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Meditazioni per i malati e i moribondi
© ThichNhatHanh
Pubblicatoil 5 agosto 2013, Plum Village © ThichNhatHanh
http://plumvillage.org/transcriptions/meditations-for-the-sick-and-dying/
 

 

 Discorso di Dharma tenuto da ThichNhatHanh l’11 agosto 1996 a PlumVillage, in Francia.


 

Oggi è l'undicesimo giorno di agosto del 1996, siamo nel Lower Hamlet, e il nostro discorso di Dharma sarà in Inglese. Oggi ci accingiamo ad imparare la pratica dei quattro mantra, perché questo è il tipo di pratica che io vorrei che tutti potessero fare a casa loro ogni giorno. E' molto facile, ed è anche piacevole. Un mantra è una formula magica. Ogni volta che si pronuncia un mantra, si può subito trasformare la situazione; non devi aspettare. E’ una formula magica che si deve imparare a recitare per quando sarà il momento opportuno. E la condizione che lo rende efficace è la vostra consapevolezza, la vostra concentrazione. Ciò significa che questo mantra può essere recitato solo quando si è perfettamente consapevoli e concentrati. In caso contrario, potrebbe non funzionare. Ma non c'è bisogno di essere consapevoli o concentrati al cento per cento; anche l'ottanta per cento può produrre un miracolo. E tutti noi siamo in grado di essere consapevoli e concentrati.

Il primo mantra è: "Tesoro, io sono qui per te". Penso che i bambini provenienti dall’Italia dovrebbero recitarlo in Italiano, i bambini Francesi dovrebbero recitarlo in Francese, i Vietnamiti in Vietnamita, e così via. Noi non dobbiamo fare questa pratica in Sanscrito e Tibetano. Perché dobbiamo praticare questo mantra, "Tesoro, io sono qui per te"? Perché quando si ama qualcuno, si deve offrire a lui o lei il meglio che avete. E il meglio che si può offrire al vostro amato è la vostra stessa presenza. La vostra vera presenza è molto importante per lui o per lei.

Conosco un ragazzo di undici o dodici anni. Un giorno suo padre gli chiese: "Domani sarà il tuo compleanno. Cosa vuoi? Io lo comprerò per te". Il giovane non era molto eccitato. Sapeva che suo padre era una persona molto ricca, - direttore di una grande società,- e che poteva permettersi di comprare tutto ciò che il giovane voleva. Era estremamente ricco, quindi non era certo un problema  comprare un regalo di compleanno per il figlio. Ma il giovane non voleva nulla. Egli non era molto felice, e non perché non avesse molte cose con cui giocare. Lui non era felice, perché suo padre non era con lui, era sempre assente. Non trascorreva mai abbastanza tempo a casa. Era sempre in giro come una freccia. E ciò che il giovane desiderava di più era la presenza di suo padre. Egli aveva un padre, ma non gli sembrava molto chiaro che aveva un padre, perché il padre era così occupato.

Sapete, quando qualcuno è ricco, cerca di lavorare sempre molto di più proprio per continuare ad essere ricco; questo è il problema. Una volta che siete ricchi, non potete permettervi di essere poveri. Ecco perché è necessario utilizzare tutto il vostro tempo ed energia per lavorare, lavorare, lavorare, giorno e notte, al fine di continuare a essere ricchi. Ed ho visto molte persone così. Così il padre non ha tempo per i suoi figli. Anche se i bambini in linea di massima hanno un padre, essi in realtà non ne hanno alcuno. Quello che serve di più è la presenza del padre accanto a loro. Così il giovane non sapeva cosa dire. Ma alla fine ebbe un’illuminazione. Egli disse: "Papà, io so bene quello che voglio." "Cosa?" disse il padre, pensando ad un trenino elettrico, o qualcosa del genere. Il giovane disse: "Io voglio te!" Ed è molto vero che i bambini, se non hanno il loro padre o la madre accanto, non sono molto felici. Quindi quello che vogliono di più è la presenza della persona che amano.

Quando si ama qualcuno, il dono più prezioso che si può fare a lui o lei è la vostra vera presenza. Ecco perché si deve praticare in modo tale da esserci. Voi siete lì al cento per cento e guardando a lui o lei, dite: "Tesoro, io sono davvero qui per te." - Questo è il dono più grande che possiamo fare alla  nostra persona amata. Ma questa non deve essere solo una dichiarazione. Sappiate che un mantra non è una dichiarazione. Un mantra è qualcosa che voi pronunciate in piena realtà, il che significa che voi dovete essere lì al cento per cento, così che quello che dite diventi un vero e proprio mantra. Quindi, al fine di essere realmente lì, avete bisogno di uno o due minuti di pratica; inspirate e vi dite: "Inspirando, sono calmo, espirando, sorrido. Inspirando, sono davvero qui, espirando, sono davvero qui". Fatelo un paio di volte, e improvvisamente, sarete davvero lì. E' meraviglioso. Non sarete più presi con i vostri problemi, non sarete catturati dai vostri progetti, non sarete catturati dal futuro, o dal passato.

Voi siete davvero lì, a disposizione, per la persona che amate. Dopo, quando sarete sicuri di essere davvero lì – corpo e mente insieme, - dirigetevi verso la persona che amate, e guardando lui o lei consapevolmente, sapendo che quella persona è davvero lì e voi anche siete lì, sorridete e ditele: "Tesoro, io sono qui per te, io sono veramente qui per te". Per molti, questo è il dono più grande che si possa fare al nostro amato.

Se il padre del ragazzo avesse capito che avrebbe dovuto praticare la respirazione consapevole, o camminare per pochi minuti, avrebbe fermato tutti i suoi progetti, avrebbe cancellato qualcuno dei suoi incontri e si sarebbe seduto, molto vicino al suo ragazzo, e mettendogli il suo braccio intorno, avrebbe detto così al bambino: "Caro, questa volta sono davvero qui per te", e guardandolo negli occhi, gli avrebbe ancora detto che è un momento meraviglioso, che è un momento in cui la vita è davvero reale e profonda: il padre è lì e il figlio è lì. L'amore è lì, perché essi sono lì l’uno per l'altro, essi sono disponibili l’uno per l’altro. Quando si ama qualcuno, dovete voi stessi essere a disposizione della persona che amate. Ecco qual’è la pratica di questa meditazione - rendersi disponibili al cento per cento, come dono per la persona che amate.

Così mi piacerebbe che i bambini scrivessero questa formula su un foglio di carta nella propria lingua, in bella grafia, e la decorassero con fiori e frutti e uccelli. Quando tornerete a casa, appuntate quel mantra sul muro e praticatelo ogni giorno con la persona che amate. "Tesoro, io sono davvero qui per te," e questo è il primo mantra. Alcuni miei amici in America hanno dipinto quel mantra su una maglietta. Anche voi potete dipingere su una maglietta quella formula magica in Italiano o Francese o Tedesco o Olandese. Quando poi indosserete quella maglietta, "Tesoro, io sono qui per te", voi potreste proprio guardare quella persona, puntare il dito sul mantra e sorridere.

Il secondo mantra è: "Tesoro, so che sei lì, e sono molto felice." Anche questo è un mantra molto facile da praticare. Perché amare significa riconoscere la presenza della persona che amate. Al fine di riconoscere che lui o lei è lì, bisogna averne il tempo. Se voi siete troppo occupati, come potreste riconoscere la sua presenza? E la condizione più importante per pronunciare questo mantra è che voi siate lì al cento per cento. Se non ci siete al cento per cento, non è possibile riconoscere la presenza della persona che amate. Quando siete amati da qualcuno, è necessario che la persona riconosca che voi ci siete, sia che siate molto giovane, o che abbiate 70 o 80 anni di età, si comporterà sempre allo stesso modo. Abbiamo sempre bisogno che l'altra persona riconosca che siamo qui. Vogliamo essere abbracciati dalla sua attenzione. I bambini non solo hanno bisogno degli adulti, ma hanno bisogno anche di questo. Abbiamo bisogno di essere abbracciati dall'energia della presenza mentale dell'altra persona. Quindi, se noi ci siamo al cento per cento e si va verso l'altra persona, guardiamo a lui o lei, sorridiamo e diciamo, "Tesoro, so che sei lì e io sono molto felice". Questo è il modo di riconoscere la presenza della persona che amate e di dire che siete molto felice che lei è ancora presente e viva, a nostra disposizione in ogni momento. Sappiate che tale pratica può rendere l'altra persona molto felice subito - non c'è bisogno di aspettare cinque o dieci minuti.

Questo è il Buddhadharma - che è efficace subito. Se ne siete impauriti, dovete imparare. Dovete chiudere la porta, spegnere la luce, e cercare di praticare il mantra, "Tesoro, so che sei lì, e io sono molto felice." E quando si è sicuri d poterlo fare, aprite la porta, andate da lui o lei, e praticatelo. Ora, io pratico questo mantra non solo con le persone, ma mi ci esercito anche con la luna, la stella del mattino, i fiori di magnolia. L'anno scorso quando sono andato in Corea, sono stato ospite di un seminario Protestante ed essendo primavera, la mia piccola casa era circondata da magnolie. I fiori di magnolia erano molto belli. Hanno un colore bianco come la neve. Ho praticato la mia meditazione camminata tra i fiori di magnolia. Mi sentivo così felice, era così meraviglioso. Quindi volli fermarmi e guardare da vicino ogni fiore di magnolia. Mi venne da sorridere, ho respirato e mi sono detto, "Tesoro, so che sei lì, e sono molto felice," e mi sono inchinato al fiore. Ero felice, e ho pensato che anche il fiore di magnolia era felice, perché quando la gente riconosce la vostra presenza e apprezza la vostra presenza, voi sentite di valere qualcosa. Naturalmente, perfino i fiori di magnolia erano molto, molto preziosi per me.

A volte guardo la luna piena con consapevolezza, pratico la respirazione in/out, e dico alla luna piena il mantra: "Luna piena, bella luna piena, so che sei lì, e sono molto felice." Ed in quel momento ero davvero felice. Ero una persona libera che non era assalita da preoccupazioni o paure, né da alcun tipo di progetti. E siccome ero libero, ero io. Ho avuto il tempo e l'opportunità di toccare le meraviglie della vita intorno a me, e questo è il motivo per cui ho potuto toccare la luna piena e ho praticato il mantra con la luna piena. Questo pomeriggio, potrebbe piacervi di praticare il mantra con qualcuno, o semplicemente praticare il mantra con un albero o una farfalla, perché sono tutti meravigliosi.

Siamo nella sala di meditazione e tutti noi possiamo sentire il suono della pioggia. Per me il suono della pioggia è qualcosa di meraviglioso. Nell’ UpperHamlet abbiamo una veranda che noi chiamiamo “veranda-per-ascoltare-la-pioggia". Se sei una persona libera, hai solo bisogno di stare lì e ascoltare la pioggia, e puoi essere già molto felice, perché la pioggia è qualcosa di meraviglioso. Anch’io spesso penso che la pioggia sia come il bodhisattva Avalokiteshvara. Dopo diverse settimane senza pioggia, la vegetazione comincia a soffrire e quando la pioggia arriva possiamo vedere che tutti gli alberi ed i cespugli sono molto felici. Penso che essi godano tantissimo il rumore della pioggia, come succede a me. Seduti nella sala di meditazione, o seduti nella “veranda-per-ascoltare-la-pioggia", ci è possibile apprezzare il suono della pioggia e si può essere molto felici mentre siamo seduti lì.

