? E per quanto riguarda la guida dell’agricoltore, perché egli non si accorse subito della cosa? Perché egli non decise di scaricare il carro e fissare bene l'asse? E perché durante il viaggio egli non fu attento, dato che sapeva che la ruota traballava? Potremmo andare ancora avanti, ma ciò che si otterrebbe è che, affinché una ruota faccia il suo dovere, se non è a posto, non è probabilmente il modo migliore per andare. Così, adesso, se avete seguito con attenzione il mio discorso fino a qui, dovreste esser giunti ad una discreta conoscenza dell'uso della parola “Retto”, come intesa dal Buddha. Armati con questa comprensione, ora dovremmo essere in grado di proseguire... Quando avevo più o meno sedici anni, e per la prima volta mi ero interessato alle cose Zen, invidiai subito il mio mentore per il suo stesso stile di vita, che viveva con un fondo fiduciario, ed io gli chiesi come avrei potuto fare lo stesso. Egli mi disse fedelmente di mettere 100,00$ al mese in un conto di risparmio ogni mese e di non toccarli. Così un giorno si sarebbe accumulata una somma piuttosto rilevante, con la quale io avrei potuto vivere grazie agli interessi. Egli stava tracciando un'analogia tra questo e quello di cui abbiamo discusso sopra, in cui se uno ad un certo momento è in grado di produrre impulsi, essi a loro volta, uniti alla giusta combinazione di condizioni daranno i loro frutti. Detto questo, la retta azione, retta parola, e retto pensiero [retto, usato nel modo in cui l’abbiamo suggerito prima], qui ed ora, può impattare positivamente il nostro futuro, proprio come potrebbe farlo il risparmiare fedelmente 100,00$ al mese. L’Illuminato saggio Luangpor Teean ha sempre detto che il passato è andato, ed è incapace di essere cambiato o rettificato, mentre il futuro non è ancora arrivato: qualsiasi cosa facciamo, ciò dev’essere fatto nel presente. Se agiremo bene ora, l’oggi costituirà un buon passato per il domani. E il domani, quando arriverà, si rivelerà essere un buon futuro, per questo giorno in cui abbiamo già fatto il bene. E’ inutile preoccuparsi delle cose che sono passate e non possono essere corrette, così come è inutile preoccuparsi delle cose che non sono ancora accadute: preoccuparsi per le cose che non possono eliminare la sofferenza, nel solo luogo in cui si trovano, nel presente. Ciò che è importante prendere in considerazione, ovviamente, è di aver messo in moto una corretta serie di princìpi nel passato, così i frutti generati da tali sforzi potrebbero incidere sul nostro presente. Per ottenere che questo presente sia una vera esperienza positiva, il suggerimento del mio mentore, estratto dai sutra, dice pressappoco così: 1.) Per prima cosa, generate solo pensieri con la “Retta” attenzione. 2.) Sostenete i “Retti” pensieri che sono già sorti. 3.) Là dove i pensieri nascono, non generate pensieri che portano una scorta negativa. 4.) Eliminate e disperdete eventuali pensieri negativi che siano già sorti. Poi, dovrebbero seguire “Retta Azione” e “Retta Parola”, che a loro volta dovrebbero facilmente unirsi ai precetti del Nobile Ottuplice Sentiero ed ai loro risultati. Semplici, semplicissime cose. Le persone vengono a chiedermi come si fa a sapere se i suddetti consigli siano veri… Alla fine, come ci si può affidare ad una qualche cosa e credere che essa sia vera, dato che il concetto del termine ‘vero’ si presenta proprio come il termine ‘retto’, con tutte le sue relative e dualistiche ramificazioni? Consentitemi, allora, di mostrare un altro esempio prima di procedere: Benché non si trovino come prede o cacciatrici nello stesso ambiente, sia le zebre che le tigri nel loro corpo hanno le strisce. A quanto pare, la zebra è rigata così che mentre sta correndo in una mandria per scappare mentre viene inseguita, la confusione delle