Articoli di Dharma

 

Il Tempo nel buddhismo Madhyamika
e nella Fisica Moderna
http://www.lightlink.com/vic/time.html
Pubbl. inThe Pacific World Journal of the Institute of Buddhist Studies, 1996
di Victor Mansfield –(Dipartimento di Fisica e Astronomia, Università di Colgate, Hamilton, NY 13346 - Febbraio 1996)
Trad. di AliberthMeng Chan (Alberto Mengoni)

 

 

 

Nel tentativo di riempire gli spazi dell’esperienza appartenenti alla spiritualità e i lati fisici della nostra natura, il tempo occupa la posizione chiave
Sir Arthur Eddington [1]
In particolare, vi è un crescente interesse per il pensiero filosofico buddhista nella comunità scientifica. Sono ottimista sul fatto che nel corso dei prossimi decenni ci sarà un grande cambiamento nella nostra v
isione del mondo, sia dal punto di vista materiale che nelle prospettive spirituali.
Il XIV Dalai Lama [2]

I. Introduzione
Forse la mia consapevolezza del tempo è diventata così acuta perché io ho iniziato a scrivere questo articolo un paio di giorni dopo il mio cinquantaquattresimo compleanno, mentre i miei amici umani e animali erano intorno a me gravemente ammalati. Eppure, qualcuno che sia ispirato dalla dottrina dell'Impermanenza realizzerà che la riflessione sul tempo è fondamentale per la teoria e la pratica del Buddhismo. Poiché la dottrina del ‘non-sé’ ci nega qualsiasi rifugio nella nozione di un'anima eterna, come comunemente la intendiamo, non c'è un posto ove nascondersi dalla verità dell'Impermanenza. Qui esamineremo il principio della ‘vacuità’, o vuoto, nel Prasangika Madhyamika, la Scuola della ‘Conseguenza’ della Via di Mezzo, così importante nel buddhismo Tibetano, e discuteremo di come essa porti all’impermanenza. Probabilmente, nel processo potremo intravedere come la riflessione sul tempo sia una liberatoria 'attività’ che dovrà esprimersi nella Compassione.
Nella fisica moderna, anche il tempo ha un ruolo centrale, però soggettivamente o psicologicamente sperimentato, il tempo non è identico alla concezione del tempo da parte dei fisici. Psicologicamente, noi abbiamo molto chiara la radicale distinzione tra il passato e il futuro. Cerchiamo di imparare dal passato, tuttavia quegli eventi sono inalterabili, mentre quelli del futuro sono invero sconosciuti e la possibilità di influenzarli è maggiore. In contrasto, nella fisica moderna i processi microscopici sono totalmente reversibili - non vi è alcuna fondamentale distinzione tra il passato e il futuro. I processi fisici possono svolgersi in quello che consideriamo l'ordine inverso senza violare le leggi della fisica. Eppure, nel mondo di cui sia noi che i Buddha abbiamo esperienza, ci sono chiaramente dei processi irreversibili su tutti i lati, dal marcire della frutta nel mio frigorifero, alla morte delle stelle nello spazio profondo, e, naturalmente, alla morte dei propri cari. Nella nostra esperienza, le nozioni temporali del passato e del futuro non sono simmetriche come le idee spaziali di destra e sinistra. In questo senso, il tempo è asimmetrico – la linea del tempo punta direttamente dal passato verso il futuro. Qui, in un modo non tecnico, io esaminerò come i fisici moderni hanno affrontato questa dicotomia tra il livello simmetrico microscopico con il suo tempo reversibile ed il livello asimmetrico macroscopico in cui noi siamo ben consapevoli della differenza tra passato e futuro e in cui siamo circondati dalla precarietà e dall’impermanenza.
Non c’è dubbio che la fisica comprovi la grande dottrina Buddhista dell'Impermanenza, e non implichi la visione del mondo. Inoltre, poiché le teorie fisiche sono un ottimo esempio di impermanenza, è alquanto obsolescente il fatto di collegare il buddhismo o un qualsiasi punto di vista filosofico troppo rigido ad una teoria fisica. Che cosa succede quando la teoria cambia? Forse che le basi della nostra strettamente rigida visione del mondo traballano ad ogni rivoluzione scientifica? Nondimeno, quella della scienza è la visione del mondo dominante nella cultura moderna e quindi c’è da chiedersi come una visione filosofica o religiosa si riferisca a questo dominante punto di vista scientifico. Perdipiù, ci sembra corretta l’affermazione del Dalai Lama quando in capo al testo dichiara, "… vi è un crescente interesse nella comunità scientifica verso il pensiero filosofico buddhista".
Forse, tra il buddhismo e la scienza può svilupparsi un proficuo dialogo, che approfondisce il nostro apprezzamento di tali antiche verità come l'impermanenza, e che fertilizza anche la fisica moderna, la quale nonostante i suoi grandi successi, soffre ancora di serie difficoltà concettuali alle sue filosofiche fondamenta. Naturalmente, se un simile dialogo non è niente più che un semplice tracciare piacevoli paralleli tra argomenti così diversi come la vacuità buddhista e la non-localizzazione della meccanica quantistica [3], allora la revisione delle opinioni dovrà avvenire in entrambi i campi. Il dialogo deve dare i suoi frutti nelle normali attività di ciascuna disciplina. In caso contrario, è difficile immaginare come "ci sarà un grande cambiamento nella nostra visione del mondo, sia dalla prospettiva materiale che spirituale". Spero perciò che questo lavoro contribuisca a far sviluppare il dialogo tra la scienza e il buddhismo e faccia fare un piccolo progresso verso una fertilizzazione incrociata. In questo processo noi possiamo imparare come le riflessioni sul tempo, come Sir Eddington dice nella citazione in capo al testo, possano essere un ponte tra lo spirituale ed il fisico.