Quindi la felicità è possibile con la consapevolezza, perché la consapevolezza ci aiuta a realizzare che cosa c'è lì – di così prezioso. Quelli tra di noi che hanno ancora una mamma, tutti dovremmo essere felici. Quelli tra di noi che hanno ancora un padre, tutti dovremmo essere felici. Quelli tra di noi che hanno ancora gli occhi in buone condizioni per poter vedere la luna, tutti dovremmo essere felici. Ci sono molte cose che possono farci felici ora. E questa è la pratica della consapevolezza, e quindi la pratica della meditazione buddhista. Perciò, vi prego di scrivere il secondo mantra su un altro foglio di carta con la vostra scrittura, e decorarlo con colori, con fiori, frutti, foglie, uccelli e così via, e poi appenderlo nella vostra camera. Sono certo che se voi praticate sia il primo che il secondo mantra, ci saranno molte persone assai felici intorno a voi. E non venite a dirmi che (questa) pratica sia difficile - non lo è… [Campana]


Anche il terzo mantra è facile da praticare. Questo mantra si pratica quando si vede che la persona che voi amate sta soffrendo. Lei o lui piange, sta piangendo. Oppure, se non piange, sembra molto infelice. Se uno pretende di essere un amante, allora dovrebbe sapere che cosa sta accadendo alla persona che ama, e la consapevolezza vi aiuta a notare che qualcosa non va dentro quella persona. Naturalmente, se voi ci siete al cento per cento con lui o lei, noterete ben presto che la persona che amate soffre. Se non vi accorgete che la persona che voi amate sta soffrendo, non siete consapevoli; non siete un amante ideale, perché non c'è consapevolezza in voi. Quelli tra di voi che affermano di essere veri amanti, dovrebbero praticare la consapevolezza, dovrebbero praticare la meditazione, perché come si può amare se non siete lì presenti? Si può amare solo quando si è lì presenti; ma per essere lì presenti bisogna praticare ‘l’essere lì’, sia con il respiro consapevole e sia con la meditazione camminata, o con qualsiasi tipo di pratica che possa aiutare ad essere veramente lì, come persona libera, per la persona che si ama. Quindi poiché siete lì, voi siete consapevoli - questo è il motivo per cui avete notato che la persona che amate sta soffrendo. Proprio in quel momento dovete praticare a fondo, per essere lì al cento per cento. Andate da lui o da lei, e pronunciate il terzo mantra, "Tesoro, so che stai soffrendo, è per questo che io sono qui per te."

Quando succede a voi di soffrire, desiderate che la persona che amate sia sempre consapevole della vostra sofferenza, il che è molto umano, molto naturale. Se voi soffrite, e l'altra persona che amate non sa che voi soffrite, se ignora la vostra sofferenza, voi di sicuro soffrirete molto di più. Quindi, sarebbe un grande sollievo se la persona che amiamo sa, se è consapevole, che stiamo soffrendo. Perciò il vostro compito, la vostra pratica come amante, è di venire a offrire a lui o lei la vostra vera presenza e pronunciare il terzo mantra, "Tesoro, so che stai soffrendo, è per questo che io sono qui per te." Prima ancora di poter fare qualsiasi cosa per aiutarla, la persona già soffre di meno, perché sa che siete a conoscenza della sua sofferenza. Così l'effetto della pratica è istantaneo, più veloce di quando si fa il caffè istantaneo – è molto veloce. Quanto più si è concentrati, più c’è consapevolezza, maggiore sarà l'effetto della vostra pratica. Ed anche i bambini possono praticare questo molto bene. Ogni volta che vedono il loro fratello o la sorella soffrire, ogni volta che vedono la mamma piangere, dovrebbero imparare a praticare questo mantra. Essi dovrebbero praticare la respirazione profonda in/out e poi andare da quella persona, prendere la sua mano nella loro mano e dire: "Tesoro, so che soffri e io sono qui per te, davvero, io sono qui per te." Questo un grande sollievo.

Il quarto mantra è solo per gli adulti perché è un po’ più complicato. Io vorrei che anche questo terzo mantra fosse scritto in Inglese, Italiano, Tedesco, e nel vostro stile di calligrafia scritta - e dovrebbe essere decorato con molto amore e cura. Ne farete un capolavoro. E per farlo, non aspettate solo di essere a casa, ma vi chiedo di scrivere i tre mantra qui e ora, con molto belle decorazioni. E quando  sarete a casa, metteteli sulla parete della vostra camera o nel soggiorno, fate voi. Ma io mi aspetto che sarete in grado di praticarli. E questa non è la pratica solo per i bambini, questa è la pratica per tutti. Anche se avete settanta o ottanta anni, potete ancora praticarli; anche ad ottanta anni si può ancora praticarli e questo può portare un sacco di felicità in casa. Provateci per un paio di settimane, e vedrete che la situazione in casa si trasformerà molto drasticamente. Così, la comunicazione viene ripristinata. Siamo interessati alla felicità, al dolore e alla sofferenza di ogni membro della famiglia. E naturalmente questa pratica è facile, semplice, e chiunque può farla.

Ora, quando sentite la campanella, vi prego di alzarvi in piedi e inchinarvi a tutto il Sangha prima di uscire. [Suona la campanella e i bambini escono…]

Ora una storia. Al tempo del Buddha, vi era un laico di nome Anathapindika. Il suo vero nome era Sudatta. Anathapindika era un nome datogli dal popolo della città perché tutti lo amavano. Aveva un buon cuore. Egli era un ricco commerciante, un uomo d'affari, ma spendeva molto del suo tempo e denaro a prendersi cura dei poveri, delle persone che erano state abbandonate, bambini, orfani, e così via. Ecco perché dal popolo della sua città, Shravasti, a lui fu dato il titolo "Anathapindika", che significa "la persona che si prende cura di quelli isolati, quelli infelici", e così via. E fu ancora lui che invitò il Buddha a venire ad insegnare nel suo paese. Il Buddha prima di allora soggiornava nel paese di Magadha. Durante uno dei suoi viaggi a Magadha, Anathapindika scoprì lì la presenza del Buddha. Egli fu molto fortemente ispirato dall'insegnamento del Buddha, ed è per questo che poi lo invitò al suo paese, in Kosala. Ed è sempre lui che acquistò il più bel parco vicino alla città di Shravasti e lo offrì al Buddha per farne un monastero, il primo monastero in quel paese. In seguito, fu chiamato il Parco di Jeta, perché il proprietario del parco era stato un principe, il cui nome era Jeta.

Anathapindika provò un grande piacere nel servire il Buddha ed il Sangha, e la sua famiglia era una famiglia felice, perché la moglie e tutti i tre bambini seguivano l'insegnamento del Buddha. Ma non  tutti gli insegnamenti del Buddha erano stati dati, perché a quel tempo la gente pensava che i laici fossero troppo occupati e dovevano ricevere solo il tipo di insegnamenti che potevano permettersi di fare. Così il tipo più profondo degli insegnamenti veniva dato solo ai monaci e alle monache. Allora, Anathapindika spiegò ai monaci e alle monache che c’erano dei laici che erano in grado di praticare gli insegnamenti più profondi del Buddha, e disse loro: "Per favore, Venerabili, tornate indietro e dite al Signore Buddha che ci sono molte persone laiche che sono troppo occupate e quindi non possono permettersi di imparare e praticare l'insegnamento più profondo del Buddha, ma ci sono anche tra i laici coloro che sono molto capaci di imparare la pratica e questi insegnamenti più profondi…. "

In seguito, Anathapindika si ammalò e stava per morire. Questo avvenne dopo aver servito il Buddha per circa trent'anni. Il Buddha andò da lui a fargli visita, e dopodiché incaricò il Venerabile Sariputra, uno dei suoi migliori discepoli, di prendersi cura di Anathapindika. Un giorno, Shariputra apprese che Anathapindika era estremamente grave e poteva andarsene in qualsiasi momento; così egli si diresse nella stanza del fratello minore nel Dharma, il venerabile Ananda, e gli chiese di venire per una visita. Così entrambi andarono a casa di Anathapindika.

Quando Anathapindika li vide arrivare tutti e due fu molto contento. Cercò di mettersi a sedere, ma era troppo debole; non ci riusciva. Shariputra disse: "Amico mio, resta disteso lì dove sei. Non devi provare a metterti seduto, ci porteranno qualche sedia e noi ci metteremo seduti qui accanto a te". E dopo aver detto ciò, Shariputra chiese: "Caro amico, Anathapindika, come ti senti nel tuo corpo? Sta aumentando o diminuendo il dolore nel tuo corpo". E Anathapindika disse: "Venerabili, il dolore in me è in aumento per tutto il tempo; Soffro molto, e non diminuisce". E quando Shariputra sentì questo, disse: "Perché non pratichiamo la meditazione sui Tre Gioielli? Pratichiamo la respirazione dentro e fuori, e concentriamo la nostra attenzione sul meraviglioso Buddha, sul meraviglioso Dharma, e sul meraviglioso Sangha". Ed offrì la meditazione guidata sia per Anathapindika e sia anche per i monaci seduti lì e praticarono insieme al laico che era in punto di morte. Così, i due santi monaci sostennero un praticante laico in questo momento cruciale.

Shariputra era una persona estremamente intelligente. Egli era come la mano destra del Buddha, che si prendeva cura della comunità dei monaci, insegnando a molti di loro come un fratello, e lui sapeva esattamente di cosa aveva bisogno il morente Anathapindika. Così prima di tutto offrì la meditazione sui Tre Gioielli, perché sapeva molto bene che la gioia più grande di Anathapindika era di servire il Buddha e il Sangha. Egli aveva fatto di tutto per rendere più confortevoli il Buddha e il Sangha. Perciò, meditare sul Buddha, sul Dharma e sul Sangha, avrebbe portato gioia e felicità, che avrebbe controbilanciato il dolore nel corpo. Tutti noi abbiamo da imparare da ciò, perché in noi ci sono i semi della sofferenza e ci sono i semi della gioia. Se noi impariamo a sapere come attivare i semi di gioia, essi saranno innaffiati e l'energia della felicità e della gioia sarà abbastanza forte per controbilanciare, e per rendere la persona meno sofferente.

Il Buddha è uno che ha la capacità di essere lì, di essere consapevole, di avere la comprensione, di essere in grado di amare e accettare, di essere gioioso. Ci sono dieci titoli del Buddha che la gente dovrebbe ripetere per attivare quelle qualità - la gioia e la pace del Buddha. Dopo aver meditato sul Buddha, essi meditano sul Dharma. Il Dharma è un percorso che può portare sollievo e gioia e pace a noi subito, non abbiamo bisogno di aspettare. Il Dharma non è una promessa di felicità nel futuro. La pratica del Dharma non è una questione di tempo; non appena abbracciate il Dharma e la pratica, cominciate subito a ottenere sollievo e trasformate la vostra sofferenza. E il Sangha è composto dai membri che praticano la concentrazione, la consapevolezza, la saggezza, la gioia e la pace. Affinché la mente attivi questi meravigliosi gioielli - lasciate che essa innaffi il seme della felicità in voi. Dopo circa dieci minuti di una simile pratica, Anathapindika si sentiva già molto meglio.