strisce da un animale all’altro, nel confuso sovrapporsi, impediscono al cacciatore di puntare un singolo animale. Le righe della tigre, d'altro lato, servono proprio per far sì che essa stessa non sia ben visibile dalle prede, così da poter arrivare da presso e colpire mortalmente. In ogni caso, sia la tigre predatrice che la zebra preda stanno cercando di far credere che essi non ci sono. Qui sta il trucco. Far presumere di non esserci. Se la tigre c’è, ma si presume che non ci sia, deve essere lì per far presumere che non ci sia. In altre parole, non è che non ci sia, però la sua preda può essere ingannata dal credere che non ci sia. Se la tigre c’è, allora in entrambi i casi essa è lì, cioè, la tigre c’è perché è lì, ed è proprio lì, anche se attraverso l'inganno e il camuffamento sta tentando di far credere alla sua preda che essa non c’è. E’ implicito che il non esserci quando invece si è lì, è questo l'inganno, ciò che non è vero. Il vero fatto è che la tigre c’è, malgrado ciò che la preda della tigre pensa o non pensa, questa è la verità. Se la tigre fosse un umano e utilizzasse il camuffamento e l'inganno come artificio, questo significherebbe mentire. I ‘dualisti’ e i relativisti sostengono che non vi è alcuna verità, reale o di altro tipo, e in special modo una verità assoluta. Per la maggior parte di essi, sostenere a parole una parola basata su argomenti è come entrare in un campo di battaglia... fondamentalmente disarmati, o al più, armati solo di armi datevi dal vostro avversario. Ma, se si ritorna alla mia illustrazione e non ci si mette a combattere su verità già esistenti o non esistenti e si vede, ad esempio, che se la tigre è lì e che questa è la realtà, a sua volta presa per verità, e si accetta che nell’inganno propinato verso la preda essa è davvero lì, allora perpetrare il fatto che essa non ci sia, in realtà, ciò sarebbe non vero. Le persone hanno un problema anche con il significato della causa originante e i successivi momenti che sono differenti. 'La causa scatenante o originante' non ha lo stesso significato di ‘causato da’ o ‘essere causato da’. Ad esempio, una dichiarazione assiomatica generalmente accettata è stata resa più o meno così "Da una piccola ghianda cresce una possente quercia"... il che suggerisce che per ogni albero di quercia che esiste, vi era già una ghianda che esisteva prima. Ma da dove provengono le ghiande? Per la maggior parte, esse cadono direttamente dai rami della quercia, che per inferenza indica che prima che vi fosse qualunque ghianda, doveva esservi una quercia. Ma come può essere? Prima del primo albero di quercia cosa c’era prima? Ciò che infine forma una quercia comprende non solo la sola ghianda, ma richiede un corretto suolo, umidità, nutrienti, tempo, temperatura, posizione, ecc. Tutte cose che sono chiamate determinanti. Un determinante non significa necessariamente un ordine sequenziale di cose, cioè, per primo una cosa prima di altre. Ad esempio, la quercia e la ghianda, prima di essere la quercia e la ghianda, sono o stanno per essere, le varie determinanti, del suolo, umidità, nutrienti, ecc.; devono essere tutte in loco ed esistere tutte nel medesimo tempo, non prima una e poi l'altra in sequenza. La causa originante è come una ghianda da cui spunta una quercia. Ma, senza i vari determinanti in funzione ognuno di noi non potrebbe neanche respirare. Ora, troviamo che i 'momenti successivi sono diversi'. Anche questo, è abbastanza semplice. Al livello grossolano, ad esempio, diciamo che voi che state leggendo, siete seduti davanti ad un computer e da diverse ore non avete lasciato la stanza né vi siete mossi dalla poltrona, così ora state leggendo questo articolo. Voi non avete lasciato la stanza, però se ci pensate, vi sono centinaia, forse migliaia di chilometri di distanza