II. La vacuità e il tempo nel Prasangika Madhyamika
Per iniziare il mio breve profilo sulla vacuità e il tempo nel Prasangika Madhyamika (abbreviato in Madhyamika, d’ora in avanti), presenterò due piccole storie e alcuni commenti dalla sezione buddhista del mio prossimo libro, Synchronicity, Science e Soul-Making [4]. Inizieremo con una storia che si riferisce direttamente al lato oggettivo della vacuità Madhyamika.
Diversi anni fa, mentre come professore stavo restituendo le tesine di laurea (valide per almeno un terzo del voto finale del corso) notai che uno studente non aveva alcun documento. "Jay, vedo che non ho nessuna tesina. L’hai già restituita?" Egli disse: "Oh, sì, l'ho già presentata insieme a tutte le altre". Allora, mi sono profusamente scusato e gli ho detto che doveva essere in uno dei miei uffici. L’avrei scovata e l’avrei promosso alla classe successiva. (In seguito, io ottenni anche la presidenza di turno del nostro reparto e quindi occupai l'ufficio del presidente, in cui c’era un grande caos.)
Ho cercato sia negli uffici a scuola che nel mio ufficio a casa ma non riuscivo a trovare la tesina dello studente da nessuna parte. Potevo anche vagamente ricordarmi di aver visto il documento a un certo momento, ma esso proprio non si trovava, non importa con quanta cura l’avevo cercato. Un senso di colpa cominciò a rodermi dentro. Scrivere una tesina di quelle dimensioni è un lavoro enorme, e soprattutto per una persona attenta come Jay, ed io, il signor Caos, non riuscivo a trovarla. "Deve essere qui da qualche parte!". Mi ripromisi di riformare le mie sciatte pratiche. Nel frattempo, volevo utilizzare questa opportunità spinto dal senso di colpa per ripulire tutti e tre gli uffici, nel disperato tentativo di trovare la tesina dello studente. Durante la mia ricerca ebbi la netta sensazione che esse erano tutte ammonticchiate. Ora potevo quasi vedere il titolo della pagina.... Niente, la tesina non si trovava, e nessuna prova che fosse stata ricevuta. "Come ho potuto perdere quel documento?"
Sconfitto, tornai dallo studente e confessai che non riuscivo a trovare la sua tesina. Gli chiesi se per caso ne avesse un'altra copia o una prima bozza. Egli disse che quella che mi aveva dato era l'unica copia. Mi scusai di nuovo, e gli detti altre due settimane per ritrovare le sue note e fare così un'altra versione della tesina. Nel frattempo, io avrei continuato a cercare il documento, nonostante avessi ormai perso la speranza di trovarlo.
Una mattina presto, mentre si preparava per la classe, Jay venne di corsa nel mio ufficio. Sembrava che non avesse dormito le ultime due notti. Prima ancora che potessi salutarlo sbottò: "Ho mentito. Non ho mai restituito la mia tesina. Mi dispiace". Salterò la lunga conversazione che abbiamo avuto e che cosa ci siamo detti. Non è questo il punto.
Il punto è che nella mia frenetica e inutile ricerca della tesina ero sicuro che fosse da qualche parte, e che l’avrei caldamente abbracciata con un misto di sollievo e soddisfazione quando fosse apparsa. La mia vaga immagine del documento era stata chiara e oggettiva. Appena trovata, la tesina sarebbe stata lì ad accusarmi della mia stupidità. In realtà, le mie aspettative furono immediatamente dissolte dalla constatazione negativa che la tesina non era mai esistita e quindi non poteva mai venir trovata. Avevo avuto aspettative e fantasie, ma niente che fosse stato a loro sostegno.
La mia credenza nella falsa esistenza di quella tesina è del tutto analoga alla falsa credenza in ciò che il Madhyamika chiama ‘esistenza inerente, o indipendente’ - la cui ferma negazione è appunto la loro dottrina della vacuità. I traduttori e i commentatori più importanti, come ad esempio Hopkins [5] e Thurman [6], e gli eruditi monaci Tibetani come Tenzin Gyatso, il Quattordicesimo Dalai Lama, [7] o Geshe Kelsang Gyatso [8], che insegnano ampiamente in Occidente, utilizzano una serie di termini per descrivere ciò che è negato nella dottrina della vacuità, o il "negatee", come loro lo chiamano. Essi usano ‘esistenza inerente’ (svabhavasiddhi) in modo intercambiabile con termini come ‘esistenza indipendente’, ‘esistenza intrinseca’, ‘esistenza sostanziale’, ‘essenza intrinseca’, o ‘intrinseca natura- del-sé’ per indicare la nostra più innata, irriflessiva, e pragmatica fede sul modo in cui noi riteniamo che i fenomeni soggettivi e oggettivi esistano.
Possiamo dividere questa innata e irriflessiva credenza nella esistenza inerente in due parti: la prima è che i fenomeni esistono indipendentemente dalla mente o conoscenza, e che "al di sotto" o "dietro" le associazioni psicologiche, i nomi, e le convenzioni linguistiche che noi applichiamo ad oggetti come una campana o un albero o la tesina, qualcosa di oggettivo e sostanziale esista indipendentemente e compiutamente dal proprio lato. Tali oggetti sembrano fornire la base oggettiva per il nostro mondo comunemente concepito. In secondo luogo, questi oggetti sono anche ritenuti essere indipendenti e autonomi l'uno dall'altro. E cioè, noi crediamo che ciascun oggetto essendo fondamentalmente non-relazionale, esista di per sé, senza una essenziale dipendenza da altri oggetti o fenomeni. In altre parole, la natura essenziale di questi oggetti è la loro non-relazionale unità e la loro completezza in se stessi.
La nostra falsa credenza nell'esistenza intrinseca o indipendente, è la base su cui si generano i nostri desideri ed avversioni. Come è insegnato nella seconda delle Quattro Nobili Verità, queste bramosie e avversioni, i desideri, sono ciò che genera la sofferenza che permea tutta la nostra esperienza – cioè, la Prima Nobile Verità. Il Madhyamika sostiene che solo quando sradichiamo questa falsa credenza nell'esistenza intrinseca noi possiamo realizzare le nostre potenzialità per la Buddhità, e diventare fari di saggezza e compassione.
Il problema con la falsa credenza nell’esistenza inerente è che essa include in sé la convinzione che a noi con una diligente ricerca ci verrà chiaramente rivelata così che la si possa abbracciare. L'essenza dell’oggetto, la sua natura auto-esistente, ci risplenderà in modo trasparente. Ma, in verità, questa natura auto-esistente non è più esistente di quella tesina che non c’era. Mentre qualcosa di esistente intrinsecamente non è mai stato trovato in passato e non potrà mai essere trovato in futuro, la tesina alla fine esisteva - anche se non quella che io stavo inizialmente cercando, ma quella che l’aveva poi sostituita. (Possiamo veramente sostituire qualcosa che non è mai esistito?)
Gli argomenti che negano l'esistenza inerente sono vasti ed occupano la gran parte della letteratura Buddhista Madhyamika sulla Vacuità. Piuttosto che rivedere questi argomenti in dettaglio, preferisco far bollire questi cavilli spacca-cervello fino alla loro essenza. Tutti questi si sviluppano per dimostrare che l'esistenza inerente è "introvabile attraverso l’analisi". Ciò significa che quando voi provate a cercare in profondità l'oggetto o il soggetto ritenuto intrinsecamente esistente, arriverete al punto non molto diverso da quello in cui arrivai io quando avevo fatto la ricerca della tesina dello studente. Anziché trovare un fenomeno che esiste in un modo indipendente, queste ricerche riveleranno un oggetto, o un soggetto, profondamente e inestricabilmente coinvolto e collegato con tutto l'ambiente circostante e con il ricercatore, ovvero la persona che fa l'analisi. (Qualunque oggetto o soggetto può generalmente essere considerato un fenomeno, cioè qualcosa che possiamo conoscere).
La ricerca non produrrà mai oggetti indipendentemente esistenti, ma piuttosto ci farà scoprire quelli che sono profondamente dipendenti in tre correlati modi. Il primo è che tutti i fenomeni dipendono da "cause e condizioni", ovvero da quella vasta rete di fattori causali e condizioni che rendono la cosa possibile o fattibile. L'albero di mele fuori dalla mia finestra dipende profondamente dalla fertilità del terreno favorevole, dalla luce, dall'acqua, dal controllo della sua integrità. Per queste ragioni, esso non ha una ‘esistenza indipendente’.
Secondo, tutti i fenomeni dipendono da tutto il resto, dalle parti e dalle loro relazioni. Ad esempio, il mio albero di mele dipende dal fatto di avere i rami, il tronco, le foglie, tutti disposti in un certo modo ben definito che noi riconosciamo come un albero. Si consideri inoltre la definizione di un oggetto intrinsecamente esistente. Poiché un'essenza indipendente o ‘auto-natura’ dev’essere per definizione autonoma e isolabile, un fenomeno inerentemente esistente deve essere una essenza priva di parti. Non può pertanto essere distribuito in parti o condiviso tra l’intero e le sue parti. Però, dal momento che noi possiamo sempre analizzare i fenomeni in un intero e le parti, l'esistenza indipendente non può essere inerente in essi. Anche se noi, senza riflettere, consideriamo l'esistenza inerente come la pietra di paragone della realtà, le sue profonde incongruenze logiche la condannano alla realtà della non-esistenza.
Terzo, e in maniera più profonda, tutti i fenomeni dipendono dalla imputazione o dalla designazione mentale. Noi continuamente riceviamo una immensa valanga di informazioni che poi organizziamo, distilliamo, e coordiniamo con altre esperienze. Sezioniamo il continuo ed incontenibile flusso di esperienze in unità di intelligibilità (colore, struttura, ricordi, associazioni). Poi raccogliamo insieme questi elementi e li designamo o diamo loro un nome (come per esempio un albero. La mente è la generatrice del suo proprio mondo, il solo mondo che noi possiamo conoscere. E così, mentalmente noi designamo, imputiamo, o diamo il nome a quel complesso di sensazioni, ricordi, ed aspettative, ritenendoli ‘essere’ un albero. Questo fa parte del normale funzionamento della mente. Il problema nasce quando la mente investe erroneamente l'oggetto designato con una inesistente proprietà di esistenza intrinseca. In altre parole, noi illegittimamente proiettiamo una falsa nozione di esistenza intrinseca nei fenomeni e poi subiamo con la sofferenza le conseguenze di questa proiezione.
E' un'idea abbastanza straordinaria il fatto che l'esistenza inerente, cioè quello che noi erroneamente consideriamo la realtà di base di un oggetto, sia in realtà del tutto inesistente e, per di più, che poi falsamente imputiamo gli oggetti di questa inesistente realtà. Su quella falsa proiezione, costruiamo i nostri desideri ed avversioni e così continuano a far girare la ruota del samsara. Noi dobbiamo al più presto risvegliarci da questa ignoranza, se vogliamo rompere definitivamente il reame della nostra sofferenza.
In verità, tutti gli oggetti esistono solo come un insieme di relazioni e dipendenze - tra oggetti diversi e tra l'oggetto e il soggetto conoscente che mentalmente li designa. Nessun nucleo di auto-natura, o essenza intrinseca sostiene i nostri nomi, le convenzioni linguistiche, e le proiezioni. Non c’è nulla che "esiste" come base alle nostre imputazioni o designazioni mentali. Gli oggetti non son altro che meri nomi e relazioni di inter-dipendenza. In altre parole, tutti i fenomeni esistono solo come una sorta di originazione-dipendente - dipendente da cause e condizioni, l’intero e le parti, e dalla designazione mentale. Questa visione nega completamente la scissione mente-materia del dualismo Cartesiano, il nucleo di molti dei nostri pregiudizi occidentali che impediscono sia la nostra comprensione filosofica che quella scientifica.
E' naturale chiedersi che se le cose non hanno esistenza inerente, se esse sono vuote, allora come possono funzionare? Come può un albero con una vacuità ultima produrre i frutti che noi mangiamo? Secondo il Madhyamika, la stessa vacuità di esistenza indipendente di tutti i fenomeni è proprio ciò che permette loro di funzionare attraverso i loro rapporti ed essere fonte di aiuto e/o di danno. Ed in contrasto, se gli oggetti esistessero intrinsecamente allora essi dovrebbero necessariamente essere immutabili e impotenti, incapaci di agire su di noi o noi su di loro. All'interno di questo mondo vuoto in senso ultimo, ma esistente convenzionalmente, noi dobbiamo conquistare la nostra buddhità ed è per questo che il nostro mondo è chiamato "utero del Buddha". Filosoficamente, dobbiamo essere in grado e capaci di muoverci avanti e indietro tra la verità ultima e convenzionale dei fenomeni.
Ora vorrei passare al lato soggettivo della vacuità, ancora attraverso una piccola storia dal mio libro. Alcuni anni fa, ho avuto il forte desiderio di andare in canoa su un vicino lago. Mi è sempre piaciuto fin dall’infanzia andare in canoa e quella bella giornata di fine primavera sembrava fatta apposta per questo. Un amico mi prestò la sua canoa e mia moglie ed io avevamo appena cominciato a pagaiare lungo la costa godendo la bellezza e la pace della natura. Stavamo entrambi esaltando le bellezze del Seneca-Lake e dicendo quanto fosse così favorevole l’andare in canoa per poter apprezzare il relax e l’estetica della natura. Improvvisamente, uno sciatore d’acqua si diresse verso di noi a tutta velocità. Egli si girò di lato all'ultimo momento, ma in questo modo inondò completamente me e mia moglie di acqua fredda. Farfugliando incredulità, shock, indignazione e poi rabbia - tutto esplose dentro di me. "Dannato ragazzo! Se ci riprova, io starò in piedi nella canoa e lo colpirò con la paletta! Come ha potuto fare questo a me. ... a me?" Dopo alcuni momenti di intensa indignazione, ho cominciato a ridere di cuore, stupito di quanto velocemente i miei sentimenti cambiassero dalla natura mistica a quella di un Attila (l'Unno), dall’aspirare ad essere un Bodhisattva al mostro assetato di sangue. Ho anche colpevolmente ricordato come spesso il buddhismo enfatizza il controllo della rabbia. Esso, per esempio dice: "In che modo veniamo danneggiati dalla nostra rabbia o odio? Il Buddha ha detto che l'odio diminuisce o distrugge tutte le nostre raccolte di virtù, e può condurci nel più basso dei regni infernali"[9].
Tuttavia, qui il punto principale è filosofico, piuttosto che morale - anche se nel buddhismo essi sono sempre strettamente collegati. Dal punto di vista filosofico, il Madhyamika fa notare che proprio al culmine della mia indignazione c'era una chiara esperienza dell’Io - quello che noi tutti fermamente crediamo esistere di per sé o in modo indipendente. Di sicuro, io non ebbi alcuna motivazione a dover "porgere l'altra guancia", o per la dottrina della Compassione Universale o per uno qualunque di tali pii principi. Ma la cosa fondamentale è l'Io, il "Me" ritenuto esistere indipendentemente, che stava lì davanti in rilievo alla luce della mia indignazione.
E' facile venir fuorviati dalla rabbia nella mia storia, ma non è questo il punto. La cosa importante è che in questi momenti si può più facilmente vedere il potente senso dell’Io, o del "né. Forse un altro semplice esempio può chiarire questo punto. Immaginate un accademico che venga ingiustamente accusato di una qualche grave forma di plagio. Il suo shock e l’incredulità facilmente e rapidamente si trasformerebbero in indignazione. "Io non farei mai una cosa del genere, io sono scrupolosamente onesto in questo genere di cose", potrebbe esclamare. Proprio al culmine della sua indignazione c'è un forte senso di un Io, un ‘Io’ onesto e ingiustamente accusato, che pensa freneticamente al modo in cui può salvaguardare il suo buon nome.
Questo Io, o me, a cui noi aderiamo, e istintivamente crediamo che esista intrinsecamente o in modo indipendente, è completamente negato nella dottrina della vacuità. Il Madhyamika va anche ben oltre col negare questo grossolano o basso livello dell'ego. Questo è soltanto l'inizio della loro dottrina del ‘non-sé’. Essi sostengono che qualsiasi identificabile livello di soggettività è totalmente vuoto di una esistenza indipendente. Aggrapparsi tenacemente alla falsa credenza in un ‘sé’, o ad un soggetto indipendentemente esistente è la causa principale della nostra sofferenza e della nostra schiavitù nel samsara.
Per il Madhyamika, la credenza di oggetti e soggetti intrinsecamente esistenti è proprio la radice della pervasiva sofferenza dichiarata nelle Quattro Nobili Verità. Credendo falsamente che il soggetto e gli oggetti esistano di per sé, noi attribuiamo loro molta più attrattiva o repulsione, generando così più desiderio o avversione, di quanta poi essi effettivamente meritino. Sulla base di questa fondamentale falsa credenza nell'esistenza intrinseca noi costruiamo tutti i nostri attaccamenti emotivi, che sono gli anelli della nostra catena del samsara. Così, questi attaccamenti (desideri o repulsioni) ci spingono continuamente verso oggetti e persone, oppure ce ne allontanano. Noi compulsivamente ricerchiamo, oppure sfuggiamo, questi oggetti che falsamente riteniamo intrinsecamente esistenti.
Potremmo pensare che l'esistenza inerente ci fornisce la nostra realtà più fondamentale, ma questa credenza in un soggetto inerentemente esistente, cioè l’Io, questo "auto-attaccamento," è la macina che ci trascina giù in fondo all'oceano del samsara. Questa auto-attaccamento ci porta direttamente ad un pervadente egoismo, un dilagante amore per se stessi, o "auto-gratificazione", che antepone i nostri interessi e i desideri prima di qualunque altra cosa. Le visioni filosofiche, consapevoli o meno, hanno sempre conseguenze potenti: quelle erronee portano alla sofferenza, quelle corrette portano all’illuminazione ed alla liberazione. Poiché questa falsa concezione dell’esistenza inerente è la radice della sofferenza, deve essere espulsa dalla nostra mente, forzatamente eliminata.
Certo, non è una cosa facile negare l'esistenza inerente di tutti gli oggetti e ad ogni tipo o livello di soggettività. Noi abbiamo il grande pericolo di una visione in gran parte immaginaria riguardo alla nostra realizzazione, che spesso solo ingrassa il nostro ego, piuttosto che realizzarla come la vacuità. Di conseguenza, la guida spirituale di un competente guru é di solito una necessità, quando si cerca di realizzare la vacuità.
La negazione dell’esistenza inerente non significa affatto che gli oggetti non esistono (che è l'estremo del nichilismo). Essi hanno sicuramente un'esistenza convenzionale o nominale, e funzionano dandoci aiuto, oppure per farci del male, ma sono totalmente privi di un'esistenza indipendente o inerente. Essi formalizzano questa idea nella dottrina delle due verità. Tutti i fenomeni soggettivi ed oggettivi, dal punto di vista ultimo, sono totalmente privi di esistenza indipendente o della propria auto-natura. Questa è la verità ultima – e cioè che la vacuità, ovvero la mancanza del sé dei fenomeni, è la loro qualità, la loro natura più profonda. Tuttavia, dal reame di azione del quotidiano, degli affari mondani come pure della pratica spirituale, gli oggetti hanno un carattere convenzionale. Essi funzionano, ma sono efficaci e devono essere perlopiù trattati a questo livello. Per esempio, in ultima analisi, il Tibet è totalmente privo di esistenza inerente; tuttavia, quando si discute del suo futuro politico e del fatto che i suoi cittadini hanno enormemente sofferto, allora noi dobbiamo trattare convenzionalmente le persone allo stesso modo come si trattano le cose del mondo. In definitiva tutti i fenomeni sono vuoti di esistenza inerente, ma nella vita pratica o convenzionale, noi dobbiamo trattarli con il rispetto che viene convenzionalmente concesso a tali oggetti. E nondimeno, mantenendo sempre in mente la loro vacuità, noi non diventiamo schiavi dei nostri attaccamenti – sia verso una nazione o una persona o verso la nostra stessa vita.
Con questa visione della vacuità, vorrei brevemente commentare anche l’impermanenza. Come ho già detto in precedenza, se le cose esistessero intrinsecamente, allora dovrebbero necessariamente essere immutabili e impotenti, cioè incapaci di agire su di noi, o noi su di loro. Però, la verità ultima degli oggetti è il loro essere vuoti, vale a dire la loro mancanza di esistenza inerente. Tutti gli oggetti esistono in modo convenzionale e sono efficaci nel mondo dell'azione, a causa delle loro interrelazioni e interdipendenze con altri oggetti e la mente del conoscitore. Il fatto che una mela possa esistere in dipendenza della sua interezza e delle sue parti, di cause e condizioni, della designazione mentale o denominazione, è ciò che rende il frutto commestibile, ciò che ci permette di vivere e nutrirci di esso. Ancor più importante per l'impermanenza, queste davvero definite interrelazioni e co-dipendenze e il loro continuo spostare le connessioni una con le altre garantisce che tutti gli oggetti e i soggetti siano impermanenti, incessantemente evolvendosi, maturandosi, decomponendosi e trasformandosi. Detto in breve, la vacuità e l'impermanenza sono le due facce della stessa medaglia dell'esistenza e, perciò la trasformazione e il cambiamento sono incorporati nel nucleo di tutte le entità, tanto soggettive che oggettive.