La prossima volta quando vi siederete vicino ad una persona morente, dovreste praticare in questo stesso modo. Voi siete lì, presente al cento per cento, con la stabilità, la solidità, e la pace. Questo è molto importante. Voi siete il sostegno di tale persona morente, e lui o lei ha molto bisogno della vostra stabilità, la vostra pace. Per accompagnare una persona morente, è necessario fare del vostro meglio - non aspettate fino a quel momento per praticare. Dovete praticare sempre nella vostra vita quotidiana per coltivare la vostra pace, la vostra solidità. Allora potrete vedere dentro la persona, e si riconoscono i semi della felicità che sono sepolti nel profondo di lui o di lei, e voi potrete giusto dare acqua a questi semi. Ognuno ha i semi della felicità. Dobbiamo saperlo in anticipo. E nel momento in cui si parla a lui o a lei, utilizzerete la meditazione guidata, per aiutare lui o lei ad attivare i semi della felicità dentro di lui o di lei.

Diversi anni fa, ero in procinto di condurre un ritiro nella parte settentrionale dello stato di New York, e venni a sapere che il nostro amico Alfred Hassler stava morendo in un ospedale Cattolico là nelle vicinanze. Così decidemmo di fermarci e trascorrere del tempo con lui. Alfred era stato molto attivo durante la guerra del Vietnam. Era stato direttore della ‘Fellowship of Reconciliation’ a New York, e ci aveva sostenuto con tutto il cuore nel portare il messaggio di pace da parte del popolo Vietnamita, e aveva lavorato molto duramente per ottenere un ‘cessate il fuoco’ e una negoziazione tra le parti in conflitto. Ora, stava morendo lì, ed io e la sorella Chan Khong, e circa sei o sette di noi, eravamo in una limousine, e ci siamo organizzati per poter fermare il ritiro. Solo a me e a Sister Chan Khong ci fu permesso di entrare; gli altri rimasero in attesa in macchina. Quando fummo arrivati, Alfred era già in coma e Laura, sua figlia, cercava di richiamarlo, "Alfred, Alfred, Thay è qui, Sister Chan Khong è qui!" Ma lui non tornò indietro.

Io chiesi a Sister Chan Khong di cantare una canzone per lui; la canzone era stata scritta da me e le parole sono state prese direttamente dal SamyuttaNikaya: "Questi occhi non sono me, io non sono catturato in questi occhi. Io sono vita senza dei limiti, io non sono mai nato, e non potrò mai morire. Guardami, sorridimi, prendi la mia mano. Noi, ora, ti diciamo addio, ma ci rivedremo presto dopo di ora. E ci incontreremo l’un l’altro in ogni altra vita". Sister Chan Khong poi cominciò a cantare a bassa voce quella canzone. Si potrebbe pensare che se Alfred era in coma, non poteva sentirla. Ma non dovete esserne troppo sicuri, perché dopo che la canzone fu cantata due o tre volte a bassa voce, Alfred tornò a se stesso - si risvegliò. Così anche voi potete parlare con una persona che è in coma. Non scoraggiatevi, parlate a lui o lei, come se la persona fosse sveglia. Ecco un modo di comunicare. Noi rimanemmo molto contenti che egli aveva recuperato la sua coscienza e Laura disse: "Alfred, sai che Thay è qui con te, Sister Chan Khong è qui con te." Alfred non era in grado di parlare. Era stato alimentato con glucosio e cose del genere. Non poteva dire una parola, ma i suoi occhi dimostrarono che egli era consapevole che noi eravamo lì. Gli massaggiai i piedi e gli chiesi se era consapevole del tocco del mio massaggio. Quando Laura glielo chiese, i suoi occhi risposero che egli era consapevole che stavo massaggiando i suoi piedi.

Quando si sta morendo, si può avere una vaga sensazione del proprio corpo; non si sa esattamente se il nostro corpo è lì. Quindi, se qualcuno ci strofina o massaggia le braccia o i piedi, questo fatto ci aiuterà, e ciò ristabilirà una sorta di contatto e di consapevolezza che il nostro corpo è ancora lì. Sister Chan Khong cominciò a praticare esattamente come Shariputra; lei cominciò a innaffiare i semi della felicità in Alfred. Anche se Alfred non aveva passato molto del suo tempo al servizio del Buddha, e del Sangha, egli aveva trascorso molto tempo a lavorare per la pace. Così Sister Chan Khong stava innaffiando i semi del lavoro di pace in lui. "Alfred ti ricordi di quando stavi a Saigon ed eri in attesa di vedere il monaco superiore Tri Quang? A causa dei bombardamenti Americani, Tri Quang non era disponibile a vedere nessun Occidentale. E tu ricevesti una lettera da Thay e dovevi consegnarla a Tri Quang? Non ti fu permesso di entrare, così ti sedesti fuori della porta, e infilasti sotto la sua porta un messaggio in cui dicevi che avresti osservato un digiuno fino a quando la porta non si fosse aperta, e non hai dovuto aspettare a lungo perché appena dieci minuti dopo, Tri Quang aprì la sua porta e ti invitò ad entrare? Ti ricordi di questo, Alfred?" E lei cercava di rinfrescare i ricordi di Alfred su questi eventi felici.

"Alfred, ti ricordi di quell’evento a Roma, in cui trecento preti Cattolici stavano manifestando per la pace nel Vietnam? Ognuno di loro portava il nome di un monaco buddhista incarcerato in Vietnam, - perché questi monaci buddhisti avevano rifiutato di essere arruolati nell'esercito e obbedire alle leggi dell'esercito. Da lì, noi abbiamo fatto del nostro meglio per rendere nota la loro sofferenza. Così a Roma, trecento preti Cattolici con indosso i nomi di trecento monaci buddhisti in carcere in Vietnam fecero una parata, ti ricordi?" Tutti questi ricordi gli tornarono in mente. Sister Chan Khong continuò a praticare, esattamente come Shariputra. A un certo punto, Alfred aprì la bocca e parlò. Egli disse, "Meraviglioso, meraviglioso," due volte, e questo fu tutto. Uno o due minuti dopo, egli sprofondò di nuovo in coma e non tornò più. Altre sei persone stavano aspettando nella limousine, e quella sera poi abbiamo dovuto dare un colloquio di orientamento a quattro o cinquecento praticanti, così io ho consigliato a Laura e a Dorothy, la moglie di Alfred, che se lui fosse tornato, dovevano continuare lo stesso tipo di pratica: massaggiare e annaffiare i semi della felicità in lui. E poi siamo andati via.

[Campana]


La mattina presto del giorno successivo, abbiamo ricevuto una chiamata telefonica in cui ci veniva detto che Alfred era morto molto pacificamente, solo un'ora o un'ora e mezza dopo che lo avevamo lasciato. Sembra che ci stesse aspettando, e dopo quel nostro incontro si vede che era pienamente soddisfatto ed è morto in pace. Quando la sorella di Sister Chan Khong stava morendo in California, lei soffriva molto nel suo corpo. Si trovava in coma in ospedale, ma aveva molto dolore nel corpo; e piangeva e gridava, e tutti i suoi figli non sapevano cosa fare, perché non avevano ancora imparato nulla dal Dharma. Quando Sister Chan Khong entrò nella stanza e vide questo, cominciò a cantare. Ma il suo canto era troppo debole rispetto al lamento e al pianto della persona che stava morendo. Così Sister Chan Khong utilizzò un registratore a cassette e un nastro con il canto, come quello che avete sentito questa mattina, "NamoAvalokiteshvaraya, Bodhisattva Avalokiteshvara". Lei si mise un auricolare e alzò il volume piuttosto alto. In pochi minuti, tutta l'agitazione, tutta la sofferenza, tutto il pianto si fermò, e da quel momento e fino alla sua morte, lei rimase molto tranquilla.

Fu come un miracolo, e tutti i suoi figli non capivano perché, ma noi lo sappiamo. Dato che anche lei aveva il seme del Buddhadharma in lei, aveva sentito il canto, aveva avuto contatti con la pratica - il canto, l'atmosfera della pratica. Ma poiché aveva vissuto troppi anni in un ambiente dove l'atmosfera di calma e di pace non era disponibile, molti strati di sofferenza l’avevano ricoperta, ed ora il canto la stava aiutando anche se era in coma. Il suono la penetrò e l'aiutò a attivare ciò che era nel profondo della sua mente. Grazie a quel miracolo che la collegò con i semi di pace e tranquillità dentro di essa, lei fu in grado di calmare tutta la sua agitazione e il pianto, e rimase molto calma fino alla sua morte. Quindi, ciascuno di noi ha in sé quel tipo di semi…, semi di felicità, semi di pace e semi di tranquillità. Se sappiamo come attivarli, noi saremo in grado di aiutare una persona a morire, e a morire in pace. Dobbiamo fare del nostro meglio durante questi momenti - dobbiamo essere calmi, stabili, tranquilli, e presenti al fine di aiutare una persona morente. La pratica buddhista di attivare ‘l’Ultimo’, dovrebbe essere praticata anche nella nostra vita quotidiana, e non dobbiamo aspettare fino a quando stiamo per morire per praticarlo. Perché, se noi sappiamo come mettere in pratica il toccare in profondità il mondo fenomenico nella nostra vita quotidiana, noi siamo in grado di toccare il mondo dell'Assoluto, la dimensione ultima della realtà nella nostra vita quotidiana. Quando beviamo la nostra tazza di tè, quando si guarda la luna piena, quando si tiene la mano di un bambino, o si cammina insieme con un bambino, se lo si fa molto profondamente, consapevolmente, con concentrazione, allora si è in grado di toccare la dimensione ULTIMA della realtà, e questa è la crema del vero insegnamento buddhista del ‘toccare l’Ultimo’.

L'altro giorno noi abbiamo parlato dell'onda, del vivere la vita di un onda, ma al tempo stesso si può anche vivere la vita dell’acqua (dentro di lei). L’onda non deve morire per diventare l’acqua, perché l'onda è già l'acqua nel momento presente. Ognuno di noi ha la sua dimensione ULTIMA - potete chiamarla "il regno di Dio", o il Nirvana, o il Nulla. Ma questa è la nostra ultima dimensione, l'ultima dimensione  della nostra realtà. Se nella nostra vita quotidiana noi viviamo in modo superficiale, non possiamo toccarla. Ma se impariamo a vivere la nostra vita quotidiana in un modo profondo, saremo in grado di attivare il Nirvana, il mondo della non-nascita e della non-morte, proprio nel “qui ed ora”. Questo è il segreto della pratica che potrà aiutarci a superare la paura della nascita e della morte.

