Articoli di Dharma

 

Il Buddha:Viaggio di un Eroe nel Nirvana
Articolo di Nitin Kumar -Editore
http://www.exoticindia.com
 

 
 

Se quando mia moglie sta dormendo
ed  anche il bambino e Kathleendormono,
il sole è un disco di fiamma biancastra,
con nebbie di setasopra gli alberi splendenti, -
se io nella mia stanza a nord, grottescamente
danzo nudo, davanti al mio specchio,
agitando la mia camicia intorno al capo
e cantando dolcemente a me stesso:
"Sono solo, solo.Sono nato per essere solo,
Ma, comunque,  io sto meglio così! …"

E seio osservo le mie braccia, il mio viso,
le mie spalle, i miei fianchi, i glutei…
contro le ombre intonate di giallo, -
Chi mai  potrà dire che non sono
il genio felice della mia famiglia?
- William Carlos Williams


Joseph Campbell, nel suo libro epocale 'L'eroe dai mille volti', sottolinea che la caratteristica essenziale di un futuro eroe è la sua irrequietezza. Non essendo del tutto a proprio agio con il suo ambiente più prossimo e con le circostanze, un costante disagio rode il suo cuore, spingendolo a mettere in discussione la natura stessa della sua esistenza. Questa dura lotta interiore è il primo sentore che un destino più grande è ciò che aspetta un eroe potenziale. Campbell suddivide l'evoluzione dell’eroe in cinque fasi distinte:
1). Il Richiamo dell’Avventura
2). Il Superamento della Soglia (Entrata nell’Ignoto)
3). Prove e Tribolazioni del Viaggio
4). Raggiungimento dell'Illuminazione
5). Ritorno dell'Eroe
Il viaggio del Buddha verso il Risveglio Spirituale, o 'Nirvana', come viene popolarmente chiamato, rispecchia perfettamente lo sviluppo progressivo di cui sopra di un eroe.

 