III. Tempo asimmetrico nella Fisica Moderna
1. Tempo simmetrico a livello microscopico
Immaginate un tavolo da biliardo con una videocamera montata sul soffitto sopra il tavolo e puntata verso il basso. Ora fate un video di una palla che rimbalza sul bordo rivestito in ogni angolo di un tavolo di biliardo. Dopodiché fate scorrere indietro il video e notate che se non ci viene detto l'ordine convenzionale degli eventi noi non avremmo alcun modo di distinguere il consueto 'ordine di eventi’ dall’ordine invertito. Ciò accade perché non viene violata nessuna legge della meccanica in questa invertita collisione della palla con il bordo. Questo è un esempio di processo di tempo simmetrico - un processo che sembra uguale o obbedisce alle stesse leggi fisiche anche quando l'ordine temporale degli eventi viene invertito.
Facciamo un esempio più complicato con un video di un inizio di gioco di biliardo sparando il pallino sul triangolo di raccolta iniziale delle palle. In questa più complessa serie di interazioni, le palle vanno a scontrarsi a vicenda tra di esse ed i bordi mentre alcune vanno nelle buche. Ora, se noi facciamo scorrere indietro questo video, sarebbe facile dire che viene eseguito al contrario, perché sappiamo bene cosa fa un pallino quando colpisce il triangolo delle palle. E comunque, tutti questi movimenti complessi sono ancora ‘tempo-simmetrico’. Se con qualche elaborato sistema noi avessimo lanciato ogni palla con la sua velocità invertita subito dopo la pausa, allora le palle avrebbero eseguito una complicata serie di collisioni, formare un triangolo perfetto, e poi espellere il pallino indietro verso il suo punto di partenza. Ora, se questo artificioso video fosse fatto scorrere all'indietro, allora uno spettatore lo avrebbe visto proprio come la normale sequenza che dà inizia ad un gioco di biliardo - niente di speciale - anche se in realtà essa sarebbe un inversione del tempo della normale sequenza. Tali sono le conseguenze del tempo simmetrico o leggi del tempo reversibile visto tramite ogni fisica a livello microscopico. [10]
Tuttavia, se qualcuno rompesse un uovo sul tavolo da biliardo, allora un video invertito in cui l’uovo spaccato si rimette insieme e si riadatta a tornare nel guscio sarebbe facile da individuare come un falso. Nessuno potrebbe invertire un simile video e confondere lo spettatore sulla corretta sequenza temporale. Per comprendere questo ovvio processo asimmetrico, quello con una precisa "freccia" che punta dal passato verso il futuro, quello costruito su stabilite leggi di tempo-simmetrico, dobbiamo studiare sistemi più complicati sistemi che non un pò di palle in collisione. Abbiamo bisogno di capire un po’ di più la moderna statistica fisica.

2. Comprendere l’Asimmetria del Tempo nella Statistica Fisica
La moderna discussione su come potremmo capire l'ovvia asimmetria del tempo, in cui le stabilite e sottostanti leggi sono simmetriche, iniziò con Ludwig Boltzmann verso la fine del XIX° secolo. Fu lui che derivò le leggi della termodinamica, le leggi che governavano il motore a vapore e le conversioni di energia, al centro della Rivoluzione Industriale, dalle proprietà statistiche dei gas gia regolati dalle leggi della meccanica di Newton - dalla meccanica statistica. Boltzman ed altri svilupparono poi una precisa nozione di ‘entropia’ come una misura del disordine. Maggiore è il disordine in un sistema, maggiore è l'entropia. La Termodinamica ha una famosa Seconda Legge, in cui si afferma che tutti i sistemi isolati dal loro ambiente hanno luna entropia costante o crescente. (Il significato di "isolato" sarà più chiaro in seguito). Una importante conseguenza di questa ‘Seconda Legge’ è che qualunque processo di produzione di energia deve creare una qualche entropia. Non può essere efficiente al 100%. Per di più, l’entropia aumenta sempre in corrispondenza con la consueta direzione del tempo, la distinzione asimmetrica tra il passato e il futuro. Quindi, se noi comprendiamo che cosa è l'entropia e perché essa aumenta sempre con il tempo, allora possiamo capire come il processo asimmetrico del tempo deriva dalle sottostanti leggi simmetriche.

Figura 1. Gas confinato a metà del contenitore.