Dopo aver guidato Anathapindika alla pratica dell’annaffiare i semi della felicità in lui, il Venerabile Shariputra continuò con la pratica del guardarsi in profondità: "Caro amico Anathapindika, ora è il momento di praticare la meditazione sulle sei basi sensoriali. Inspira e praticala con me, poi espira e praticala con me. Questi occhi non sono me, io non sono catturato in questi occhi. Questo corpo non sono io, io non sono preso in questo corpo. Io sono vita senza confini. Il decadimento di questo mio corpo non significa la fine di me. Io non sono limitato a questo corpo". Così continuarono a praticare, in modo da “abbandonare l'idea che noi siamo questo corpo, che siamo questi occhi, siamo questo naso, siamo questa lingua, che siamo questa mente”. Poi, hanno meditato anche sugli oggetti dei sei sensi: "Le forme non sono me, i suoni non sono me, gli odori non sono me, i gusti non sono me, il tatto e i contatti con il corpo non sono io; Io non sono preso in questi contatti con il corpo. Questi pensieri non sono me, queste nozioni non sono io, io non sono preso in questi pensieri e in queste nozioni". E meditarono sulle sei coscienze: ‘La vista, l’udito, la coscienza basata sul naso, la coscienza basata sulla lingua, la coscienza basata sul corpo, la coscienza basata sulla mente’; "Io non sono catturato nella coscienza basata sul corpo. Io non sono catturato nella coscienza basata sulla mente" (In data 23 Giugno 1997, ho dovuto un po’ riorganizzare qui - per separare le sei basi dei sensi, degli oggetti e delle coscienze).

Così continuarono a praticare, per non abbandonare l'idea che noi non siamo questo corpo, né siamo questi occhi, né siamo il naso, né siamo questa lingua, non siamo questa mente, neanche gli oggetti di queste sei basi di senso – la vista, l’udito, coscienza basata sul naso, coscienza basata sulla lingua, la coscienza basata sul corpo, la coscienza basata sulla mente. "Le forme non sono me, i suoni non sono me, gli odori non sono me, i gusti non sono me, i contatti con il corpo non sono me; Io non sono preso in questi contatti con il corpo". Poi meditarono sui sei elementi: "Io non sono l'elemento terra in me, io non sono preso nell'elemento terra. L'elemento acqua in me, non sono io; io non sono preso nell’elemento acqua". Poi andarono avanti con gli elementi dell’aria, lo spazio, il fuoco, e infine la coscienza. Finalmente arrivarono alla meditazione di ’Essere e non-essere, andare e venire’.

"Caro amico Anathapindika, tutto ciò che esiste sorge a causa di cause e condizioni. Tutto ciò che è, ha la natura di ‘non nascere e non morire’, di non arrivare e non partire" - Quando guardiamo questo foglio di carta, potremmo pensare che ci sia stato un momento in cui il foglio di carta ha cominciato ad essere, e ci sarà un momento in cui questo foglio smetterà di essere. Sentenziando: Essi stavano meditando sull’essere e non-essere.

Noi pensiamo che prima di nascere non esistevamo, e pensiamo che dopo la morte diventeremo un nulla, poiché nella nostra mente noi abbiamo l'idea che nascere significa "diventare improvvisamente qualcosa dal nulla". Diventare improvvisamente Qualcuno partendo da nessuno - questa è la nostra idea della nascita. Ma com’è possibile che dal nulla un qualcosa possa diventare qualcosa, e che da ‘nessuno’ si possa diventare qualcuno? Tutto questo è molto assurdo.

Guardate questo foglio di carta, possiamo pensare che il momento della sua nascita è stato quando la pasta è stata fatta diventare questo foglio di carta. Ma questo foglio di carta non è nato dal nulla! Se guardiamo in profondità in questo pezzo di carta, si può vedere che esso c'era già prima della sua "nascita", sotto la forma di un albero, sotto forma di acqua, sotto forma di sole, perché con la pratica del guardare in profondità noi possiamo vedere la foresta, la terra, il sole, la pioggia, tutto lì. Quindi, la cosiddetta "nascita" del foglio di carta è solo una "continuazione". Il foglio di carta era esistito per lungo tempo in varie forme. La "nascita" del foglio di carta è solo una continuazione. Non dobbiamo farci ingannare dalla apparente ‘comparsa’. Ora, sappiamo che il foglio di carta non è mai realmente nato. E' sempre stato lì, perché il foglio di carta non è venuto dal nulla. Può ‘qualcosa’ diventare dal nulla, improvvisamente, un qualcosa? Da nessuno, può improvvisamente nascere un ‘qualcuno’? Questo è molto assurdo. Niente può essere così. Così il giorno della nostra nascita è solo un giorno di continuazione e la pratica della meditazione è proprio il guardare in profondità in noi stessi per poter vedere la nostra vera natura. Ciò significa che la nostra vera natura è la natura di ‘non-nascita e non-morte’. Nessuno che nasce e nessuno che muore, questa è la nostra vera natura. Noi siamo abituati a pensare che ‘essere nati’ significa che dal nulla si diventa “qualcosa”. Questa idea, questo concetto è sbagliato, perché nessuno può dimostrare questo fatto. Non solo questo foglio di carta, ma anche quel fiore, questo libro, questo thermos, erano qualcos'altro prima di essere "nati". Quindi nulla nasce dal nulla. Lo scienziato francese Lavoisier disse, "Rien ne se crée"… Nulla si crea…. Non c'è nascita. Lo scienziato non è un insegnante di buddhismo, ma ha detto una frase esattamente con lo stesso tipo di parole che si trovano nel Sutra del Cuore. "Nulla si crea, e nulla si perde (o muore)". Detto qui: E’ la stessa verità che è detta dalla bocca di uno scienziato. Cerchiamo di bruciare questo foglio di carta per vedere se siamo in grado di ridurlo in niente. Forse avete un fiammifero o qualcosa del genere? Siate attenti e osservate.... Sappiamo che è impossibile ridurre nulla in un nulla. Potrete notare il fumo che si sprigiona. Dov’è adesso? Una parte del foglio di carta ora è diventato fumo, si è unito in una nuvola. Possiamo vederlo anche domani nella forma di una goccia di pioggia. Questa è la vera natura del foglio di carta. E' molto difficile per noi cogliere il ‘venire e andare’ di un foglio di carta. Ci rendiamo conto che una parte della carta è ancora lì, da qualche parte nel cielo, sotto forma di una nuvoletta. Quindi possiamo dire: "Ciao! Arrivederci, ci vediamo ancora domani." Quando io brucio il foglio, esso è caldo e mi dà molto calore sulle dita. Il calore che è stato prodotto dalla combustione è penetrato anche nel mio corpo e nel vostro. È venuto dal cosmo, e se voi disponete di uno strumento molto sofisticato, vi sarà possibile misurare l'effetto di quel calore su ogni cosa, anche a diversi chilometri da qui. Quindi questa è un'altra direzione verso cui il foglio di carta è andato. Esso è ancora lì, in noi e intorno a noi. Non abbiamo bisogno di molto tempo per vederlo di nuovo. Potrebbe essere già nel nostro sangue. Come cenere. E un giovane monaco può fare ritorno al suolo, e forse l'anno prossimo quando troverai una foglia di lattuga, è la continuazione di questa cenere. Quindi è chiaro che non è possibile ridurre nessuna cosa a nulla, e tuttavia noi continuiamo a pensare che morire significa che da qualcosa uno diventa nulla, e da qualcuno proprio tu diventerai nessuno. È mai possibile? Quindi la dichiarazione, "Rien ne se crée, rien ne se perd", nulla è realmente nato, nulla può morire, si sposa alla perfezione con l'insegnamento del Buddha sulla natura di non-nascita e non-morte. La nostra paura nasce dalle nozioni - nozioni di essere e non-essere, nozioni di nascita e morte. Non appena siamo venuti al mondo ci viene insegnato che prima c’era il "non-essere", dopo che siamo nati noi crediamo che questo sia "essere", e dopo la morte pensiamo che ci sarà di nuovo il "non-essere". Quindi non solo le nozioni di nascita e morte sono le cause dell’imprigionamento nella nostra paura, ma le nozioni di essere e non-essere devono proprio essere trascese. Questo è il cuore dell’insegnamento buddhista - mettere a tacere tutte le nozioni e le idee, ivi comprese le nozioni di nascita e morte, di essere e non-essere. Cos’è il Nirvana? Il Nirvana è il soffiar via tutte le nozioni, le nozioni che servono come base della paura e della sofferenza.

L'altro giorno avevamo a che fare con il concetto di felicità. Anche la nozione di felicità può renderci infelici, può essere in grado di creare un sacco di miseria per noi. Anche questo è uno dei concetti che devono essere trascesi. Ci sono concetti inseriti nella nostra mente che sono la base delle nostre paure e della sofferenza: le nozioni di essere e non-essere, nozioni di nascita e morte, dell’andare e venire. Da dove siamo venuti e dove andremo? Anche l'idea di andare e venire è una nozione che si dovrebbe trascendere. E ancora: La nozione che uno e lo stesso sono differenti? [Campana]


 

Questa è la meditazione guidata data a Anathapindika da Shariputra: “Tutto ciò che è, ha la natura di non nascere e non morire. Nessuna nascita e nessuna morte. Nessun arrivare e nessun partire. Non c’è venire, non c’è andare. Quando il corpo sorge, esso sorge; non viene da nessuna parte. Quando il corpo muore, esso cessa; non va da nessuna parte. Il corpo non è inesistente prima che esso appaia. Il corpo non è esistente dopo che scompare. E ancora: Non è a causa della manifestazione del corpo che si può percepire il corpo e pensare che il corpo c’è. E neanche è a causa del fatto che non si può percepire il corpo che lo si può qualificare come non-essere. Quando le condizioni sono sufficienti c'è una manifestazione, e se percepite quella manifestazione, voi la qualificate come ‘essere’. Invece, se le condizioni non sono più sufficienti, e non potete percepirlo, voi lo qualificate come ‘non-essere’. Voi siete imprigionati in queste due nozioni.

E' come se voi veniste a PlumVillage nel mese di aprile e, guardando, non vedreste nessun girasole. Guardandovi in giro voi direste che non ci sono girasoli tutt’intorno. Ma questo non è vero. I semi di girasole sono stati seminati. Tutto è pronto, in quel momento. Solo i contadini e i loro amici, quando guardano le colline intorno a PlumVillage, possono già vedere i girasoli. Ma voi non siete abituati ad una cosa così, e vi tocca aspettare fino al mese di luglio, al fine di riconoscere e percepire i girasoli. Quindi, se dalla vostra percezione, voi qualificate le cose come "essere" o "non-essere" beh, allora voi state perdendo di vista la realtà. Il fatto che le cose non siano da voi percepite non le rende un ‘non-essere’, cioè inesistenti. E solo per il fatto che voi potete percepirle, non significa che possiate qualificarle come ‘essere’, cioè esistenti. E’ solo un fatto di cause e condizioni. Se le condizioni sono sufficienti, allora le cose sono evidenti, e si possono percepire; e per questo che si dice che "sono".

Ecco perché, nella meditazione profonda, noi dobbiamo trascendere tutte queste idee, tutte queste nozioni, e così possiamo vedere quello che gli altri non possono vedere. Guardando nel fiore, si può vedere la spazzatura, si può vedere la nuvola, si può vedere il terreno, si può vedere il sole. Senza troppa fatica, si può vedere che un fiore "inter-è" (o inter-esiste) con tutto il resto, compreso il sole e la nuvola. Sappiamo che se togliamo il sole o la nuvola, il fiore sarà impossibile. Il fiore è lì perché le condizioni sono sufficienti per essere; noi lo percepiamo e diciamo, "Il fiore esiste." E quando queste condizioni non vengono insieme, e voi non lo percepite, e allora dite: "Non è lì." Così noi siamo presi e catturati dalle nostre nozioni di essere e non-essere. La dimensione ultima della nostra realtà non può essere espressa in termini di essere e non-essere, di  nascita e morte, di venire e andare...