Il Richiamo dell’Avventura
Gautama il Buddha nacque come principe Siddharta, in condizione di lusso. Il principe, esposto fin dall'inizio ad una dose eccessiva di ricchezza edagi, pur essendo ancora relativamente giovane, si sfinì nel campo delle gioie e dei piaceri carnali, diventando maturo per una più elevata esperienza trascendente. Il giovane principe rimase chiuso nelle sue stanze del piacere e non ebbe così alcun contatto con la realtà terrena. Il suo palazzo, ed i piaceri sensuali che conteneva, furono i suoi soli mondi limitanti.
Una volta, dopo una festa particolarmente frenetica di piaceri sensuali, Siddhartha all’improvviso si risvegliò dal suo sonno beato, nel mezzo della notte. Intorno a lui c'erano i resti della baldoria dissoluta della sera avanti. La vista della carne femminile nuda e senza vergogna, le traboccanti brocche di vino, lo scossero facendogli realizzare l’irrealtà della sua stessa situazione. Egli si sentì soffocare in quegli stessi ambienti che una volta gli avevano dato quello che lui pensava fossero i piaceri del paradiso. Immediatamente egli si sollevò dal suo letto dorato, scese le scale e chiese al suo auriga preferito di portarlo in un luogo aperto dove potesse respirare più liberamente.
Aveva percorso solo poche miglia, quando si imbatté in uno spettacolo che per lui era totalmente nuovo in termini di emozioni angoscianti e che lo risvegliarono nel più profondo del suo cuore.
Proprio di fronte a lui c'era un vecchio, traballante su un bastone, con la sua struttura fisica completamente devastata dalle scorie del tempo. Non essendosi mai trovato davanti ad una simile immagine, Siddharta chiese al suo auriga chi fosse quella persona e perché si trovasse in quello stato…
Quando sentì che l'uomo era diventato così deteriorato a causa della sua età avanzata, egli fece una ulteriore naturale domanda e cioè, se anche lui, Siddharta, il principe del potente clan Shakya, e tutti coloro che egli amava, un giorno sarebbero stati esposti al medesimo degrado? Di fronte alla verità, la risposta lo mandò totalmente in frantumi, ed egli chiese di essere riportato di corsa nei dintorni del palazzo,alla sua confortevole casa.
Nel ‘Viaggio dell’Eroe’, di solito appare improvvisamente una certa figura come guida, che segna un punto di svolta nella biografia. Questa figura simbolica è in qualche modo profondamente familiare all'inconscio, ma è ignota, e perfino spaventosa all’ordinario ‘Io’ cosciente. Dopodiché, anche se l'eroe ritorna per un po’ alle sue occupazioni familiari, egli le trova infruttuose. Una serie continua di segni di incalzante forza maggiore diventerà quindi visibile. Secondo Campbell, questi "Quattro Segni", che apparvero al Buddha, sono i più celebri esempi del “Richiamo all'Avventura” nella letteratura del mondo. Questi sono segnali provenienti da un dominio superiore, richiami che non possono più essere rinnegati.
Qui è anche significativo notare che l’essersi svegliato nel bel mezzo del suo beato sonno, fu per GautamaSiddharta un'altra chiamata del destino. La moderna psicoanalisi ha confermato che noi, quando siamo addormentati, viaggiamo in reami non disponibili nei nostri momenti di veglia. Questi sono gli abissi della nostra coscienza, che non è che una parte del combinato patrimonio dell’umanità. Per citare le parole di Jung: "nel sogno,l'uomo non è più un individuo distinto ma la sua mente si allarga e si confonde nella mente-unica del genere umano - non la mente cosciente, ma la mente inconscia stessa del genere umano, dove tutti siamo la stessa cosa…”.
Scosso dal suo stato di sogno subliminale, l'orrore immediato della sua situazione temporale fece realizzare a Siddharta, il futuro Buddha, la necessità di un suo personale taglio da questa eterna dimensione della vita. Così un sentimento di sradicamento lo afferrò e si sentì solo e disarticolato, pur tra la moltitudine di coloro che lo amavano e che amava. Il Viaggio dell'Eroe quasi sempre inizia con una chiamata uguale a questa.
Secondo Campbell, il momento in cui l'eroe è pronto per l'avventura destinata, gli idonei araldi, o quelli chiamati al suo destino, appaiono automaticamente, come per un disegno divino. Abbiamo già conosciuto il primo araldo, e cioè il vecchio di cui sopra. Il Buddha più tardi si imbatterà in altri tre segni: un malato, un morto e un monaco.
Con la mente notevolmente agitata dalle prime tre inquietanti visioni, il Buddha alla fine arrivò alla sua chiamata finale, quando i suoi occhi si posarono sul monaco. La fiduciosa calma spirituale che egli percepiva all'interno del monaco lo incoraggiò sul fatto che pur nell'inevitabilità dell’angoscia e della sofferenza, c'era ancora terreno sufficiente per la salvezza e per essere ottimisti.
Quindi, la prima tappa del mitologico viaggio, cioè il 'Richiamo dell'Avventura', significa che vi fu la convocazione dell’eroe da parte del destino, e il suo spirituale centro di gravità trasferito all'interno dei confini della sua società in una zona sconosciuta.

 

Il Superamento della Soglia (Entrata nell’Ignoto)
Il tuo dovere reale è quello di andare via

dalla tua comunità per trovare la felicità.
Alla rottura farà seguito il centro della tua felicità.
Abbandonando il vecchio luogo,
e intraprendendo il viaggio dell'eroe,
ne conseguirà la tua beatitudine.
La tua fuoriuscita di ieri è stata
come il serpente che cambia la pelle.
Ed è discendendo giù nell’abisso
che noi recupereremo i tesori della vita.
L'eroe si sente fuori dal centro, e quando si è fuori-centro, è il momento di andare. L'eroe lascia una certa situazione sociale, si muove all’interno della sua solitudine e trova il gioiello. Questa partenza si verifica quando l'eroe sente che qualcosa si è perso e va alla sua ricerca. Questo è 'il superamento della soglia’ verso una nuova vita. E’ una pericolosa avventura, dal momento che ci si muove fuori dal conosciuto verso l’inesplorata e sconosciuta sfera.
Il disincantato principe Siddhartha credeva che stesse andando verso un'avventura emozionante. Egli sentiva il richiamo della strada 'aperta', e il luminoso, perfetto, stato di 'senza-dimora'.
Ma anche così, per lui non fu abbastanza facile lasciarsi dietro lo spazio strutturato della sua casa per la selvaggia foresta. I testi dicono che prima di lasciare il suo palazzo, egli non poté resistere alla tentazione di dare un ultimo sguardo alla moglie e al figlio che dormivano al piano di sopra. Ma la sua determinazione era forte abbastanza da sostenere il peso emotivo della separazione. Non guardandosi più indietro, egli se ne andò direttamente verso la ricerca del suo destino.