Considerate un contenitore con atomi di gas semplice confinati in una metà come mostrato in Figura 1. Ora supponete che questo contenitore sia completamente isolato dal suo ambiente; che non ci siano scambi di energia, interferenze, o altre interazioni con l'ambiente. (Naturalmente, postulare una simile esistenza isolata e autonoma in questo contenitore metterebbe estremamente a disagio qualunque Buddhista Madhyamika, perché essi sostengono che un tale oggetto non potrebbe mai esistere senza relazioni). L'energia totale della scatola è costante, poiché le collisioni tra le pareti e le particelle e tra le particelle stesse conservano l’energia. (E perfino se esse non conservassero l’energia, dato che la scatola è completamente isolata, non potrebbero scambiare la loro energia con l'ambiente, così che l'energia totale del contenitore deve rimanere fissato in ogni caso.)
Per prepararci alle idee semplici ed eleganti che hanno avuto inizio con Boltzman, vorrei brevemente discutere di persone che siedono in una sala di cinema. Immaginatevi un teatro in cui un corridoio divida i sedili in modo tale che metà siano a sinistra e metà a destra. Si consideri il caso in cui gli spettatori occupino solo la metà dei posti a sedere - solo quelli sulla sinistra. Ed anche nel caso in cui tutti gli spettatori siano seduti solo sulla sinistra, ci sono molti modi diversi di far sedere le persone. Proviamo a chiamare ciascun distinto modo di distribuire gli individui nelle sedie un ‘microstato’. Ed in generale, noi non saremo costretti a far sedere le persone accanto ai loro amici. Anche in un piccolo teatro sono possibili molti microstati che soddisfino proprio il vincolo di riempire solo i posti a sinistra. Ad esempio, proprio scambiando i sedili di due qualsiasi persone offre un'altro distintivo microstato. Tuttavia, se consentiamo allo stesso numero di persone di sedersi in una qualsiasi parte del teatro ci sarebbe un numero molto maggiore di microstati disponibili, poiché vi sono molti altri modi possibili di avere spettatori seduti quando l'intero teatro viene utilizzato. Nel mio idealizzato esempio, ogni microstato accettabile è ugualmente probabile. I miei ideali spettatori non sono interessati né vicino a chi essi siedono né dove nel teatro sono seduti. Essi si distribuiscono a caso nelle sedie e in tal modo rendono ogni microstato accettabile con la stessa probabilità di realizzazione. Data allora la uguale probabilità di ogni microstato ed il soverchiante maggior numero di microstati disponibili quando si permettono i posti su entrambi i lati, è estremamente improbabile che tutti gli spettatori avrebbero potuto trovare posto su un solo lato. Con queste idee, siamo in grado di comprendere alcune leggi della fisica statistica dei gas nel contenitore, che noi stavamo prendendo in considerazione.
Possiamo quindi elencare il totale numero possibile di modi, o microstati, per cui le singole particelle potevano distribuirsi nella metà del contenitore e mantenere l'energia fissata. Per qualsiasi quantità significativa di gas questo sarà un enorme numero di microstati. Ad esempio, per solo due grammi di gas idrogeno ci sono 6.02217x10(alla 23°) molecole di idrogeno (H2), per cui vi è un enorme numero di modi per organizzare il gas nella metà della scatola con l'energia richiesta. Maggiore è il numero di microstati accettabili maggiore è l'entropia, poiché meno possiamo specificare sul microstato in esso, maggiore è il disordine e maggiore è l'entropia. Proprio come nella sala cinematografica, sappiamo che ogni microstato accettabile ha la stessa probabilità di realizzazione, di essere il microstato che realmente si ottiene in un dato momento. Ora, rimuovete la spartizione tra le due metà della scatola. Poiché ci sono molti più microstati compatibili con l'essere nelle due metà del contenitore, e ciascun microstato è ugualmente probabile, allora è molto più probabile che il gas venga uniformemente ben distribuito in tutta la scatola, come in Figura 2. (Questo è del tutto analogo all’esempio idealizzato dei clienti della sala cinematografica.)

Figura 2. Gas uniformemente diffusa.

In sintesi, il soverchiante maggior numero di microstati disponibili per il gas occupa le due metà della scatola anziché una sola metà e la uguale probabilità di ciascun microstato garantisce la pur schiacciante improbabilità di poter mai vedere un gas spontaneamente espandersi in solo una metà del contenitore. Poiché il gas distribuito uniformemente negli stati in tutte e due le metà è più disordinato (possiamo specificare di meno la localizzazione del gas), l'entropia aumenta. Questa direzione di entropia che aumenta dopo aver rimosso la spartizione corrisponde al nostro senso comune della freccia del tempo. Vale a dire, nei sistemi isolati, l'entropia aumenta con quello che noi consideriamo l’avanzamento del tempo.
Per molti anni ho seguito il libro di testo scelto per un corso di livello junior-senior in fisica statistica e termodinamica e presentai ai miei studenti, con adeguati dettagli matematici, l'argomento di cui sopra del perché l'entropia dovrebbe aumentare e perché il tempo ha l’osservata asimmetria passato-futuro. Purtroppo, di recente ho scoperto che l'argomento è sbagliato! Il problema di fondo è: in che modo dalle dinamiche di molte particelle che sono sottoposte al movimento del tempo-simmetrico si può effettivamente ottenere il movimento del tempo-asimmetrico? Torniamo all’esempio del teatro per illustrare il punto.
Immaginate un'altra sala cinematografica, il cinema ‘samsara’. Qui si inizia con tutti gli spettatori seduti a sinistra e si consentirà loro di seguire i loro capricci per muoversi intorno. Forse il ragazzo accanto a me sta riversando tutto su di me il suo burroso popcorn, oppure dietro di me i bambini stanno dimenandosi troppo. Io mi muovo per evitarli. Allo stesso modo, tutti gli altri. Tuttavia, nel cinema ‘samsara’, anche se chiunque potrebbe scegliere nuove diverse sedie su cui sedersi, non c’è nessuno che vi si siede. Non appena si trasferiscono in un altro posto, le persone non lo trovano di loro gradimento e passano ad un’altro nuovo, senza mai sedersi – il samsara è uno stato senza mai pace. Vi è perciò un costante movimento da una sede all'altra. Quindi, una totale caratterizzazione di un microstato dopo l'inizio del movimento dà a ogni persona sia una collocazione che una velocità.
Si consideri il microstato iniziale, S0(S alla zero), con tutti sulla sinistra (la bassa entropia-uno). Dopo un tempo arbitrario è generato uno stato S1 con persone sparse in tutto il teatro (un più alto stato di entropia). Per ogni S1 c'è un altro microstato, che è ugualmente probabile, e chiameremo S1*, con tutti nella stessa collocazione, ma con le loro velocità invertite (tutti i vettori di velocità, V, cambiati in -V). Supponendo reversibili interazioni per muovere gli spettatori (un assunto palesemente falso), questi microstati a velocità invertita risulteranno nella condizione originale, per qualunque tempo essi impieghino a generare S0, con tutti sulla sinistra. Ciascuna persona a velocità invertita ripercorrerà semplicemente i propri passi per tornare nella posizione originale. Questo ne conseguirà se si assume che tutti gli spettatori si muovono e interagiscono solo con le dinamiche di tempo-simmetrico. Se noi trasferiamo questo argomento al gas di Boltzman vedremo che dopo un tempo molto breve (poiché le particelle si muovono e interagiscono rapidamente) c’è una significativa probabilità che le particelle siano nella prima metà del contenitore (come in figura 1). Quindi l'argomento originale per l’aumento dell’entropia e i processi di tempo-asimmetrico crolla in un attimo.
I fisici hanno buone ragioni per sentirsi profondamente interessati alla Seconda Legge della Termo-dinamica, e varie controversie accompagnano i dettagli dell'appropriato argomento perché aumenti l’entropia. Tuttavia, negli ultimi quarant'anni, i problemi principali sono diventato più chiari[11]. Noi ora sappiamo che l'intera nozione di un sistema permanentemente e completamente isolato dal suo ambiente è la radice del problema. (I Madhyamika stanno sorridendo a denti stretti?). Ora noi siamo consapevoli di dover tener conto di come il contenitore andò nello stato di bassa entropia di tutte le particelle in una sola metà. Questo non fu un risultato del solo aspettare un lungo tempo per casuali movimenti di mettere il gas tutto da una parte, ma dal fatto che un tecnico di laboratorio svuotasse una metà e immettesse gas nell'altra. Questo preparare la scatola in uno stato di bassa entropia deve generare più entropia altrove nell'universo. Ad esempio, i tecnici consumano calorie dal riso e tofu, e irradiano energia da se stessi e dal loro equipaggiamento che, alla fine, se ne vola via nello spazio più profondo. In altre parole, il contenitore ha la sua entropia posta in una bassa condizione a causa di processi esterni a sé, ma a spese di un più enorme aumento di entropia in altra parte dell'universo.
Come sappiamo da tempo, l'energia emessa nello spazio dalle sue attività, può irradiarsi solo nello spazio esterno perché l'universo è in espansione. Se l'universo non stesse in espansione allora ogni livello della vista, quando estesa abbastanza lontano, atterrerebbe sulla superficie di una stella. Quindi la effettiva temperatura dello spazio profondo sarebbe quella della superficie delle stelle. Poi, lo spazio in genere avrebbe una temperatura paragonabile alla superficie del nostro sole (5800°K) piuttosto che i 3°K che ha in realtà. E poiché l'entropia non può che aumentare quando l'energia si muove da regioni ad alta temperatura a quelle a bassa temperatura, il semplice processo di irradiare l’energia del nostro corpo nello spazio sarebbe bloccato in un universo statico. Così, il tecnico non poteva ridurre localmente l'entropia nel contenitore generando maggior entropia altrove nell'universo - salvo che la sua temperatura corporea fosse superiore alla temperatura media della superficie delle stelle!
Tutti i sistemi che si organizzano o che diminuiscono la loro entropia, sia nella crescita di un fagiolo di soia o nella cristallizzazione di un fiocco di neve, stanno diminuendo l’entropia in una collocazione che dovrà essere costruita generando una maggiore entropia in un altra. Non solo l'energia proveniente dal cibo del tecnico e dal suo equipaggiamento alla fine arriverà fino al nostro sole, ma la stessa bassa entropia del sole è critica. I processi di generazione di energia, sia la nostra digestione del cibo o il funzionamento di una centrale nucleare, dipendono completamente dal fatto che il nostro sistema solare è in una condizione di bassa entropia. Quali sono le cause per cui il sole e le altre stelle sono in una condizione di bassa entropia? Questo si verifica perché l'espansione dell'universo è più veloce di quanto fu la velocità di generazione nucleare nei primi tre minuti del Big Bang. E questo significa che nei primi tre minuti del Big Bang, quando quasi tutto l'elio (che è circa il 25% della massa totale dell'universo) è stato formato, l'universo si espandeva in maniera così veloce che dopo tre minuti era troppo freddo perché si verificassero reazioni nucleari. Se l'espansione ed il raffreddamento fossero ancor più lenti allora tutta la materia nell'universo si trasformerebbe in un isotopo molto stabile di ferro, una condizione inerte e ad alta entropia. Allora le stelle non brillerebbero, non ci sarebbero i grandi livelli di entropia nell'universo, non ci sarebbe asimmetria del tempo e, naturalmente, neanche la vita come noi la conosciamo.
L’asimmetria temporale locale, come il decadimento di qualsiasi sistema biologico, incluso il nostro corpo, deve essere considerata in collegamento all'espansione dell'universo. Questo straordinario risultato ha molti contorcimenti tecnici, ma l'idea centrale è chiara: l'aumentare dell'entropia e la asimmetria del tempo devono la loro esistenza ai più grandi e più antichi processi dell'universo e alla sua continua espansione. Questo un lungo cammino dalla nozione di un sistema non interagente ed isolato, così aborrito dai Madhyamika. In questo modo, quando voi versate il latte nel vostro caffè e la miscela arriva alla stessa temperatura e a una maggiore entropia di quando i fluidi erano separati, voi state approfittando della espansione dell'universo e del suo raffreddamento prima che si potesse formare il ferro-56. Allo stesso modo, è possibile rintracciare il cadere dei vostri denti, e conseguente aumento di entropia, nei processi più antichi e più grandi nell’intero l'universo. (E magari voi avevate pensato che fosse tutto causa del filo interdentale!)