È come l'acqua che è la sostanza delle onde. Parlando di un’onda, si può parlare della "nascita" di un'onda, o della "morte" di un'onda. L'onda può essere "alta" o "bassa", "questa" o "altra", "più" o "meno" bella: ma tutte queste nozioni e termini non possono essere applicati per l'acqua, dato ché l'acqua è l'altra dimensione delle onde. Così, la dimensione ultima della nostra realtà è già in noi, e se possiamo attivarla, potremo trascendere la paura di ‘essere e non-essere’, ‘nascita e morte’, ‘venire e andare’. Per i meditatori buddhisti, "essere o non essere", non è questo il problema! Perché essi sono in grado di attivare la VERA realtà della non-nascita e non-morte; nessun essere, nessun non-essere. Bisogna trascendere entrambi i concetti -essere e non-essere,- perché questi concetti costituiscono il fondamento delle vostre paure.

Sarebbe un peccato se noi praticassimo solo per ottenere un tipo di sollievo relativo. Il sollievo più efficace è possibile solo quando si attiva il nirvana. Nirvana significa la dimensione ultima del nostro essere, in cui non c'è nessuna nascita, nessuna morte, nessun essere, nessun non-essere. Ognuna di queste nozioni viene interamente rimossa. Ecco perché ‘nirvana’ significa "estinzione" – l’estinzione di tutte le nozioni e concetti, e anche l'estinzione di ogni sofferenza che sorge da questi concetti, come la paura, le ansie e le preoccupazioni. Non appena noi cominciamo ad attivare il mondo fenomenico, vediamo che c'è la nascita, c'è la morte, c'è l'impermanenza, e c’è un tipo egoistico di non-sé. Ma, se si comincia a toccare in profondità il mondo dei fenomeni, si scopre che la base di tutto è il nirvana. Non solo le cose sono impermanenti, ma sono anche permanenti. Di solito, noi trascendiamo l'idea di permanenza, e trascendiamo anche l'idea di impermanenza. L'impermanenza è considerata come un antidoto, in modo da potersi liberare dal concetto di permanenza. E, dato che noi siamo imprigionati dall'idea di un sé, anche il non-sé è un dispositivo per aiutarci a ottenere la liberazione dalla nozione di un sé. Riuscendo ad attivare l'Assoluto, non solo ci si può liberare dal concetto di un sé, ma si può anche eliminare la nozione di non-sé. E, se in voi ora c’è la nozione di nirvana, beh, vi prego di fare del vostro meglio per eliminarla al più presto possibile, perché il nirvana è l’eliminazione di tutte le nozioni, compresa la stessa nozione di nirvana!

Anathapindika era un praticante molto abile. Quando meditava su questo punto, egli era così scosso da ottenere subito l’intuizione (insight). Egli fu in grado di attivare la dimensione di non-nascita e di non-morte. All’improvviso si era liberato dall'idea che lui era ‘questo corpo’. Egli si era liberato dalle nozioni di nascita e morte, dalle nozioni di essere e non-essere, e improvvisamente aveva raggiunto lo stato di non-paura. Il Venerabile Ananda lo vide piangere di felicità, grazie a questo tipo di rilascio. Ma Ananda non riusciva a capire quello che realmente stava accadendo al laico Anathapindika, e così disse: "Mio caro amico, perché piangi? Perché sei dispiaciuto? Forse pensi di aver sbagliato qualcosa nella tua pratica di meditazione?" Ananda era molto preoccupato. Ma Anathapindika disse: "Signore Ananda, io non rimpiango nulla. Ho praticato con molto successo". Quindi Ananda gli chiese, "Allora,

perché piangi?"- Anathapindika disse:" Venerabile Ananda, piango perché sono molto commosso. Io ho servito il Buddha, il Dharma e il Sangha per più di trent'anni, eppure non ho ricevuto nessun tipo di insegnamento che sia profondo come quello di oggi. Perciò sono così felice di averlo ricevuto e di aver praticato questo insegnamento". E Ananda disse: "Caro amico, questo tipo di insegnamento noi monaci e monache lo riceviamo ogni giorno."

Dovete sapere che Ananda era molto più giovane di Shariputra. Perciò, Anathapindika disse questo: "Venerabile Ananda, vi prego di tornare a casa e dire al Signore Beato che ci sono laici che sono così occupati che non possono ricevere questo tipo di insegnamento profondo, ma tra di noi ce ne sono alcuni che, anche se laici, hanno il tempo, l'intelligenza e la capacità di poter ricevere questo tipo di insegnamento e pratica". E quelle poi furono le ultime parole pronunciate dal laico Anathapindika.

Il Venerabile Ananda promise di far ritorno al boschetto di Jeta e riferire tutto ciò al Buddha, e nel sutra è riportato che non molto tempo dopo la partenza dei due monaci, il laico Anathapindika morì serenamente e felice.

In un sutra, c’è un discorso chiamato "Gli insegnamenti da dare ai malati". Potete trovarlo in inglese nel ‘PlumVillageChanting Book’. Stiamo lavorando su una nuova versione del PlumVillageChanting Book, ma nella presente edizione questo testo c’è già. Questo testo è disponibile in Pali, in Cinese, e ci sono diversi altri testi che offrono lo stesso tipo di insegnamento. Quindi, vorrei raccomandarvi di studiare questo testo e di fare insieme una discussione di Dharma, al fine di approfondire la nostra comprensione della dottrina, e sul modo di come mettere in pratica questo insegnamento di Buddha nel miglior modo possibile.

Se qualcuno di voi è uno psicoterapeuta, o un assistente sociale, o anche se siete un individuo che ha modo di aiutare una persona morente, è molto importante studiare questo tipo di insegnamento e metterlo in pratica nella vostra vita quotidiana. E anche se siete semplicemente un meditatore, che vorrebbe approfondire la pratica, ritagliatelo; chi vuole sbarazzarsi della sua paura, la sua mancanza di stabilità, la sua rabbia, allora lo studio e la pratica di questo sutra vi aiuterà ad ottenere molta più stabilità, assai più pace, e soprattutto la base della non-paura, così che quando arriverà il momento, sarà possibile affrontarla in un ambiente molto tranquillo e in un modo facile, perché si suppone che un giorno tutti noi dovremo morire. Anche se teoricamente in questo insegnamento non c'è nascita né morte, se noi siamo in grado di vivere la nostra vita quotidiana in modo tale che si possa toccare la dimensione ultima, allora quel momento non sarà affatto un problema per tutti noi. Nella mia vita quotidiana io pratico sempre il ‘guardare’ le cose intorno a me, le persone intorno a me, e me stesso; e posso già vedere la mia ‘continuazione’ in questo fiore, o quel cespuglio, o quel giovane monaco, o in quella giovane monaca, o in quel giovane laico. Vedo che noi apparteniamo alla stessa realtà, che stiamo facendo del nostro meglio come Sangha, noi portiamo i semi del Dharma un po’ dappertutto, e cerchiamo di rendere felici le persone intorno a noi; quindi non vedo il motivo per cui devo morire, per poter vedere me stesso in voi, in altre persone, in molte generazioni. Ecco perché ho promesso ai bambini che io supererò il colle del ventunesimo secolo insieme con loro.

Dalla cima del colle, nel 2050, io guarderò verso il basso e potrò godere ciò che oggi è lì insieme con i giovani. Il giovane monaco PhapCanh ora ha ventuno anni, e quando sarà sulla sommità del colle ne avrà settantacinque! E naturalmente io sarò con lui, mano nella mano, e ci affacceremo insieme per vedere il paesaggio del ventunesimo secolo. Così, come Sangha, noi saliremo tutti insieme sulla collina del XXI secolo. Tutti faremo del nostro meglio così che la scalata sarà piacevole e tranquilla, e avremo tutti i bambini con noi, perché sappiamo che non moriremo mai. Noi saremo lì per sempre per e con loro.


 

 

Cari amici, queste trascrizioni dei discorsi di Dharma sono insegnamenti dati dal Venerabile ThichNhatHanh a PlumVillage o nei vari ritiri in tutto il mondo. Gli insegnamenti coprono tutte le aree di interesse per gli operatori: dal trattare con le emozioni difficili, a realizzare la natura dell'Interessere di noi stessi, e molto altro ancora.

Questo progetto si basa sulla generosità (Dana) così che questi colloqui possono continuare a essere messi a disposizione di tutti. È possibile inoltrarli e ridistribuirli via email, e potete anche ristamparli e distribuirli ai membri del vostro Sangha. Quest’opera ha la licenza del Creative CommonsAttribution -Non Commercial-No Derives 3.0 Unported Creative Commons License.

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(VersioneOriginale)

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Meditations for the Sick and Dying

Posted on August 5, 2013 by Plum Village

Dharma Talk given by ThichNhatHanh on August 11, 1996 in Plum Village, France.

© ThichNhatHanh

 

Today is the eleventh of August 1996, we are in the Lower Hamlet, and our Dharma talk will be in English. Today we are going to learn the practice of the four mantras, because this is the kind of practice that I would like everyone to bring home and do every day. It’s very pleasant and it’s easy. A mantra is a magic formula. Every time you pronounce a mantra, you can transform the situation right away; you don’t have to wait. It is a magic formula you have to learn to recite when the time is appropriate. And the condition that makes it effective is your mindfulness, your concentration. It means that this mantra can only be recited when you are perfectly mindful and concentrated. Otherwise, it would not work. But you don’t need to be mindful or concentrated one hundred percent; even eighty percent can produce a miracle. And we all are capable of being mindful and concentrated.

 

The first mantra is “Darling, I am here for you.” I wish that children from Italy would practice it in Italian, French children would practice in French, Vietnamese in Vietnamese, and so on. We don’t have to practice it in Sanskrit or Tibetan. Why do we have to practice this mantra, “Darling, I am here for you?” Because when you love someone, you have to offer him or her the best you have. And the best that you can offer your beloved one is your true presence. Your true presence is very important to him or to her.

 

I know a young man of eleven or twelve years old. One day his father asked him, “Tomorrow will be your birthday. What do you want? I’ll buy it for you.” The young man was not very excited. He knew that his father was a very rich person—the director of a large corporation—and he could afford to buy anything the young man wanted. He was extremely rich, so it was no problem at all to buy a birthday gift for his son. But the young man didn’t want anything. He was not very happy, and not because he did not have many things to play with. He was not happy because his father was not with him—he was always absent. He never spent enough time at home. He traveled like an arrow. And what the young man needed the most was the presence of his father. He had a father, but it did not seem very clear that he had a father, because the father was so busy.

 

You know when someone is rich, he has try to work very hard in order to continue to be rich; that is the problem. Once you are rich, you cannot afford to be poor. That is why you have to use all your time and energy in order to work, work, work, day and night, in order to keep being rich. And I have seen many people like that. So the father does not have time for his children. Although the children in principle have a father, they don’t really have one. What they need the most is the presence of their father beside them. So the young man did not know what to say. But finally he got enlightened. He said, “Daddy, I know what I want.” “What?” And the father was waiting for an electric train, or something like that. The young man said, “I want you!” And it is very true, that children—if they don’t have their father or their mother beside them—are not very happy. So what they want the most is the presence of the person they love.