 

Prove e Tribolazioni del viaggio
Quando si accinse al suo viaggio, il Buddha non sapeva cosa c'era in serbo per lui. Quello che sapeva era che:
Il vero scopo della vita
è di far sì che il vostro battito cardiaco
corrisponda al ritmo dell'universo,
per riunire la vostra natura con la Natura.
La gioia dell’avventura dell'eroe è di esplorare l'ignoto, attraverso la quale la natura si apre e rivela i suoi tesori nascosti. Il Buddha sperimentò anche diversi percorsi inesplorati, prima di arrivare alla realizzazione spirituale finale.
Egli prima tentò con l’ascetismo. Poiché egli credeva che la sua disillusione potesse arginare le voglie e i desideri del suo corpo, la sua prima reazione fu di negarli totalmente, fino al punto che smise perfino di mangiare. Di conseguenza, le sue ossa cominciarono a sporgere come una fila di alberi, e quando toccava il suo stomaco, poteva quasi sentire la sua spina dorsale. I suoi capelli cominciarono a cadere e la sua pelle diventò secca. Ma tutto questo risultò invano. Malgrado la  sua severa austerità, forse proprio a causa di essa, il corpo ancora chiedeva a gran voce le sue attenzioni, e lui era ancora afflitto dalla lussuria e dal desiderio. In effetti, egli sembrava essere molto più consapevole di se stesso che mai. Infine, il Buddha dovette affrontare la dura verità e riconoscere che l'ascetismo non era riuscito a redimerlo. Tutto quello che aveva raggiunto dopo questo eroico assalto al suo corpo era una spiccata gabbia toracica, e un fisico pericolosamente indebolito.
Tuttavia, il Buddha era ancora ottimista. Egli era certo che per gli esseri umani fosse possibile di raggiungere la liberazione finale dell'illuminazione. E proprio in quel momento, quando sembrava essere arrivato a un punto morto, l'inizio di una nuova soluzione si mostrò a lui. Egli realizzò che invece di torturarci riluttanti per la riuscita finale, noi potremmo essere in grado di raggiungerla spontaneamente e senza sforzo, come dice Campbell:
“Tutto ciò che devi fare,
devi farlo come un gioco.
L’opportunità di trovare

i più profondi poteri
dentro ognuno di noi
arriva quando la vita
sembra più difficile”.
Questo fu un memorabile e importante evento nel cammino del Buddha verso la sua realizzazione. Piuttosto che fare affidamento su discorsi o appoggi esterni, egli si risvegliò al fatto che avrebbe dovuto scavare nelle profondità infinite del suo essere interiore per arrivare alla Verità Eterna.
Avendo così risolto, egli accettò la ciotola di latte di riso offerta a lui dalla contadinella Sujata.