IV. Sintesi e conclusioni
Proprio mentre stavo completando la sezione sulla vacuità-impermanenza del Madhyamika, è morto Leo, il miglior cane che io abbia mai avuto. Naturalmente, questa è una piccola perdita rispetto al fatto di perdere una persona cara. Tuttavia, qui nel grembo dei Buddha, questa dolorosa perdita ci riporta ancora una volta alla 'asimmetria’ del tempo, alla realtà dell'impermanenza. Non ci saranno più lunghe passeggiate nei boschi con Leo, non più i suoi saluti entusiastici dopo una lunga giornata di lavoro, non più il conforto di un affettuoso amico. In futuro potrà esservi la possibilità di un altro cane, ma Leo se n’è irreversibilmente andato. Ho sottolineato qualcosa riguardo all’idea Madhyamika della vacuità-impermanenza, che mostra come la vacuità di tutti i fenomeni - la loro mancanza di esistenza indipendente,- implichi che essi hanno comunque un’esistenza, con le loro interrelazioni in una continua evoluzione, una totale co-interdipendenza tra l'ambiente circostante e il conoscitore. La mia giocosa lotta sul pavimento con Leo e miei figli, Leo che ruba i nostri calzettoni, gli inseguimenti selvaggi attraverso la casa per recuperarli, cose che Leo aveva tanto amato, definiva tutti noi, e ci ha reso quelli che siamo. In definitiva ‘Leo’ è solo un complesso insieme di relazioni, di azioni e reazioni, di storia, proiezioni psicologiche su quei begli occhi tristi, o reazioni di disgusto di fronte alle parti del corpo di animali selvatici trascinati nel cortile. Anche se (intellettualmente) io so che la mancanza di esistenza indipendente in tutte le cose, cioè la vacuità, implica l'impermanenza, inveteratamente io imputavo su Leo un’esistenza inerente e costruivo i miei attaccamenti e avversioni su una tale falsa imputazione, su quella falsa proiezione. Questa falsa attribuzione di esistenza indipendente non solo incatena tutti noi alla ruota del samsara, ma è anche la base del nostro auto-gratificarci, del nostro egoismo e della nostra incapacità di agire in modo compassionevole.
Sopra ho anche accennato come, secondo la fisica moderna, la stessa connessione che ogni oggetto ha con i primitivi eventi dell'universo e la loro attuale espansione su una maggior scala garantisce la Seconda Legge della termodinamica, cioè l'inevitabile svilupparsi di entropia, disordine, decadimento, e l’asimmetria del tempo, dalle sottostanti fondamentali leggi simmetriche del tempo. Dal punto di vista Madhyamika, questo straordinario risultato illustra magnificamente come la vacuità, la profonda dipendenza e l’interrelazionabilità con l'universo, provoca l'impermanenza. A posteriori, si può vedere poi che assumere sistemi, come ad esempio un contenitore di gas, che abbiano un'esistenza isolata, priva di interazioni con l'ambiente, ci ha portato fuori strada e ci ha impedito di comprendere come i processi di tempo-asimmetrico non potrebbero mai derivare dalle leggi di tempo-simmetrico di base. Forse, se la vacuità del Madhyamika ispirasse i fisici che lavorano nella meccanica-statistica, essi non avrebbero mai fatto questa ipotesi e il progresso della fisica-statistica sarebbe stato più rapido.
Noi sempre in-seguiamo la scienza all'interno di una matrice di credenze filosofiche e culturali - delle quali non tutte sono utili per il suo progresso. Io credo certamente che nella fisica ci siano altre aree, in particolare i fondamenti concettuali della meccanica quantistica, in cui l'ispirazione proveniente dai principi filosofici buddhisti potrebbe anche essere fruttuosa per lo sviluppo della fisica. D'altra parte, riflettere su alcuni fondamentali capisaldi della fisica moderna può animare e approfondire la nostra comprensione dei principi buddhisti. Di sicuro, gli efficaci esempi della fisica moderna possono di più illustrare i principi buddhisti che non pittoresche nozioni tipo "maglioni fatti con peli di tartaruga"…
Però, per quanto belli siano i paragoni e la fruttuosa sinergia tra la cardinale dottrina buddhista e la fisica moderna, è chiaro che noi non possiamo cadere nella trappola di legarle in un modo troppo stretto. Le idee e le teorie fisiche sono evanescenti, e quindi non si dovrebbe collegare ogni visione filosofica in modo troppo stretto ad esse, altrimenti la prossima rivoluzione scientifica renderà tutti i nostri sforzi obsoleti. D'altra parte, io mi congratulo con il Dalai Lama quando dice che, “se l'analisi scientifica può smentire in maniera convincente una fondamentale teoria buddhista, allora il buddhismo deve rinunciare a quella visione. Per esempio, i buddhisti credono nella rinascita. Ma, supponiamo che attraverso vari metodi e sistemi investigativi, la scienza un giorno arrivasse alla definitiva conclusione che non vi è alcuna rinascita. Se questo fosse definitivamente provato, allora dobbiamo accettarlo, e noi lo accetteremo. Questa è l'idea generale buddhista”[12].
Una tale attitudine non-dogmatica, che è aperta a revisionare perfino le convinzioni le più sacre del buddhismo, è ovviamente assai attraente per i moderni Occidentali.
Forse, più importante ancora di una potenziale sinergia tra il buddhismo e la Fisica, vi è la possibilità che riflettendo profondamente sulle grandi verità della ‘vacuità-impermanenza’, di certo noi potremo aumentare la nostra compassione. In questi periodi di fondamentalismo, nazionalismo rampante, e di zelo per i tagli fiscali piuttosto che assicurare una qualità della vita buona per tutti, dovremmo essere in grado di usare più compassione. Se, come sostiene la fisica, la nostra distinzione tra il passato ed il futuro, l'incremento dell’entropia tutto intorno a noi, dipende dai primordiali tre minuti dell'universo e dalla sua continua espansione, quanto più allora noi siamo profondamente legati a tutti gli abitanti dell’ "Astronave-Terra"? Se la mia interrelazione con le persone in un ghetto o in un campo profughi è così profonda come la dottrina della vacuità sostiene, allora la sofferenza che c’è in una parte del totale grande corpo dell’umanità ci riguarda tutti.
Come sostiene il Dalai Lama: “Ognuno di noi ha la responsabilità di tutta l'umanità. E' giunto il momento di pensare alle altre persone come nostri stessi veri fratelli e sorelle e di essere interessati al loro benessere, con il ridurre la loro sofferenza. Anche se non potete sacrificare totalmente il vostro benessere, voi non dovreste mai dimenticare di avere la preoccupazione per gli altri. Noi dovremmo pensare di più al futuro e al beneficio di tutta l'umanità. Inoltre, se provate a sottomettere le vostre motivazioni egoistiche – la rabbia, il rancore e così via - e riuscite a sviluppare più gentilezza e compassione per gli altri, alla fine, questo andrà a vostro beneficio più di quanto sarebbe stato se voi non lo faceste. Ecco perché a volte io dico che un ‘egoista-saggio’ dovrebbe praticare in questo modo. Le persone ‘egoiste-stupide’ pensano sempre solo a se stesse, e alla fine il risultato è sempre negativo. Gli ‘egoisti-saggi’ pensano agli altri, aiutano gli altri il più possibile, e il risultato è che anche loro ne riceveranno beneficio. Questa è la mia semplice religione. Non c'è bisogno di templi, non c’è bisogno di filosofia complicata. La nostra mente, il nostro cuore, è il nostro tempio. La nostra filosofia è la gentilezza” [13].

Ringraziamenti
Voglio offrire i miei ringraziamenti al Professor Shimon Malin del Dipartimento di Fisica della Colgate- University per gli utili commenti su una versione precedente di questo articolo. Ringrazio mia moglie, Elaine, per le molte idee stimolanti, per aver letto e commentato questa stesura dell’articolo, e per avermi insegnato il potere e la bellezza dell'amore. Esprimo la mia più profonda gratitudine a Sua Santità, il Dalai Lama, per aver ispirato il mio studio del buddhismo, per avermi incoraggiato a tenere in considerazione il rapporto tra scienza e buddhismo, e per essere sempre uno straordinario esempio di saggezza e compassione. Offro la mia più profonda gratitudine al compianto Sig. Antonio Damiani, fondatore di ‘Wisdom’s Goldenrot’, che ci ha insegnato la venerazione per numerose grandi tradizioni filosofico-religiose, senza limitarcene alcuna. Il suo zelo per la verità, combinato con la compassione, ci ha spinto a lavorare per una personale realizzazione delle grandi verità di queste tradizioni.
(Nota: In fisica l'entropia (dal greco antico ἐν en, "dentro", e τροπή tropé, "trasformazione") è una grandezza che viene interpretata come una misura del disordine presente in un sistema fisico qualsiasi, incluso, come caso limite, l'universo. Viene generalmente rappresentata dalla lettera S.) (Wikipedia)
 


Note e Riferimenti
1. Eddington, Arthur The Nature of the Physical World (Univ. of Michigan Press, Ann Arbor, 1968) p. 91.
2. Gyatso, Tenzin, A Policy of Kindness (Snow Lion Publications, Ithaca, NY, 1990) pp. 71-72.
3. For some examples see, Mansfield, Victor "Madhyamika Buddhism and Quantum Mechanics: Beginning a Dialogue," International Philosophical Quarterly, Vol. XXIV, 4, 116, (1989) pp. 371-391; "Relativity in Madhyamika Buddhism and Modern Physics," Philosophy East and West, Vol. XI, 1, (1990) pp. 59-72; or "Possible Worlds, Quantum Mechanics, and Middle Way Buddhism," Symposium on the Foundations of Modern Physics 1990 (World Scientific Publishing Co. Pte. Ltd., Singapore, 1991) pp. 242-260.
4. Mansfield, Victor Syncrhonicity, Science, and Soul-Making (Open Court Publishing, Chicago, IL, 1995). To be published in the fall of 1995.
5. Hopkins, Jeffrey, Meditation on Emptiness (Wisdom Publications, London, 1983) and Thurman, Robert, Tsong Khapa's Speech of Gold in the Essence of True Eloquence (Princeton University Press, Princeton, NJ, 1984).
6. Thurman, Robert, Tsong Khapa's Speech of Gold in the Essence of True Eloquence (Princeton University Press, Princeton, 1984).
7. Gyatso, Tenzin, The Buddhism of Tibet, Translated by J. Hopkins and L. Rimpoche (George Allen and Unwin, London, 1975); T. Gyatso, Transcendent Wisdom, Translated by B. A. Wallace (Snow Lion Publications, Ithaca, NY 1988).
8. Gyatso, Kelsang, Heart of Wisdom (Tharpa Publications, London, 1986).
9. Gyatso, Kelsang Meaningful to Behold (Tharpa Publications, London, 1986) p. 122.
10. Like others who write on the physics of time-asymmetry, I am neglecting the discovery in 1968 of the truly time-asymmetric decay of neutral K-mesons, since this interaction cannot account for macroscopic time-asymmetry.
11. For the philosophic reader I recommend Horwich, Paul, Asymmetries in Time (Massachusetts Institute of Technology Press, 1987), especially chapter 3; or for a more technical treatment. Halliwell, J, Pérez-Mercader, J, and Zurek, W. (edts.), The Physical Origins of Time Asymmetry (Cambridge University Press, Cambridge, England, 1994).
12. Gyatso, Tenzin, A Policy of Kindness, p. 68.
13. Piburn, Sidney, edt., The Dalai Lama: A Policy of Kindness (Snow Lion Publications, Ithaca, NY 1990) p. 58.
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Victor Mansfield, Professore di ‘Physics and Astronomy’ alla Colgate University, insegna Fisica ed Astronomia, oltre che Psicologia Junghiana e buddhismo Tibetan. Egli ha ampiamente pubblicato testi di astrofisica, fisica, filosofia e psicologia, incluso il suo recente libro: Synchronicity, Science, and Soul-Making (Chicago: Open Court Publishing, 1995).
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Original version