 

When you love someone, the most precious gift you can make to him or her is your true presence. That is why you have to practice in such a way that you are there. You are there one hundred percent and you look at him or her, and you say, “Darling, I am really here for you.” That is the greatest gift that we can make to our most beloved one. But this is not only a statement. You know a mantra is not a statement. A mantra is something you utter out of reality—that means you have to be there one hundred percent in order for what you say to become a true mantra. So in order to be really there you need one minute or two of practice—you breathe in: “Breathing in, I am calm, breathing out, I smile. Breathing in, I am really here, breathing out, I’m really here.” You do that a few times, and suddenly you are really there. It’s wonderful. You are not caught with your problems, you are not caught with your projects, you are not caught by the future, or by the past.

 

You are really there, available, to the person you love. Then when you are sure that you are truly there—body and mind together—you go in the direction of the person you love, and looking at him or her mindfully, knowing that that person is really there and you are there, you smile and you say, “Darling, I am here for you, I am really here for you.” To many of us that is the greatest gift that we can make to our beloved one. If the father understood that, he would practice mindful breathing or walking for a few minutes, he would stop all his projects, he would cancel one of his meetings and just sit down, really close to his boy, and he would put his arm around the little boy, and look into the eyes of his boy and say, “Darling, this time I’m really here for you.” That is a very wonderful moment, that is a moment when life is really real and deep: father is there and son is there. Love is there because they are there for each other, they are available to each other. When you love someone, you have to make yourself available to the person you love. And this is the practice of meditation—to make yourself available one hundred percent as a gift to the person you love.

 

So I’d like the children to write that formula down on a sheet of paper in their own language, beautifully, and decorate it with flowers and fruits and birds. When you go home, you stick that mantra on your wall and you practice every day with the person you love. “Darling, I am really here for you,” that is the first mantra. My friends in America have painted that mantra on a tee-shirt. If you want, you might like to make a tee-shirt and paint that magic formula in Italian or French or German or Dutch. When you wear that tee-shirt, “Darling, I am here for you,” you might just look at that person and point to the mantra on your tee-shirt and smile.

 

The second mantra is, “Darling, I know you are there, and I am very happy.” This is also a very easy mantra to practice. Because to love means to acknowledge the presence of the person you love. In order to acknowledge that he is there or she is there, you have to have the time. If you are too busy, how can you acknowledge his or her presence? And the most important condition for doing this mantra is that you be there one hundred percent. If you are not there one hundred percent, you cannot recognize his or her presence. When you are loved by someone, you need that person to recognize that you are there—whether you are very young or seventy years old or eighty years old, you still behave the same way. We always need the other person to acknowledge that we are here. We want to be embraced by his or her attention. Not only children need that but adults also need that. We need to be embraced by the energy of mindfulness of the other person. So if you are there one hundred percent and you go to the other person, you look at him or her, you smile and you say, “Darling, I know you are there and I am very happy.” That is to recognize the presence of the person you love and to say that you are very happy that she is still alive, available to us at any time. You know such a practice can make the other person very happy right away—you don’t need to wait five minutes.

 

That is the Buddhadharma—effective right away. If you are shy, you have to learn. You have to lock the door, turn the light off, and try to practice the mantra, “Darling, I know you are there, and I am very happy.” And when you are sure that you can do it, open the door and go to him or her and practice. You know, I practice that not only with people, but I practice that with the moon, the Morning Star, the magnolia flowers. Last year when I went to Korea, I was housed in a Protestant seminary and my little house was surrounded by magnolias, and it was springtime. The magnolia blossoms were very beautiful. They are a white color—like snow. I practiced walking meditation among the magnolia blossoms. I felt so happy, so wonderful. So I would stop and look closely at each magnolia flower. I smiled, breathed in and out and I said, “Darling, I know you are there, and I am very happy,” and I bowed to the flower. I was very happy, and I thought that the magnolia flower was happy also, because when people recognize your presence and appreciate your presence, you feel that you are worth something. Of course, the magnolia flowers were very, very precious to me.

 

Sometimes I look at the full moon with mindfulness, I practice breathing in and out, and I tell the full moon the mantra: “Full moon, beautiful full moon, I know you are there, and I am very happy.” And I was really happy at that moment. I was a free person—I was not assailed by worries or fear or any projects. And because I was free, I was myself. I had the time and opportunity to touch the wonders of life around me, and that is why I could touch the full moon and I practiced the mantra with the full moon. This afternoon you might like to practice the mantra with somebody, or just practice the mantra with a tree or a butterfly, because they are all wonderful.

 

We are in the meditation hall and all of us can hear the sound of the rain. To me the sound of the rain is something wonderful. In the Upper Hamlet we have a veranda baptized the “listening-to-the-rain” veranda. If you are a free person you only need to sit there and listen to the rain, and you can be very happy already, because the rain is something wonderful. I very often think of the rain as bodhisattva Avalokiteshvara. After several weeks without rain, the vegetation begins to suffer and when the rain comes you can see that all the trees and bushes are very happy. I think they enjoy the sound of the rain, as I do, very much. Sitting in the meditation hall or sitting in the “listen-to-the-rain” veranda, you can appreciate the sound of the rain and you can be very happy just sitting there.

 

So happiness is possible with mindfulness, because mindfulness helps us to realize what is there—so precious. Those of us who still have a mother, we should be happy. Those of us who still have a father, we should be happy. Those of us who still have eyes in good condition to be able to look at the moon, we should be happy. There are many things that can make us happy now. And that is the practice of mindfulness—namely, the practice of Buddhist meditation. So please write down the second mantra on another sheet of paper in your best handwriting, and decorate it with colors—with flowers, fruits, leaves, birds, and so on, and hang it in your room. I am certain that if you practice the first and the second mantra, you will make many people around you very happy. And don’t tell me that the practice is difficult—it is not.

 

[Bell]

 

The third mantra is also easy to practice. You practice this mantra when you see that the person you love suffers. She is crying, or he is crying. Or if they are not crying, they look very unhappy. If you claim to be a lover, then you have to know what is happening to the person you love, and mindfulness helps you to notice that something is wrong within that person. Of course, if you are there one hundred percent for him or for her, you will notice very soon that the person you love suffers. If you don’t know that the person you love suffers, you are not mindful; you are not an ideal lover, because there is no mindfulness in you. Those of us who claim to be true lovers should practice mindfulness, we have to practice meditation, because how can you love if you are not there? You can only love when you are there and in order to be there you have to practice being there, whether by mindful breathing or mindful walking, or any kind of practice that can help you to be really there, as a free person, for the person you love. So because you are there, you are mindful—that is why you noticed that the person you love suffers. Right in that moment you have to practice deeply, to be there one hundred percent. You go to him or to her, and you pronounce the third mantra, “Darling, I know you suffer, that’s why I am here for you.”

 

When you suffer, you want the person you love to be aware of your suffering—that’s very human, that’s very natural. You suffer, and if the other person you love does not know that you suffer, if he ignores your suffering, you suffer much more. So it would be a great relief if the person we love knows, is aware, that we are suffering. Therefore your task, your practice as a lover is to come to him or her to offer your true presence and utter the third mantra, “Darling, I know you suffer, that is why I am here for you.” Before you can do anything to help, she suffers less already, because she knows that you are aware of her suffering. So the effect of the practice is instantaneous—quicker than if you make instant coffee—very quick. The more you are concentrated, the more you are mindfulness, the greater will be the effect of your practice. And children can practice this very well. Every time they see their brother or their sister suffer, every time they see Mommy crying, they should learn how to practice. They have to practice breathing in and out deeply and go to that person and take his hand or her hand and say, “Darling, I know you suffer and I’m here for you, really, I’m here for you.” This a great relief.

 

The fourth mantra is only for adults because it’s a little bit complicated. This third mantra, also, I would like you to write down in English, Italian, or German in your best writing style—calligraphy—and you should decorate it with a lot of love and care. Make it into a masterpiece. And don’t wait until you are home to make it—I am asking you now to write down the three mantras here and decorate them very beautifully. When you go home, put them on the wall of your room or maybe in the living room—it’s up to you. But my expectation is that you be able to practice them. And this is not the practice of children alone, this is the practice of everyone. Even if she is seventy or eighty, she still can practice; even if he is eighty he still can practice them and this can make a lot of happiness in the house. You try a few weeks, and you’ll see—the situation in the home will be transformed very drastically. Communication is restored. We are concerned with the happiness and the sorrow and the suffering of every other member in the family. And of course this practice is easy, simple, and everyone can do it.

 

Now when you hear the small bell, please stand up and bow to the Sangha before you go out. [Bell—children leave] In the time of the Buddha there was a lay person whose name was Anathapindika. His real name was Sudatta. Anathapindika was a name given to him by the people in the city because they loved him. He had a good heart. He was a rich tradesman, business man, but he spent a lot of his time and money taking care of poor people, people who were abandoned, children, orphans, and so on. That is why the title “Anathapindika” was given to him by the people of his city Shravasti—it means “the person who takes care of the isolated ones, the unhappy ones,” and so on. It was he who invited the Buddha to come and teach in his country. The Buddha before that stayed in the country of Magadha. Anathapindika during one of his trips to Magadha found out about the presence of the Buddha. He was very greatly inspired by the teaching of the Buddha, that is why he invited the Buddha to his country, Kosala. And it is he who purchased the most beautiful park close to the city of Shravasti and offered it to the Buddha as a monastery—the first monastery in that country. Later on, it was called the Jeta Park, because the owner of the park had been the prince, whose name was Jeta.

 

Anathapindika took great pleasure in serving the Buddha and the Sangha, and his family was a happy family because his wife and all the three children followed the teaching of the Buddha. But he was not given all the teachings of the Buddha, because at that time people thought that lay people were too busy and should receive only the kind of teachings they could afford to do. So the deepest kind of teachings were only given to monks and nuns. It was Anathapindika who made it clear to the monks and nuns that there were lay people who were very capable of practicing the deepest teachings of the Buddha, and he said, “Please, Venerables, go back and tell the Lord that there are many lay people who are too busy and who cannot afford to learn and practice the deeper teaching of the Buddha, but there are among lay people those who are very capable of learning the practice and these teachings.”

 

Anathapindika was very sick, he was about to die—this was after serving the Buddha for about thirty years. The Buddha went to him and visited with him, and after that he charged the Venerable Shariputra—one of his best disciples—to take care of Anathapindika. And one day Shariputra learned that Anathapindika was extremely sick—he might pass away at any time—so he went to the room of his younger brother in the Dharma, the Venerable Ananda, and asked him to come along for a visit. So both of them went to the house of Anathapindika.

 

When Anathapindika saw both of them coming, he was very glad. He tried to sit up but he was too weak; he could not. Shariputra said, “My friend, just remain where you are. You don’t have to try hard to sit up, we will bring a few chairs and sit next to you.” And after having said that, Shariputra asked, “Dear friend, Anathapindika, how do you feel in your body? Is the pain in your body increasing or decreasing?” And Anathapindika said, “Venerables, the pain in me is increasing all the time; I suffer very much, it does not decrease.” And when Shariputra heard that he said, “Why don’t we practice meditation on the Three Jewels? Let us practice breathing in and out and focus our attention on the wonderful Buddha, the wonderful Dharma, and the wonderful Sangha.” And he offered guided meditation to Anathapindika and both of the monks also sat there and practiced together with the lay person who was dying. So, two monks supported a lay person practicing in this very crucial moment.