dal luogo esatto in cui eravate la prima volta che vi siete seduti. Come mai? In breve, la terra ruota e gira mentre orbita attorno al sole. Il sole si muove nella sua direzione, pur venendo spostato lungo la rotazione della galassia, e la galassia muovendosi nel suo stesso percorso si sposta nel movimento di inflazione/espansione dell'universo, ecc.. Al livello sottile, ciascuna delle miliardi di nubi di elettroni aggregate insieme per formare l’entità mentale/materiale, che rappresenta ciò di cui siamo composti, in ciascuno dei loro nuclei successivi, nessuna di esse essendo bloccata nella sua propria orbita e sempre ritornando allo stesso posto, perché anche loro, come tutti noi e la vasta estensione del cosmo, sono spinti in lungo ed in largo e spostati da dove erano. Niente e nulla, ovunque e in qualsiasi momento, potrà mai essere lo stesso, dal più minuto e attraente ‘quark’, che è nel posto giusto una volta e solo una volta, a due fiocchi di neve che non sono mai del tutto simili. Livello sottile, livello grossolano? Come potrebbe essere così? Vedere uno dei miei articoli preferiti che ha come soggetto "Shunyata". Nella tradizione Zen, Pai-chang Huai-hai (724-814) fu un grande maestro Zen, noto soprattutto per la storia della ‘Volpe di Hyakujo' e per la seguente storia "Nessuna Anatra": >Prima della sua esperienza di Risveglio, Pai-Chang fu uno studente dell’altrettanto grande maestro Zen Ma-Tsu Ta-chi (709-788). Un giorno, mentre Pai-chang era ancora suo discepolo, i due stavano camminando fuori insieme e videro nel cielo una formazione di anatre selvatiche. Ma-Tsu chiese, "Che cos'è questo?". Pai-chang disse, "Anatre selvatiche". Ma-Tsu chiese ancora, "Dove se ne sono andate?" Pai-chang rispose, "Sono volate via". Allora Ma-Tsu storse il naso a Pai-chang, per cui Pai-chang gridò di dolore. Ma-Tsu disse, "Quando mai sono volate via, esse sono state qui fin dall'inizio".
“Quando mai sono volate via, sono state qui fin dall'inizio!” Questo tipo di discorso Zen tra maestro e discepolo suona abbastanza semplice e diretto, salvo il fatto che ‘fin dall'inizio, nessuna cosa esiste’, che, al riguardo, è uguale a ‘sono sempre state qui, fin dall’inizio’. Ma-Tsu stava mettendo alla prova la consapevolezza del suo discepolo. Quando egli chiede 'che cos’è?', Pai-chang risponde 'anatre selvatiche'. Per sostenere il suo livello di comprensione che ‘tutto è Uno’, e cioè che la sua risposta 'anatre selvatiche' stava nell’Assoluto, che la sua risposta racchiudeva TUTTO ciò che ha a che fare con le anatre: 'le nuvole sulle montagne e la luna sul mare', ecc, ecc. Invece Pai-chang rispondendo, 'sono volate via' mostra a Ma-Tsu che Pai-chang per ben due volte non comprese. Per Pai-chang, il ‘che’ in 'che cos’è questo?' era solo le anatre selvatiche lassù, montagne laggiù, cielo lassù, e lui qui. Quindi, esse, le anatre, potevano volare via. Per Ma-Tsu, tutto è Uno, e come potrebbe qualcosa o qualcuno volare via (o le nubi di elettroni orbitare, o essere spostate nell’inflazione/espansione dell'universo)?. Niente qui, nulla là, nessun Ma-tsu, nessuna anatra… Le anatre selvatiche possono essere Un tutt’uno con l'universo, ma però esse sono quello che sono, indipendentemente dal modo in cui possono, o non possono, essere separate o di come sono, o non sono, chiamate. Anche se tutto è Uno, una data anatra è unica nell'universo perché in quel momento essa è, essa non è nient’altro, non è altro. Come disse Shen-hui: "Si parla del Vuoto (Vacuità) per il beneficio di coloro che non hanno visto la propria natura-Buddha. Per coloro che hanno visto la loro natura-di-Buddha il Vuoto non esiste". Quindi, unito tutto, come funziona tutto ciò e che cosa significa per voi, se non nulla? Ancora un altro esempio:
>In un certo giorno di un certo periodo, voi andate a Las Vegas e scegliete una certa macchinetta di video-poker tra tutte le macchine in tutte le case da gioco in tutta Las Vegas. Poi cambiate venti dollari in monetine e iniziate a mettere le monete nella macchina. In breve tempo, le monete sono tutte finite, non avete vinto niente, vi alzate e ve ne andate. Che cos’è successo? Del denaro che voi avevate, ora avete venti dollari in meno, venti dollari che non potrete spendere in qualche altra parte con tutte le relative conseguenze. Conseguenze come elementi che eventualmente avrebbero potuto essere acquistati e usati o tolti dalla circolazione, per cui anche gli altri non possono utilizzare. Inoltre non solo avete tolto dalla circolazione venti dollari, ma venti dollari in monete e messi in un video-poker ed in più, usando la macchinetta in un certo momento e in un dato luogo, impedendo ad altri di usare la stessa macchina nello stesso tempo, spedendoli verso qualche altra macchina, oppure no, spingendoli verso il proprio o altri flussi di corrente. Ora, in quanto denaro, queste monete hanno comunque avuto impatti inerenti di flusso, ma ora stando in una macchina di video-poker esse sono in attesa di impatto con la prossima persona, o la successiva…. Ma, diciamo che invece di perdere le tue monete, tu prendi una Scala Reale e vinci quattromila monete per un totale di mille dollari. Ora, avendo un migliaio di dollari in più, potrete distribuirle e spenderle nella vostra attività quotidiana, incidendo su quelli che entrano in contatto con il denaro grazie a voi, proprio come lo siete stati voi avendo un migliaio di dollari da dover spendere che prima non avevate, ecc, ecc. Perdipiù, con la vostra vincita, avete negato l'ulteriore uso di quel danaro a chiunque altro poteva avere accesso alla macchina e come ognuno poteva impattare con quei soldi, così tutti gli altri. Così, che cosa voglio dire? Voglio solo sottolineare che tutto è interdipendente. Non importa ciò che si fa o non si fa, nel fare o non fare tutto è interrelato, perché tutto è interdipendente. E questa è la risposta al perché tu sei. Se, in questo momento, tu non ci fossi e non fossi collegato, o non fossi mai stato collegato a tutti i costituenti o aggregati che ti compongono, allora quegli stessi aggregati o costituenti non potrebbero mai essere esistiti, o se lo fossero, sarebbero suddivisi e utilizzati da qualche altra parte, andando tutti a schizzare dal luogo in cui sono in qualche altro luogo, poi in un qualche altro luogo e qualche altro posto... perché, se tu non esistessi, cioè, se non fossi mai esistito, allora tutto e ogni parte che mai sia venuta ad essere in te, tu non avresti mai scoperto il modo in cui sei, o che tu eri ciò che è, o correlato con cio che tu sei, o che hai fatto o che farai. Il semplice fatto che tu sei collegato a dei costituenti o aggregati, che tu sei collegato, è il motivo per cui l'universo è il Modo. Vedi come sei importante? Se non fosse per te, niente altro sarebbe lo stesso. In altre parole: “Essendo presente questo, quello sorge; senza questo, quello non si verifica”. Fundamentally, our experience as experienced is not different from the Zen master's. Where we differ is that we place a fog, a particular kind of conceptual overlay onto that experience and then make an emotional investment in that overlay, taking it to be "real" in and of itself. (“Fondamentalmente, il modo in cui sperimentiamo la nostra esperienza non è diverso dal maestro Zen. Dove siamo diversi è che noi abbiamo una sorta di nebbia, un particolare tipo di sovrapposizione concettuale su quella esperienza, e poi facciamo un impiego emotivo di quella visione concettuale, pendendola come ‘reale’ in e per se stessa”) (Trad. di Aliberth. Finito di tradurre, luglio 2008, per conto del Centro Nirvana – senza scopo di lucro) | |