Time in Madhyamika Buddhism and Modern Physics http://www.lightlink.com/vic/time.html

Published in The Pacific World Journal of the Institute of Buddhist Studies, 1996
by Victor Mansfield
Department of Physics and Astronomy -Colgate University
Hamilton, NY 13346 - February 1996
In any attempt to bridge the domains of experience belonging to the spiritual and the physical sides of our nature, time occupies the key position
Sir Arthur Eddington [1]
In particular, there is a growing interest among the scientific community in Buddhist philosophical thought. I am optimistic that over the next few decades there will be a great change in our worldview both from the material and the spiritual perspectives.
The Fourteenth Dalai Lama [2]
I. Introduction
Perhaps because I began writing this paper a few days after my fifty-fourth birthday, while my human and animal friends are gravely ill all around me, my awareness of time has become so acute. Yet anybody inspired by the doctrine of impermanence realizes that reflection on time is central to both the theory and practice of Buddhism. Since the no-self doctrine denies us any refuge in the notion of an eternal soul, as we commonly understand it, there is nowhere to hide from the truth of impermanence. Here I'll review the principle of emptiness in Prasangika Madhyamika, the Consequence School of Middle Way Buddhism so prominent in Tibetan Buddhism, and discuss how it bears on impermanence. Perhaps in the process we can glimpse how reflection on time is a liberating activity that must express itself in compassion.
In modern physics time also plays a central role, yet subjectively experienced or psychological time is not identical to the physicist's conception of time. Psychologically we are very clear about the radical distinction between the past and the future. We try to learn from the past, but these events are unalterable, while those in the future are unknown and the possibility for influencing them is greater. In contrast, in modern physics microscopic processes are entirely reversible--there is no fundamental distinction between the past and the future. Physical processes can run in what we consider the backwards order and not violate any laws of physics. Yet in the world where we and the Buddha have experience, there are clearly irreversible processes on all sides from the rotting of fruit in my refrigerator to the death of stars in deep space, and of course, to the death of loved ones. In our experience, the temporal notions of past and future are not symmetric like the spatial ideas of left and right. In this sense, time is asymmetric--an arrow of time points from the past into the future. Here I'll nontechnically review how modern physicists have dealt with this dichotomy between the symmetric microscopic level with its reversible time and the asymmetric macroscopic level where we are keenly aware of the difference between past and future and where decay and impermanence surround us.
There is no question of physics proving the great doctrine of Buddhist impermanence nor the worldview implied. Furthermore, since physical theories are a prime example of impermanence, it is a guarantee of obsolescence to bind Buddhism or any philosophic view too tightly to a physical theory. What happens when the theory changes? Do the foundations of our closely linked worldview tremble at each scientific revolution? Nevertheless, science is the reigning worldview in modern culture and so there is a demand to ask how a philosophic or religious view relates to this dominant scientific view. In addition, the Dalai Lama is correct when he says in the opening quotation, "there is a growing interest among the scientific community in Buddhist philosophical thought."
Perhaps a fruitful dialogue can develop between Buddhism and science, one that deepens our appreciation of such ancient truths as impermanence and also fertilizes modern physics, which despite its enormous successes, still suffers from serious conceptual difficulties at its philosophic foundations. Of course, if such a dialogue is to be more than merely drawing pleasant parallels between such diverse subjects as Buddhist emptiness and nonlocality in quantum mechanics,[3] then revision of views must occur in both camps. The dialogue must bear fruit in the normal activities of each discipline. Otherwise, it is difficult to imagine how "there will be a great change in our worldview both from the material and the spiritual perspectives." I hope this paper contributes to the developing dialogue between science and Buddhism and makes some small progress toward a cross-fertilization. In the process we may learn how reflections on time can be, as Sir Eddington says in the opening quotation, a bridge between the spiritual and the physical.
II. Emptiness and Time in Prasangika Madhyamika
To begin my brief sketch of emptiness and time in the Prasangika Madhyamika (abbreviated to Madhyamika in this paper), I'll present two little stories and some comments on them from the Buddhist section of my forthcoming book, Synchronicity, Science, and Soul-Making.[4] Let me begin with a story that relates directly to the objective side of Madhyamika emptiness.
Several years ago I was returning graded term papers (worth about one third of the final course grade) and noticed one student was not receiving a paper. "Jay, I have no paper for you. Did you turn one in?" He said, "Oh yes, I submitted it along with everyone else." I apologized profusely and told him it must be in one of my offices. I would dig it out and grade it for him by the next class. (Then I also held the rotating chairmanship of our department and thus had the chairman's office along with my own in which to spread out and create havoc.)
I searched both offices at school and my office at home and could not find the student's paper anywhere. I could even vaguely recall seeing the paper at some time, but it just would not turn up, no matter how carefully I searched. My guilt started eating at me. Writing a term paper of that size is a very big piece of work, especially for someone as careful as Jay, and I, Mr. Chaos, cannot find his paper. "It must be here somewhere!" I vowed to reform my sloppy practices. Meanwhile, I would use this guilt driven opportunity to clean out all three offices in my desperate attempt to find the student's paper. During my search I would get the clear sensation it was going to turn up in the very next pile. I could almost see the title page now.. . . Nothing, no paper, and no evidence for ever receiving it. "How could I lose that paper?"
Defeated, I returned to the student and confessed I could not find the paper. I asked whether he had another copy or an earlier draft. He said that the one he turned into me was the only copy. I apologized again and offered him an additional two weeks to turn his research notes into another version of the paper. Meanwhile, I would keep an eye out for the paper, despite my having lost hope of finding it.
Early one morning while preparing for class, Jay came into my office. He looked like he had not slept for the last two nights. Before I could even say hello he blurted out, "I lied. I never did turn in a paper. I am sorry." I'll skip the long conversation we had and what came of it. That is not the point.
The point is that in my frantic and fruitless search for the term paper I was sure it was around somewhere, and that I would warmly embrace it with a mix of relief and satisfaction when it appeared. My vague image of the paper would be clarified and objectified. When found, the term paper would sit there and accuse me of my stupidity. In fact, my expectations instantly dissolved from the negative realization that the paper never existed and so could never be found. I had expectations and fantasies, but nothing to support them.
My belief in the false existence of that term paper is precisely analogous to the false belief in what the Madhyamika calls inherent or independent existence--the denial of which is their doctrine of emptiness. The major translators and commentators, such as Hopkins[5] and Thurman[6] and Tibetan scholar-monks such as Tenzin Gyatso, the fourteenth Dalai Lama,[7] or Geshe Kelsang Gyatso[8] who teach extensively in the West, use a variety of words to describe what is denied in the emptiness doctrine or the "negatee" as they call it. They use inherent existence (svabhavasiddhi) interchangeably with such terms as independent existence, intrinsic existence, substantial existence, intrinsic essence, or intrinsic self-nature to mean our most innate, unreflective, and pragmatic belief about the way subjective and objective phenomena exist.
We may divide this innate and unreflective belief in inherent existence into two pieces: First, that phenomena exist independent of mind or knowing, that "underneath" or "behind" the psychological associations, names, and linguistic conventions we apply to objects like bell or tree or term paper that something objective and substantial exists fully and independently from its own side. Such objects seem to provide the objective basis for our shared world. Second, these objects are also believed to be self-contained and independent of each other. Each object being fundamentally nonrelational, it exists on its own right without essential dependence upon other objects or phenomena. In other words, the essential nature of these objects is their nonrelational unity and completeness in themselves.
Our false belief in inherent or independent existence is the basis upon which we generate our desires and aversions. As we are taught in the second of the Four Noble Truths, these cravings and aversions, these desires, are what generate the suffering permeating all experience--the first Noble Truth. Madhyamika claims that only when we root out this false belief in inherent existence can we realize our potentiality for Buddhahood, for becoming beacons of wisdom and compassion.
The trouble with the false belief in inherent existence is that it includes a conviction that a diligent search will reveal it clearly before us where we can embrace it. The object's essence, its self-standing nature, will transparently shine forth. But in truth this self-standing nature is no more existent than that term paper. While something inherently existent has never been found in the past and will never be found in the future, the paper eventually did exist--although not the one I was initially seeking, but rather its replacement. (Can we truly replace something that never existed?)
The arguments denying inherent existence are extensive and occupy much of the Madhyamika Buddhist literature on emptiness. Rather than review these arguments in detail, I'll boil these brain-splitters down to their essence. They all amount to showing that inherent existence is "unfindable upon analysis." This means that when you search deeply for the object or subject believed to exist inherently, you come up with no more than I did when searching for the student's paper. Rather than find an independently existent phenomenon, these searches reveal an object or subject deeply and inextricably involved with its surroundings and the searcher, the person doing the analysis. (Any general object or subject can be considered a phenomenon, something we can know.)
The searches never yield independently existent objects, but rather those that are deeply dependent in three related ways. First, all phenomena are dependent upon "causes and conditions" or upon the vast network of causal factors and conditions that make a thing possible. The apple tree outside my window depends deeply upon favorable soil, light, water, disease control. For these reasons it lacks independent existence.
Second, all phenomena are dependent upon the whole and its parts and their relationships. For example, my apple tree depends upon having branches, trunk, leaves, all arranged in some well-defined way that we recognize as a tree. Consider the definition of an intrinsically existent object. Because an independent essence or self-nature must be self-contained and isolatable, by its very definition, an inherently existent phenomenon must be a partless essence. It cannot therefore be distributed over parts or shared between the whole and the parts. Yet, since we can always analyze phenomena into whole and parts, independent existence cannot inhere in them. Although we unreflectively consider inherent existence to be the touchstone of reality, its deep logical inconsistencies condemn it to nonexistence.
Third, and most profoundly, all phenomena are dependent upon imputation or mental designation. We continuously receive an immense avalanche of information that we organize, distill, and coordinate with other experiences. We cut up the seamless rush of experience into units of intelligibility (color, texture, memories, associations). Then we collect these items together and designate or name it a tree. Mind is constructive of its world, the only world we can know. We mentally designate, impute, or name that complex of sensations, memories, and expectations to be a tree. This is part of the mind's normal job. The problem comes when the mind erroneously invests the designated object with the nonexistent property of inherent existence. In other words, we illegitimately project the false notion of inherent existence into phenomena and then suffer the consequences of this projection.
It's quite an extraordinary idea that inherent existence, what we erroneously consider the core reality of an object, is simply nonexistent and furthermore that we falsely invest objects with this nonexistent. Upon that false projection we build our cravings and aversions and keep spinning the wheel of samsara. We must awaken from this ignorance if we are permanently to break out of the realm of suffering.
In truth, all objects exist only as sets of relationships or dependencies--between various objects and between the object and the knower who mentally designates them. No core of self-nature or intrinsic essence supports our names, linguistic conventions, and projections. Nothing exists "underneath" our imputations or mental designations. Objects are none other than dependency relationships and names. In other words, all phenomena exist as a species of dependent arising--dependent upon causes and conditions, whole and part, and mental designation. This view thoroughly denies the mind-matter split of Cartesian dualism, the core of many of our Western prejudices that impede both our philosophic and scientific understanding.