 

Shariputra was an extremely intelligent person. He was like the right hand of the Buddha, taking care of the community of monks, teaching many of them as a big brother, and he knew exactly what the dying Anathapindika needed. So he offered first of all meditation on the Three Jewels, because he knew very well that the greatest joy of Anathapindika was to serve the Buddha and the Sangha. He did everything to make the Buddha comfortable and the Sangha comfortable. Therefore meditating on the Buddha, on the Sangha, would bring joy and happiness that would counterbalance the pain in the body. All of us have to learn this, because in us there are seeds of suffering, there are seeds of joy. If you know how to touch the seeds of joy, they will be watered and the energy of happiness and joy will be strong enough to counterbalance—to make the person suffer less.

 

The Buddha is the one who has the capacity of being there, of being mindful, of being understanding, of being able to love and accept, of being joyful. There are the ten titles of the Buddha that people would repeat in order to touch those qualities—the joy and the peace of the Buddha. After meditating on the Buddha, they meditated on the Dharma. The Dharma is a path that can bring relief and joy and peace to us right away—we don’t need to wait. The Dharma is not a promise of happiness in the future. The practice of the Dharma is not a matter of time—as soon as you embrace the Dharma and practice, you begin to get relief and transformation right away. And the Sangha is composed of members who practice concentration, mindfulness, wisdom, joy, and peace. To let your mind touch these wonderful jewels—that can water the seed of happiness in you. After about ten minutes of practicing like that, Anathapindika felt much better already.

 

Next time when you sit close to a dying person, you might like to practice this same way. You are there, present one hundred percent, with stability, solidity, and peace. This is very important. You are the support of that dying person, and he or she needs very much your stability, your peace. To accompany a dying person, you need to be your best—don’t wait until that moment to practice. You practice in your daily life to cultivate your peace, your solidity. Then you look into the person and you recognize the seeds of happiness that are buried deep in him or her, and you just water these seeds. Everyone has seeds of happiness. We should know in advance. And at that moment you talk to him or to her, you use guided meditation, in order to help him or her touch the seeds of happiness within him or her.

 

Several years ago I was on my way to lead a retreat in the northern part of New York state, and I learned that our friend Alfred Hassler was dying in a Catholic hospital nearby. So we managed to stop and spend some time with him. Alfred was very active during the Vietnam war. He was director of the Fellowship of Reconciliation in New York, and he supported us wholeheartedly in bringing the message of peace from the Vietnamese people, and he worked very hard to get a cease-fire and a negotiation between the warring parties. He was dying there, and I and Sister ChânKhông and about six or seven of us were in a limousine, and we arranged so that we could stop. Only Sister ChânKhông and I were allowed to go in; the rest were waiting in the car. When we arrived, Alfred was in a coma and Laura, his daughter, was trying to call him back, “Alfred, Alfred, Thây is here, Sister ChânKhông is here!” But he didn’t come back.

 

I asked Sister ChânKhông to sing him a song—the song was written by me and the words are taken directly from the SamyuttaNikaya: “These eyes are not me, I am not caught in these eyes. I am life without boundaries, I have never been born, I will never die. Look at me, smile to me, take my hand. We say goodbye now, but we’ll see each other right after now. And we’ll meet each other on every walk of life.” Sister ChânKhông began to sing softly that song. You might think that if Alfred was in a coma, he could not hear. But you must not be too sure, because after singing two or three times softly like that, Alfred came back to himself—he woke up. So you can talk to a person who is in a coma. Don’t be discouraged, talk to him or to her as if he is awake. There is a way of communicating. We were very happy that he recovered his consciousness and Laura said, “Alfred, you know that Thây is here with you, Sister ChânKhông is here with you.” Alfred was not able to speak. He was fed with glucose and things like that. He could not say any word, but his eyes proved that he was aware that we were there. I massaged his feet and I asked whether he was aware of the touch of my massage. When Laura asked, his eyes responded that he was aware that I was massaging his feet.

 

When you are dying, you may have a very vague feeling of your body; you don’t know whether exactly your body is there. So if someone rubs or massages your arms or feet, that will help, that will reestablish a kind of contact and awareness that the body is still there. Sister ChânKhông began to practice exactly like Shariputra; she began to water the seeds of happiness in Alfred. Although Alfred had not spent his time serving the Buddha, the Sangha, he had spent a lot of his time working for peace. So Sister ChânKhông was watering the seeds of peace work in him. “Alfred do you remember the time you were in Saigon and were waiting to see the superior monk Tri Quang? Because of the American bombing, Tri Quang was not willing to see any Westerners. And you had a letter from Thây and you wanted to deliver it to Tri Quang? You were not allowed to get in, so you sat down, outside his door, and you slipped under his door a message that you were going to observe a fast until the door was opened, and you did not have to wait long because just ten minutes after that, Tri Quang opened his door and invited you in? Do you remember that, Alfred?” And she tried to refresh the memories of these happy events.

 

“Alfred, do you remember that event in Rome where three hundred Catholic monks were demonstrating for peace in Vietnam? Each of them wore the name of a Buddhist monk in prison in Vietnam—because these Buddhist monks refused to be drafted into the army and obey the law of the army. Over here we tried our best to make their suffering known. So in Rome, three hundred Catholic priests wearing the names of three hundred Buddhist monks in jail in Vietnam made a parade, do you remember that?” All these kinds of memories came back to him. Sister ChânKhông continued to practice, exactly like Shariputra. At one point, Alfred opened his mouth and spoke. He said, “Wonderful, wonderful,” two times, and that is all. One or two minutes later he sunk again into his coma and never came back again. Six people were waiting in the limousine and that night we had to give an orientation talk to four or five hundred retreatants, so I recommended to Laura and to Dorothy, his wife, that if he came back, they should continue the same kind of practice: massaging and watering the seeds of happiness in him. And we left.

 

[Bell]

 

In the early morning of the next day we got a telephone call that Alfred died very peacefully, just one hour or an hour and a half after we had left. It looks like he was waiting for us, and after that kind of meeting he was completely satisfied and he died in peace. When Sister ChânKhông’s big sister was dying in California, she was suffering a lot in her body. In the hospital she was in a coma, but she suffered very much in her body; and she cried and she shouted, and all her children did not know what to do, because they had not learned anything from the Dharma yet. When Sister ChânKhông came in and saw that, she began to chant. But her chanting was a little bit too weak compared with the moaning and crying of the person who was dying. So Sister ChânKhông used a cassette recorder and a tape of the kind of chanting that you heard this morning, “NamoAvalokiteshvaraya, bodhisattva Avalokiteshvara.” She used an earphone and she turned the volume quite high. In just a few minutes, all the agitation, all the suffering, all the crying stopped, and from that moment until she died, she remained very quiet.

 

It was like a miracle, and all of her children did not understand why, but we understand. Because she also had the seed of the Buddha-dharma in her, she had heard the chanting, she had had contact with the practice—the chanting, the atmosphere of the practice. But because of having lived too many years in an environment where the atmosphere of calm, of peace, was not available, many layers of suffering had covered it up, and now the chanting helped her although she was in a coma. The sound broke through and helped her touch what was deep in her. Because of that miracle of linking with the seed of peace and calm within her, she was able to quiet all her agitation and crying and she stayed very calm until she died. So every one of us has that kind of seed in us—seeds of happiness, seeds of peace and calm. If we know how to touch them, we can help a dying person to die peacefully. We have to be our best during that time—we have to be calm, solid, peaceful, and present in order to help a person dying. The Buddhist practice of touching the Ultimate should be practiced in our daily life—we should not wait until we are about to die in order to practice. Because if we know how to practice touching deeply the phenomenal world in our daily life, we are able to touch the world of the Absolute, the ultimate dimension of reality in our daily life. When you drink your cup of tea, when you look at the full moon, when you hold the hand of a baby, or walk with a child, if you do it very deeply, mindfully, with concentration, you are able to touch the ultimate dimension of reality, and this is the cream of the Buddhist teaching—touching the Ultimate.

 

The other day we talked about the wave, living the life of a wave, but at the same time she can also live the life of water within her. She does not have to die in order to become water, because the wave is water already in the present moment. Each of us has our ultimate dimension—you may call it “the kingdom of God,” or nirvana, or anything. But that is our ultimate dimension—the ultimate dimension of our reality. If in our daily life we live superficially, we cannot touch it. But if we learn how to live our daily life deeply, we’ll be able to touch nirvana—the world of no birth and no death—right in the here and the now. That is the secret of the practice that can help us transcend the fear of birth and death.

 

After having guided Anathapindika to practice watering the seeds of happiness in him, the Venerable Shariputra continued with the practice of looking deeply: “Dear friend Anathapindika, now it is the time to practice the meditation on the six sense bases. Breathe in and practice with me, breathe out and practice with me. These eyes are not me, I am not caught in these eyes. This body is not me, I am not caught in this body. I am life without boundaries. The decaying of this body does not mean the end of me. I am not limited to this body.” So they continued to practice, in order to abandon the idea that we are this body, we are these eyes, we are this nose, we are this tongue, we are this mind. They meditated also on the objects of the six senses: “Forms are not me, sounds are not me, smells are not me, tastes are not me, contacts with the body are not me; I am not caught in these contacts with the body. These thoughts are not me, these notions are not me, I am not caught in these thoughts and in these notions.” And they meditated on the six consciousnesses: sight, hearing, consciousness based on nose, consciousness based on tongue, consciousness based on body, consciousness based on mind: “I am not caught in consciousness based on the body. I am not caught in consciousness based on the mind.” June 23, 1997: Had to do some rearranging here to separate out the six sense bases, the objects, and the consciousnesses.

 

After having guided Anathapindika to practice watering the seeds of happiness in him, the Venerable Shariputra continued with the practice of looking deeply: “Dear friend Anathapindika, now it is the time to practice the meditation on the six sense bases. Breathe in and practice with me, breathe out and practice with me. These eyes are not me, I am not caught in these eyes. This body is not me, I am not caught in this body. I am life without boundaries. The decaying of this body does not mean the end of me. I am not limited to this body. These thoughts are not me, these notions are not me, I am not caught in these thoughts and in these notions.” So they continued to practice, not in order to abandon the idea that we are this body, we are these eyes, we are this nose, we are this tongue, we are this mind, and also the objects of this six sense basis—sight, hearing, consciousness based on nose, consciousness based on tongue, consciousness based on body, consciousness based on mind. “Forms are not me, sounds are not me, smells are not me, tastes are not me, contacts with the body are not me; I am not caught in these contacts with the body.” Then they meditated on the six elements: “The element of earth in me is not me, I am not caught in the earth element. The element of water in me is not me, I am not caught in the element of water.” Then they went on with the elements of air, space, fire, and consciousness. Finally they came to the meditation of being and non-being, coming and going. “Dear friend Anathapindika, everything that is arises because of causes and conditions. Everything that is has the nature not to be born and not to die, not to arrive and not to depart.” When we look at this sheet of paper, you might think that there is a moment when the sheet of paper began to be and there will be a moment when this sheet of paper will stop being. Sentence out: They were meditating on being and non-being.