Dopo aver mangiato questo piatto nutriente, i testi ci dicono che egli si diresse maestosamente verso l'Albero della Bodhi (albero della vita), per fare il suo ultimo tentativo verso la liberazione.
Si dice che l'albero della vita sia l'asse portante del cosmo, ed è una caratteristica comune della mitologia della salvezza. E'il luogo dove le energie divine si riversano nel mondo, in cui l'umanità incontra l'assoluto, e diventa più pienamente se stessa. E’ opportuno ricordare la Croce di Gesù, che secondo la leggenda Cristiana, sorgeva nello stesso punto nel giardino dell'Eden come l'Albero della Conoscenza del Bene e del Male. L'eroe, come Incarnazione di Dio, è egli stesso l'ombelico o asse del mondo, il punto ombelicale attraverso cui le energie dell'eternità irrompono nel tempo. Più che un punto fisico, esso è uno stato psicologico che ci rende idonei a vedere il mondo e noi stessi in un perfetto equilibrio. Senza questa stabilità psicologica e questo corretto orientamento, l'illuminazione non è possibile.
Quindi, seduto sul centro spirituale del mondo, il Buddha si immerse nel suo universo interiore. E, mentre sedeva in isolata meditazione, il potenziale eroe si aprì alla pratica della consapevolezza. Questa pratica consiste nell'osservare, come osservatore distaccato, tutte le nostre attività: vale a dire, mangiare, bere, masticare, gustare, defecare, odorare, camminare, stare in piedi, star seduti, dormire, svegliarsi, parlare, ascoltare e rimanere in silenzio….
Così egli divenne consapevole del modo in cui le idee correvano attraverso la sua mente e il flusso costante dei desideri e delle irritazioni che potevano disturbarlo in una semplice e breve mezz'ora. Divenne consapevole del modo in cui egli stesso rispondeva ad un rumore improvviso o ad un cambiamento di temperatura, e vide quanto velocemente perfino una minima cosa disturbava la pace della mente. Questa consapevolezza non fu coltivata in uno spirito di ispezione nevrotica. Il Buddha non aveva messo in questo modo la sua umanità sotto il microscopio al fine di castigare se stesso per i suoi 'peccati'. Il vero scopo non è quello di avventarsi rabbiosamente sulle nostre mancanze, ma di prendere confidenza con il modo in cui funziona la natura umana, al fine di utilizzare le sue capacità. Egli si era convinto che la soluzione al problema della sofferenza stava già dentro di sé e la liberazione sarebbe venuta dal raffinare la propria natura mondana, e quindi aveva bisogno di indagarla, ed arrivare a conoscerla in modo obiettivo. Questo potrebbe essere raggiunto più efficacemente attraverso l’estasi, una parola che letteralmente significa 'stare messi fuori di sé', e che è uguale alla pratica della presenza mentale.
Appena quindi il Buddha scoprì le sue sensazioni profonde, momento per momento, egli realizzò che tutta la sofferenza(dukkha) della vita non era limitata ai soli importanti traumi di malattia, vecchiaia e morte. Ma essa avveniva su base giornaliera, addirittura ogni ora, in ogni pur minimo dispiacere, generato da repulsioni, frustrazioni e sconfitte che accadono nel corso di ogni singolo giorno. È vero, nella vita c’era anche il piacere, ma una volta che ebbe sottoposto questo piacere al vaglio spietato della consapevolezza, egli notò quanto spesso la nostra soddisfazione significava sofferenza per gli altri. Per esempio, la prosperità di una persona in genere dipende dall’escludere qualcun altro da essa, oppure quando otteniamo qualcosa che ci rende felici, accade che noi cominciamo a preoccuparci di perderla.
Siccome il Buddha osservò il funzionamento della sua mente, egli comprese come un desiderio dopo l’altro aveva preso possesso del suo cuore. Notò anche come gli esseri umani erano tutti incessantemente desiderosi di diventare qualcosa d'altro, di andare altrove, e possedere sempre  qualcosa che non avevano. Accecati dai nostri desideri, noi quasi mai vediamo le cose come sono realmente in se stesse, ma la nostra visione è colorata dal fatto se noi le vogliamo o no, come le possiamo ottenere, o come ci possono portare profitto. Queste piccole voglie ci assalgono di ora in ora, minuto per minuto, così da non farci avere mai riposo. Noi siamo costantemente consumati e distratti dalla compulsione di diventare qualcosa di diverso da quello che siamo al momento.
'Il mondo, la cui stessa natura è di cambiare, è costantemente determinato a diventare qualcosa d'altro',concluse il Buddha. 'Esso è in balia del cambiamento, è felice solo quando è coinvolto nel processo di cambiamento, ma questo desiderio-amore per la variabilità contiene una certa misura di timore, paura e insicurezza, e queste stesse sensazioni sono ‘dukkha’.'.
Questa costante mutevolezza del flusso dinamico caratterizza la nostra esistenza temporale e la domina così totalmente che perdiamo il contatto con l'essenza eterna della nostra vita, che resta categorizzata solo nel momento fuggevole e impermanente del tempo che scorre. Il Buddha così realizzò che egli doveva trovare proprio quel collegamento essenziale all’interno del suo essere interiore, quel punto che legava il transitorio con l'eterno. La nostra esistenza è definita dal nostro sé mortale, ma anche da una sottostante scintilla divina immortale. Così, quando avremo trovato il ponte che collega le due essenze, noi avremo raggiunto la salvezza.
Rimuginando in questo modo, il Buddha era finalmente in procinto di illuminarsi, quando di fronte a lui apparve Mara, l'ombra stessa del Buddha, ossia le residue forze che al suo interno stavano ancora aggrappate ai vecchi ideali che lui stava cercando di trascendere. Mara era apparso sotto l’aspetto di un Chakravartin (Imperatore del Mondo), seduto su un elefante, e accompagnato da un grande esercito. Il nome ‘Mara’ significa illusione. E simboleggia l'ignoranza che impedisce la nostra Illuminazione. Con l’aspetto di un Chakravartin, esso poteva solo preavvisare una vittoria ottenuta con la forza fisica. Mara quindi era convinto che il trono spirituale, su cui il Buddha era seduto, dovesse giustamente appartenere a lui. Di conseguenza, egli sfidò il Buddha imponendogli di lasciare il seggio. Ma il Buddha spostò solo la sua mano,fino a toccare il terreno con la punta delle dita, e quindi lo offrì alla Dea Terra per testimoniare il suo diritto di essere seduto là dove si trovava. Essa fece un urlo con un centinaio di migliaia di ruggiti, così che l'elefante su cui sedeva l'antagonista cadde spaventato in ginocchio, omaggiando il legittimo proprietario del trono. Di colpo, l'esercito fu immediatamente disperso e Mara sconfitto.