It is natural to ask that if things lack inherent existence, if they are empty, then how can they function? How can an ultimately empty tree bear fruit that we eat? According to the Madhyamika, the very emptiness of independent existence of all phenomena is what allows them to function through their relationships and be sources of help and harm. In contrast, if objects inherently existed then they would of necessity be immutable and impotent, unable to act on us or we on them. Within this ultimately empty but conventionally existent world we must win our Buddhahood and thus they call our world the "womb of the Buddhas." Philosophically we must be able to move back and forth between the ultimate and conventional truth of phenomena.
Next let me turn to the subjective side of emptiness, again via a little story from my book. A few years ago I got the strong urge to go canoeing on a nearby lake. I've always enjoyed canoeing since my childhood and the beautiful late spring day seemed to cry out for it. A friend lent me his canoe and my wife and I were soon paddling along the shoreline enjoying the beauty and peace of nature. We were both extolling the beauties of Seneca Lake and saying how conducive canoeing was to a relaxing and aesthetic appreciation of nature. Suddenly a water skier was heading straight for us at top speed. He veered to the side at the last possible moment thereby completely drenching me and my wife with cold water. Sputtering disbelief, shock, indignation, then rage--all exploded inside me. "That damn kid! If he tries it again, I'll stand up in the canoe and whack him with the paddle! How could he do that to me.. . . to me?!" After a few moments of intense indignation I began to laugh heartily, marveling at how quickly my feelings changed from nature mystic to Attila the Hun, from the aspiring Bodhisattva to bloodthirsty monster. I also guiltily recalled how often Buddhism emphasize the control of anger. For example they say, "How are we harmed by our anger or hatred? Buddha has said that hatred decreases or destroys all our collections of virtue and can lead us into the lowest of the hell realms."[9]
However, the main point here is a philosophic one, rather than a moral one--although in Buddhism they always closely connect. From the philosophic perspective, the Madhyamika notes that right at the height of my indignation there was a clear experience of the I--the one we all firmly believe inherently or independently exists. Certainly I had no concern for "turning the other cheek" or for the doctrine of Universal Compassion or any such pious principles. But the critical thing is the I, the "me" believed to exist independently, standing in bold relief in the light of my indignation.
It is easy to be led astray by the anger in my story, but that is not the point. The important thing is that at these times we can most easily see the powerful sense of I or me. Perhaps another simple example will make this clear. Imagine an academic who is wrongly accused of some gross form of plagiarism. His shock and disbelief will quickly turn to indignation. "I would never do such a thing! I am scrupulously honest about that sort of thing," he might exclaim. Right at the height of his indignation there is a very strong sense of an I, one unjustly accused, honest, and thinking frantically how he can clear his good name.
This I or me that we instinctively believe inherently or independently exists is thoroughly denied in the doctrine of emptiness. The Madhyamika also goes well beyond denying this coarse or low level of the ego. That is just the beginning of their no-self doctrine. They claim that any identifiable level of subjectivity is empty of independent existence. Tenaciously clinging to the false belief in an independently existent subject or a self is the primary cause of our suffering, of our bondage to samsara.
For the Madhyamika, belief in inherently existent objects and subjects is the taproot of the pervasive suffering mentioned in the Four Noble Truths. Falsely believing that objects or subjects inherently exist, we ascribe more attractiveness or unattractiveness, generate more craving or aversion, to them then they actually deserve. Upon this foundation of the false belief in inherent existence we build all our emotional attachments, our chains to samsara. These attachments drive us endlessly toward or away from objects and people. We compulsively quest after or flee from objects we falsely believe inherently exist.
We may think inherent existence provides us with our most fundamental reality, but this belief in an inherently existent subject or I, this "self-grasping," is the millstone dragging us to the bottom of the ocean of samsara. This self-grasping leads directly to pervasive egotism, self-love, or "self-cherishing," that is putting our own concerns and desires before all else. Philosophic views, whether conscious or not, always have powerful consequences: wrong ones lead to suffering, correct ones to liberation or enlightenment. Because this false conception of inherent existence is the root of suffering, it must be pulled out, painfully extracted.
Of course, it is no easy matter to deny inherent existence in all objects and at every level of subjectivity. We have the great danger of a largely imaginary view of our attainment and only fattening our ego rather than realizing it as empty. Therefore, a competent guru or spiritual guide is usually a necessity when attempting to realize emptiness.
The denial of inherent existence does not mean that objects do not exist (the extreme of nihilism). They surely have a conventional or nominal existence and they function to provide help and harm, but they totally lack independent or inherent existence. They formalize this idea in the doctrine of the two truths. From the ultimate point of view, all subjective and objective phenomena are totally lacking in independent existence or in their own self-nature. This is the Ultimate Truth--that emptiness or selflessness of phenomena is their highest quality, their most profound nature. However, from the everyday realm of action, commerce, and spiritual practice, objects have a conventional nature. They function; they are efficacious and must be dealt with on this level. For example, ultimately, Tibet is totally without inherent existence; nevertheless, when discussing its political future and that its citizens have suffered mightily, then we are to treat it as people conventionally treat things in the world. Ultimately all phenomena are empty of inherent existence, yet in practical or conventional living we must treat them with the respect conventionally granted such objects. However, always keeping their emptiness in mind, we do not become slaves to our attachments--whether to a country or a person or our own life.
With this sketch of emptiness, let me briefly comment on impermanence. As I mentioned above, if things inherently existed then they would of necessity be immutable and impotent, unable to act on us or we on them. But the ultimate truth of objects is their emptiness, their lack of inherent existence. Objects exist conventionally and are effective in the world of action because of their relationships and interdependence with other objects and the knower. That the apple exists in dependence upon its whole and parts, causes and conditions, and on our mental designation or naming is what makes it an edible fruit, what allows us to experience it and be nourished by it. More important for impermanence, these very defining relations and co-dependencies and their continuously shifting connections with each other guarantee that all objects and subjects are impermanent, ceaselessly evolving, maturing, decaying, and transforming. In short, emptiness and impermanence are two sides of the coin of existence and therefore transformation and change are built into the core of all entities, both subjective and objective.
III. Asymmetric Time in Modern Physics
1. Symmetric time at the microscopic level
Imagine a pool table with a video camera mounted on the ceiling above the table and pointing down. Now make a video of a ball bouncing off a cushion at any angle. Then run the video backwards and notice that if we are not told the conventional order of events we would have no way to distinguish the usual order of events from the reversed order. This follows because no laws of mechanics are violated in this reversed collision of the ball with a cushion. Here is an example of a time symmetric process--a process that looks the same or obeys the same physical laws whenever the time order of events is reversed.
Let's make a video of the more complicated example of starting the pool game by shooting the cueball at the initial triangular array of balls. In this more complicated set of interactions the balls collide off each other and the cushions and some go into the pockets. Now if we ran this video backwards, it would be easy to tell it is being run backwards because we know quite well what a cueball does when it strikes the rack of balls. Nevertheless, all these complicated motions are still time-symmetric. If by some elaborate contrivance we launched each ball with its reversed velocity just after the break, then the balls would execute a complicated series of collisions, form into a perfect triangle, and eject the cueball back toward its starting point. Now if this contrived video were run backwards then a viewer would see it as just the normal break that begins a pool game--nothing special--even though it is actually a time reversal of the normal break. Such are the consequences of time-symmetric or time reversible laws seen throughout all physics at the microscopic level.[10]
However, if someone cracked an egg on the pool table, then a reversed video in which the spread out egg pulls together and fits itself back into the shell would be easy to spot as a fake. Nobody could reverse such a video and confuse the viewer about the correct time sequence. To understand this obviously asymmetric process, one with a clear "arrow" pointing from the past to the future, one built upon time-symmetric underlying laws, we must study more complicated systems than a few colliding balls. We need to understand a little modern statistical physics.
2. Understanding Time Asymmetry in Statistical Physics
The modern discussion of how we could understand the obvious asymmetry of time when the underlying laws are symmetric began with Ludwig Boltzman in the late nineteenth century. He was deriving the laws of thermodynamics, the laws governing the steam engine and the energy conversions at the heart of the Industrial Revolution, from the statistical properties of gases governed by Newton's Laws of mechanics--from statistical mechanics. Boltzman and others developed a precise notion of entropy as a measure of disorder. The greater the disorder in a system, the greater the entropy. Thermodynamics has the famous Second Law, which states that all systems isolated from their environments have a constant or increasing entropy. (The meaning of "isolated" will become clear below.) An important consequence of this Second Law is that any energy generation process must create some entropy. It cannot be 100% efficient. What is more, entropy increase always corresponded with the usual direction of time, the asymmetric distinction between the past and the future. Thus, if we can understand what entropy is and why it always increases with time, then we can understand how time-asymmetric process arise from the underlying symmetric laws.
Figure 1. Gas confined to half the box.
Consider a box with simple gas atoms confined to one half as shown in Figure 1. Assume this box is fully isolated from its environment; that there are no energy exchanges, interferences, or interactions with the environment. (Of course, postulating such an isolated and self-standing existence to this box would make any Madhyamika Buddhist extremely uncomfortable, because they claim such an object could never exist without relationships.) The total energy of the box is constant, since the collisions between the walls and the particles and among the particles conserves energy. (Even if they did not conserve energy, since the box is fully isolated it cannot exchange energy with its environment, so the total energy of the box must remain fixed in any case.)
In preparation for the simple and elegant ideas that began with Boltzman let me briefly discuss the seating of patrons in a movie theater. Imagine a theater in which an aisle divides the seats such that half are on the left and half are on the right. Consider the case when the patrons occupy only half the seats--those just on the left. Even with all the patrons sitting just on the left, there are many different ways of seating individuals. Let's call each distinct way of distributing individuals in seats a microstate. To be general we'll not be constrained to seating people next to their friends. Even in a small theater many microstates are possible that satisfy the constraint of only filling just the seats on the left. For example, just interchanging the seating of any two patrons gives another distinct microstate. However, if we allowed the same number of people to sit anywhere in the theater there would be a much larger number of available microstates, since there are many more possible ways of getting the patrons seated when the entire theater is used. In my idealized example, each acceptable microstate is equally likely. My ideal patrons are neither concerned with whom they sit nor where they sit in the theater. They randomly distribute themselves in the seats and thereby make each acceptable microstate equally likely of realization. Given the equal probability of any microstate and the overwhelmingly greater number of microstates available when we permit seating on both sides, it is exceedingly unlikely that all the patrons would be found sitting on just one side. With these ideas we are now ready to understand some statistical physics of the gas in the box we were just considering.
Figure 2. Evenly diffused gas.
We can enumerate the total possible number of ways, or microstates, for which individual particles could distribute themselves in half the box and keep the energy fixed. For any significant amount of gas this will be an enormous number of microstates. For example, for just two grams of hydrogen gas there are 6.02217x1023 hydrogen molecules (H2), so there are an immense number of ways to arrange the gas in half the box with the required energy. The greater the number of acceptable microstates the greater the entropy, since the less we can specify about the state (which microstate it is in), the greater the disorder, the greater the entropy. Just as in the movie theater, we know that each acceptable microstate is equally likely of realization, of being the microstate that actually obtains at a given time. Now remove the partition between the halves of the box. Since there are many more microstates compatible with being in both halves of the box and each microstate is equally likely, then it is vastly more probable that the gas will be evenly distributed throughout the box as in Figure 2. (This is completely analogous to my idealized movie patrons.)