 

We think that before we were born we did not exist, and we think that after we die we might become nothing. Because in our mind we have the idea that to be born means “from nothing we suddenly become something.” From no one you suddenly become someone—that is our notion of birth. But how is it possible that from nothing something could become something, from no one they could become someone? That is very absurd.

 

Look at this sheet of paper—we may think that the moment of its birth is when the paste was made into this sheet of paper. But this sheet of paper was not born out of nothing! If we look deeply into this piece of paper, we see already that it had been there before its “birth” in the form of a tree, in the form of water, in the form of sunshine, because with the practice of looking deeply we can see the forest, the earth, the sunshine, the rain—everything in there. So the so-called “birthday” of the sheet of paper is only a “continuation day.” The sheet of paper had been there for a long time in various forms. The “birth” of the sheet of paper is only a continuation. We should not be fooled by the appearance. We know that the sheet of paper has never been born, really. It has been there, because the sheet of paper has not come from nothing. From nothing, you suddenly become something? From no one, you suddenly become someone? That is very absurd. Nothing can be like that. So the day of our birth is only a continuation day and practicing meditation is to look deeply into ourselves to see our true nature. That means, our true nature is the nature of no birth and no death. No birth is our true nature. We used to think that to be born means from nothing we become something. That idea, that notion is wrong, because you cannot demonstrate that fact. Not only this sheet of paper, but that flower, this book, this thermos, they were something else before they were “born.” So nothing is born from nothing. The French scientist Lavoisier said, “Rienne se crée,”nothing is produced. There is no birth. The scientist is not a teacher of Buddhism, but he made a sentence exactly with the same kind of words that are found in the Heart Sutra. “Rienne se crée, rienne se perd,” nothing is produced, nothing dies.Left out here: And the same truth is spoken from the mouth of a scientist. Let us try to burn this sheet of paper to see whether we can reduce it into nothing. Maybe you have a match or something? Be mindful and observe.. . . We know that it is impossible to reduce anything into nothing. You have noticed the smoke that came up. Where is it now? Part of the sheet of paper has become smoke, it has joined a cloud. We may see it again tomorrow in the form of a raindrop. That’s the true nature of the sheet of paper. It is very hard for us to catch the coming and the going of a sheet of paper. We recognize that part of the paper is still there, somewhere in the sky in the form of a little cloud. So we can say, “So long, goodbye, see you again tomorrow.” I

 

t’s hot when I burn it—I got a lot of heat on my fingers. The heat that was produced by the burning has penetrated into my body and into yours also. It has come into the cosmos, and if you have a very sophisticated instrument, you can measure the effect of that heat on everything, even several kilometers from here. So that is another direction where the sheet of paper has gone. It is still there, in us and around us. We don’t need a long time to see it again. It may be already in our blood. And this ash, the young monk may return it to the soil and maybe next year when you try a piece of lettuce, it is the continuation of this ash. So it is clear that you cannot reduce anything to nothing, and yet we continue to think that to die means from something you become nothing, from someone you just become no one. Is it possible? So the statement, “Rienne se crée, rienne se perd,” nothing is really born, nothing can die, goes perfectly with the teaching of the Buddha on the nature of no birth, and no death. Our fear is born from notions—the notions of being and non-being, the notions of birth and death. Before we were born we are taught that that was “non-being,” after we are born we believe that that is “being,” and after we die we think that that will be “non-being” again. So not only do the notions of birth and death imprison us in our fear but the notions of being and non-being have to be transcended. That is the cream of the Buddhist teaching—to silence all the notions and ideas, including notions of birth and death, being and non-being. What is Nirvana? Nirvana is the blowing out of all notions, the notions that serve as the foundation of fear and suffering. The other day we were dealing with the notion of happiness. Even the notion of happiness can make us miserable, can create a lot of misery for us. That is one of the notions that should be transcended. There are basic notions that are the foundation of our fear and suffering: the notions of being and non-being, birth and death, coming and going. From where have you come and where shall we go? The idea of coming and going is also a notion that we have to transcend.Left out: The notion of one the same are the different.?

 

[Bell]

 

This is the guided meditation given to Anathapindika by Shariputra: Everything that is has the nature not to be born and not to die. No birth and no death. Not to arrive and not to depart. No coming, no going. When the body arises, it arises; it does not come from anywhere. When the body ceases, it ceases; it does not go anywhere. The body is not nonexistent before it arises. The body is not existent after it arises. Left out: It’s not because of the manifestation of the body that you can perceive the body and you think that the body is. It’s not because you cannot perceive the body that you can qualify it as non-being. When conditions are sufficient there is a manifestation, and if you perceive that manifestation, you qualify it as being. If conditions are no longer sufficient, you cannot perceive it, and you qualify it as non-being. You are caught in these two notions.

 

It’s like if you come to Plum Village in April and you look, you see no sunflowers. Looking around you say that there are no sunflowers around here. That is not true. The sunflower seeds have been sown. Everything is ready by that time. Only the farmers and their friends, when they look at the hills around Plum Village, already can see sunflowers. But you are not used to it—you have to wait until the month of July in order to recognize, to perceive sunflowers. So if out of your perception, you qualify it as “being” or “non-being”—well, you miss the reality. Not being perceived by you doesn’t make it non-being, nonexistent. Just because you can perceive it, doesn’t mean that you can qualify it as existing and being. It is a matter of causes and conditions. If conditions are sufficient, then it is apparent, and you can perceive it; and because of that, you say that it “is.”

 

That is why, in deep meditation, we have to transcend all these ideas, all these notions, and we can see what other people cannot see. Looking into the flower you can see the garbage, you can see the cloud, you can see the soil, you can see the sunshine. Without much effort, you can see that a flower “inter-is” with everything else, including the sunshine and the cloud. We know that if we take away the sunshine or the cloud, the flower will be impossible. The flower is there because conditions are sufficient for it to be; we perceive it and we say, “Flower exists.” And when these conditions have not come together, and you don’t perceive it, and then you say, “It’s not there.” So we are caught by our notions of being and non-being. The ultimate dimension of our reality cannot be expressed in terms of being and non-being, birth and death, coming and going.

 

It is like the water that is the substance of the waves. Talking about the wave, you can speak of the “birth” of a wave, the “death” of a wave. The wave can be “high” or “low,” “this” or “other,” “more” or “less” beautiful: but all these notions and terms cannot be applied to water, because the water is the other dimension of the waves. So the ultimate dimension of our reality is in us, and if we can touch it, we’ll transcend the fear of being and non-being, birth and death, coming and going. For Buddhist meditators, “to be or not to be,” that is not the question! Because they are capable of touching the reality of no birth and no death; no being, no non-being. You have to transcend both concepts—being and non-being—because these concepts constitute the foundation of your fear.

 

It would be a pity if we practiced only to get the relative kind of relief. The greatest relief is possible only when you touch nirvana. Nirvana means the ultimate dimension of our being, in which there is no birth, no death, no being, no non-being. All these notions are entirely removed. That is why nirvana means “extinction”—the extinction of all notions and concepts, and also the extinction of all suffering that is born from these concepts, like fear, like worries. When we begin to touch the phenomenal world, we see there is birth, there is death, there is impermanence, there is no-self. But as we begin to touch profoundly the world of phenomena, we find out that the base of everything is nirvana. Not only are things impermanent, but they are permanent as well. You transcend the idea of permanence, and you also transcend the idea of impermanence. Impermanence is given as an antidote so that you can release your notion of permanence. And since you are caught by the idea of self, no-self is a device to help you to get release from the notion of self. Touching the Absolute, not only can you release the notion of self, but you can also release the notion of non-self. If you have a notion of nirvana, please do your best to release it as soon as possible—because nirvana is the release of all notions, including the notion of nirvana!

 

Anathapindika was a very able practitioner. When he practiced to this point, he was so moved that he got insight right away. He was able to touch the dimension of no-birth and no-death. He was released from the idea that he is this body. He released the notions of birth and death, the notions of being and non-being, and suddenly he got the non-fear. The Venerable Ananda saw him crying because of happiness, because of that kind of release. But Ananda did not understand what was really happening with the lay person Anathapindika, so he said, “Why, dear friend, why are you crying? Do you regret something, or did you fail in your practice of the meditation?” He was very concerned. But Anathapindika said, “Lord Ananda, I don’t regret anything. I practiced very successfully.” Then Ananda asked, “Why are you crying, then?” Anathapindika said, “Venerable Ananda, I cry because I am so moved. I have served the Buddha, the Dharma, and the Sangha for more than thirty years, and yet I have not received any teaching that is deep like today. I am so happy to have received and practiced this teaching.” And Ananda said, “Dear friend, this kind of teaching we monks and nuns will receive every day.”

 

You know that Ananda was much younger than Shariputra. Thereupon Anathapindika said, “Venerable Ananda, please go home and tell the Lord that there are lay people who are so busy that they cannot receive this kind of deep teaching, but there are those of us, although lay people, who do have the time, the intelligence, and the capacity of receiving this kind of teaching and practice.” And those were the last words uttered by the lay person Anathapindika. The Venerable Ananda promised to go back to the Jeta grove and report that to the Buddha, and it is reported in the sutra that not long after the departure of the two monks, the layman Anathapindika died peacefully and happy.

 

This is a sutra, a discourse called “The Teachings to be Given to the Sick.” You can find it in the Plum Village Chanting Book, in English. We are working on a new version of the Plum Village Chanting Book, but in the present edition you already have this text. This text is available in Pali, in Chinese, and we have several other texts which offer the same kind of teaching. So I would recommend that we study this text and we do a Dharma discussion in order to deepen our understanding of the teaching, and how to put into practice this teaching of the Buddha in the best way possible.

 

If you are a psychotherapist, if you are a social worker, if you are the one who has to help a dying person, it’s very crucial that you study this kind of teaching and put it into your practice in your daily life. And if you are simply a meditator who would like to deepen your practice, cut: who wants to get rid of your fear, your lack of stability, your anger, then the study and practice of this sutra will help you to get more stability, get more peace, and especially the ground of non-fear, so that when the moment comes, you can confront it in a very calm and easy way—because all of us are supposed to die some day. Even if theoretically in the teaching there is no birth and no death, if we are able to live our daily life in such a way that we could touch the ultimate dimension, then that moment will not be a problem for us at all. In my daily life I always practice looking at things around me, at people around me, at myself; and I can already see my continuation in this flower, or that bush, or that young monk, or that young nun or that young lay person. I see that we belong to the same reality, we are doing our best as a Sangha, we bring the seeds of the Dharma a little bit everywhere, we make people around us happy: so I don’t see the reason why I have to die, because I can see myself in you, in other people, in many generations. That is why I have promised the children that I will be climbing the hill of the twenty-first century with them.

 

From the top of the hill in the year 2050, I’ll be looking down and enjoying what is there together with the young people now. The young monk PhapCanh is now twenty-one, and on the top of the hill he will be seventy-five! And of course I will be with him, hand in hand, and we will look down together to see the landscape of the twenty-first century. So as a Sangha, we shall climb the hill of the twenty-first century together. We’ll do our best so that the climbing will be enjoyable and peaceful, and we’ll have all the children with us because we know that we never die. We will be there for them forever.

 

Dear Friends, These dharma talks transcriptions are teachings given by Venerable ThichNhatHanh in Plum Village or at various retreats around the world. The teachings cover all areas of concern to practitioners: from dealing with difficult emotions to realizing the Interbeing nature of ourselves and much more.

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