In summary, the overwhelmingly greater number of microstates for the gas occupying both halves of the box instead of only half and the equal likelihood of each microstate guarantees the overwhelming improbability of ever seeing a gas spontaneously arrange itself in just half the box. Since the states with the gas evenly distributed throughout both halves is more disordered (we can specify less about the gas location) entropy increases. This direction of entropy increase after removing the partition corresponds to our usual sense of the arrow of time. That is, in isolated systems entropy increases with what we consider advancing time.
For many years I followed the text book of choice for a junior-senior level course in statistical physics and thermodynamics and presented, with appropriate mathematical detail, the above argument to my students for why entropy should increase and why time has the observed past-future asymmetry. Unfortunately, I recently found that the argument is wrong! The basic problem is how from the dynamics of many particles undergoing time-symmetric motion do you actually get time-asymmetric motion? Let's return to the theater to illustrate the point.
Imagine another movie theater, samsara cinema. Here start with all the patrons sitting on the left and allow them to follow their whims for moving around. Perhaps the guy next to me is spilling his buttery popcorn all over me or the kids behind me are squirming around too much. I move to avoid them. Likewise for everybody else. However, in samsara cinema, although everybody can choose new seats and move to them, they never sit down. As soon as they move to another seat they find it not to their liking and move to a new one without sitting--samsara is a restless condition. There is thus constant motion from one seat to another. Then a full characterization of a microstate after the start of moving around gives each person both a location and a velocity.
Consider the initial microstate, S0, with everybody on the left (the low entropy one). After an arbitrary time a state S1 is generated with people spread throughout the theater (a higher entropy state). For each S1 there is another microstate, which is equally likely, call it, S1*, with everybody in the same location, but with their velocities reversed (all velocities vectors, V, changed to -V). Assuming reversible interactions for movie patrons (a patently false assumption), these velocity reversed microstates will, in whatever time it took to generate them from S0, result in the original condition with everybody on the left. Each velocity reversed patron simply retraces their steps and gets back to their original position. This must follow if we assume that all patrons move and interact only with time-symmetric dynamics. If we translate this argument to Boltzman's gas we see that after a very short time (the particles move and interact quickly) there is a significant probability of the particles being in just half the box as in Figure 1. So the original argument for entropy increase and time-asymmetric processes collapses in a heap.
Physicists have good reasons for being deeply committed to the Second Law of thermodynamics and controversy surrounds the details of the proper argument for entropy increases. However, in the last four decades the main issues have become clear.[11] We now understand that the whole notion of a system permanently and completely isolated from its environment is the root of the problem. (Are the Madhyamika grinning?) We now realize that we must account for how the box got into the low entropy state of all particles in just one half. This did not result from just waiting a long time for random motions to throw the gas all to one side, but from some lab technician evacuating one half and placing gas in the other. This preparing the box in a low entropy state must generate more entropy elsewhere in the universe. For example, the technician consumed calories from rice and tofu and radiated energy from herself and her equipment that eventually went into deep space. In other words, the box had its entropy put into a low condition by processes outside itself, but at the expense of a much greater entropy increase elsewhere in the universe.
As we have long known, the energy emitted into space from her activities can only radiate into outer space because the universe is expanding. If the universe were not expanding then any line of sight when extended far enough would land on a star surface. Then the effective temperature of deep space would be that of the surface of stars. Then space would typically have a temperature comparable to the surface of our sun (5800 °K) rather than the 3 °K it actually has. Since entropy can only increase when energy moves from high to low temperature regions, the simple process of radiating our body's energy into space would be blocked in a static universe. Thus the technician could not locally reduce the entropy in the box by generating more entropy elsewhere in the universe--unless her body temperature were higher than the average temperature of the surface of stars!
All systems organizing themselves or decreasing their entropy, whether it is the growing of a soy bean or the crystallization of a snowflake, are decreasing entropy in one location that must be made up by a greater entropy generation in another. Not only is the energy from the technician's food and her equipment eventually traced back to our sun, but the sun's low entropy is critical. Energy generation processes, whether the digestion of our food or the workings of a nuclear power plant, are totally dependent upon our solar system being in a low entropy condition. What causes the sun and other stars to be in a low entropy condition? This occurs because the expansion of the universe was faster than the nuclear generation rates in the first three minutes of the big bang. This means that in the first three minutes of the big bang, when nearly all the helium (about 25% of the total mass in the universe) was formed, the universe expanded so quickly that after three minutes it was too cool for nuclear reactions to occur. If the expansion and cooling were much slower then all the matter in the universe would form into a very stable isotope of iron, an inert and high entropy condition. Then the stars would not shine, there would be no great entropy gradients in the universe, no time asymmetry, and, of course, no life as we know it.
Local time-asymmetry, such as the decay of any biological system, including our own bodies, must be accounted for by connecting it to the expansion of the universe. This extraordinary result has many technical twists and turns, but the central idea is clear: increasing entropy and time-asymmetry owe their existence to the largest and earliest processes in the universe and its continued expansion. This is a long way from the notion of an isolated and noninteracting system, so abhorrent to a Madhyamika. In this way, when you pour milk into your coffee and the mixture comes to the same temperature and a higher entropy than when the fluids were separated, you are profiting from the universe's expanding and cooling before iron-56 could form. Similarly, you can trace the decay of your tooth, and the resulting entropy increase, to the earliest and largest processes in the entire universe. (You thought it was all about flossing!)
IV. Summary and Conclusions
While I was completing the section above on Madhyamika emptiness-impermanence, Leo, the best dog I ever had, died. Of course, it is a small loss compared to losing a loved one. Nevertheless, here in the womb of the Buddhas this sorrowful loss drives home again the asymmetry of time, the reality of impermanence. There will be no more long walks in the woods with Leo, no more enthusiastic greetings after a long day at work, no more solace from an affectionate friend. The future holds out the possibility of another dog, but Leo is irreversibly gone. I outlined something of the Madhyamika idea of emptiness-impermanence, which shows how the emptiness of all phenomena, their lack of independent existence, implies that they must exist though continually changing relationships, co-interdependence with their surroundings and the knower. My playful wrestling on the floor with Leo and my sons, Leo's stealing our socks, the wild chases though the house to retrieve them that Leo so loved, defined us all, made us who we are. Ultimately Leo is only a complex set of relationships, of actions and reactions, of history, psychological projections on those beautiful sad eyes, or reactions of disgust at the body parts of wild animals dragged into the yard. Although I know (intellectually) that the lack of independent existence in all things, emptiness, implies impermanence, I inveterately impute inherent existence on Leo and build my attachments and aversions on that false imputation, that false projection. Not only does this false attribution of independent existence chain us to the wheel of samsara, but it also is the basis of our self-cherishing, our egotism, and our inability to act compassionately.
I also sketched above how, according to modern physics, the very connection that each object has with the earliest events in the universe and its present largest scale expansion guarantees the Second Law of thermodynamics, the inevitability of increased entropy, disorder, decay, and time-asymmetry from underlying time-symmetric laws. From the Madhyamika point of view, this extraordinary result beautifully illustrates how emptiness, the deep dependency and interrelatedness with the universe, brings about impermanence. In retrospect we can see that assuming systems, such as the box of gas, have an isolated existence, free from interactions with its environment, led us astray and prevented us from understanding how time-asymmetric processes could ever result from underlying time-symmetric laws. Perhaps if Madhyamika emptiness inspired the physicists working in statistical mechanics, they would never have made this assumption and the progress of statistical physics would have been more rapid.
We always pursue science within a matrix of philosophic and cultural beliefs--not all of which are helpful for its progress. I believe there are other areas in physics, especially the conceptual foundations of quantum mechanics, where inspiration by Buddhist philosophic principles might also be fruitful for the development of physics. On the other hand, reflecting on some fundamental topics from modern physics can enliven and deepen our understanding of Buddhist principles. Certainly more effective examples from modern physics can illustrate Buddhist principles than such quaint notions as "sweaters made of turtle hair."
Yet, however beautiful the parallels and fruitful the synergy between pivotal Buddhist doctrine and modern physics, we clearly cannot fall into the trap of binding them too tightly. Physical ideas and theories are evanescent and so we should not link any philosophic view too tightly to them, otherwise the next scientific revolution will make all our efforts obsolete. On the other hand, I applaud the Dalai Lama when he says that if scientific analysis convincingly refutes a core Buddhist position then Buddhism must give up the view. For example,
Buddhists believe in rebirth. But suppose that through various investigative means, science one day comes to the definite conclusion that there is no rebirth. If this is definitively proven, then we must accept it and we will accept it. This is the general Buddhist idea.[12]
Such a nondogmatic attitude that is open to revising even the most sacred beliefs of Buddhism is obviously appealing to modern Westerners.
Perhaps even more important than a potential synergy between Buddhism and physics is the possibility that through reflecting deeply upon the great truths of emptiness-impermanence, we will increase our compassion. In this day of rampant nationalism, fundamentalism, and zeal for tax cuts rather than securing a quality life for all, we could use more compassion. If, as physics claims, our distinction between past and future, the increase of entropy all around us, is dependent upon the first three minutes of the universe and its continuing expansion, how much more are we deeply related to all inhabitants on "spaceship earth?" If my interrelatedness to persons in the ghetto or a refugee camp is as profound as the doctrine of emptiness maintains, then suffering in one part of the great body of humanity affects us all. As the Dalai Lama puts it:
Each of us has responsibility for all humankind. It is time for us to think of other people as true brothers and sisters and to be concerned with their welfare, with lessening their suffering. Even if you cannot sacrifice your own benefit entirely, you should not forget the concerns of others. We should think more about the future and benefit of all humanity.
Also, if you try to subdue your selfish motives--anger, and so forth--and develop more kindness and compassion for others, ultimately you yourself will benefit more than you would otherwise. So sometimes I say that the wise selfish person should practice this way. Foolish selfish people are always thinking of themselves, and the result is negative. Wise selfish people think of others, help others as much as they can, and the result is that they too receive benefit.
This is my simple religion. There is no need for temples; no need for complicated philosophy. Our own brain, our own heart is our temple; the philosophy is kindness.[13]
Acknowledgments
I offer my thanks to Professor Shimon Malin of the Physics Department of Colgate University for useful comments upon an earlier version of this paper. I thank my spouse, Elaine, for many stimulating ideas, for reading and commenting on this paper, and for teaching me the power and beauty of love. I express my deep gratitude to His Holiness, the Dalai Lama, for inspiring my study of Buddhism, encouraging me to consider the relationship between science and Buddhism, and for being an extraordinary exemplar of wisdom and compassion. I offer my deepest gratitude to the late Anthony Damiani, founder of Wisdom's Goldenrod, who taught us veneration for many great philosophic-religious traditions without restricting us to any one. His zeal for truth combined with compassion inspired us to work toward a personal realization of the great truths of these traditions.