La postura di testimone della Terra, che mostra il Buddha toccare il suolo con la mano destra, è una delle icone preferite nell’arte buddhista. Essa non solo simboleggia il suo rifiuto allo sterile maschilismo aggressivo di Mara, ma sottolinea anche il profondo punto che il vero Chakravartin è il Buddha, poiché è attraverso il cuore che un duraturo impero è conquistato, e non attraverso la spada.

 

Raggiungimento dell'Illuminazione
Avendo così sconfitto Mara, Siddharta Gautama superò l'ostacolo finale per la sua illuminazione, e andò oltre lo stato di Buddha. Questo stato, egli lo chiamò ‘stato di beatitudine, di calma, di pace, incommensurabile 'Nirvana'’. Nirvana significa letteralmente “spegnere” o ‘soffiare’ (come quando si soffia su una fiamma).
Tuttavia, il Nirvana non significa estinzione personale: quella che era stata spenta non era la personalità di Gautama, ma i tre fuochi di avidità, odio e illusione, che una volta erano gli impulsi di base che governavano il suo comportamento. Attraverso la sua pratica della presenza mentale, Gautama era giunto alla conclusione che proprio queste tre caratteristiche negative erano la radice di tutte le sofferenze del mondo.
L'estinzione di una fiamma è invariabilmente seguita da un certo raffreddamento. Fu questo tipo di freddezza che discese nel cuore di Gautama e permeò la sua anima, come lo farà in ogni altra. La conservazione permanente di questa sensazione è ‘Nirvana’, che è simile al raffreddamento sperimentato dopo che una febbre è passata. In effetti, al tempo del Buddha, l'aggettivo relativo 'nirvuta', era un termine di uso quotidiano per descrivere un convalescente uscito da una malattia.

 

Il Ritorno dell'Eroe
Dopo aver raggiunto l'illuminazione, la ricerca dell'eroe, era stata compiuta. Ora, l'avventuriero deve decidere cosa fare del suo trofeo di trasmutazione-di-vita. Il completo giro o ciclo della sua avventura impone che egli ora debba avviare il processo di restituire a tutta l'umanità il dono della illuminazione a lui concesso. Questo è il compito, o chiamata, che il mitico eroe spesso rifiuta. Il Buddha stesso anche dubitò se il suo messaggio di realizzazione poteva essere comunicato a tutti. E'in questo contesto che gli si è dato il titolo di Shakyamuni. Shakya deriva dal fatto che egli era un discendente del clan Shakya, e muni è un termine Sanscrito che significa ‘silenzioso’. In questo caso, il messaggio è che il Nirvana è qualcosa che non può essere descritto a parole.
Il Buddha inoltre pensò che: 'Se io insegnassi il Dharma, la gente non lo capirebbe e ciò sarebbe faticoso e deludente per me.'
Ma il non riuscire a rispondere alla chiamata del ritorno non è conforme ai completi requisiti del ciclo eroico. E’ una parte del destino evolutivo dell'eroe di dover riunire insieme il mondo della più alta beatitudine spirituale con il mondo terreno della vita quotidiana, dato che egli ha collegato fra loro sia la transitoria che l'eternità.
In questo cruciale momento di incertezza, intervenne il Dio Brahma. Così come Mara, anche lui era una proiezione della mente subconscia del Buddha, con l'unica differenza che egli era una proiezione di tipo positivo.
Brahma richiese al Buddha di 'guardare giù verso la razza umana che sta annegando nel dolore e di viaggiare in lungo e in largo per salvare il mondo'.A questo appello, non c'era possibilità che il compassionevole Buddha potesse rifiutare. Egli comprese che starsene rinchiuso nel suo Nirvana personale sarebbe stata una negazione di tutto ciò che aveva raggiunto, sarebbe come entrare in un nuovo tipo di palazzo del piacere, come quello di suo padre che aveva lasciato molto tempo fa. Il Buddha ascoltò così attentamente Brahma e rivolse il suo sguardo al mondo con gli occhi pieni di compassione, rendendosi conto che le porte del Nirvana erano totalmente aperte per tutti, ed egli fu lo strumento destinato a condurre l'umanità verso di esso.
Il Buddha trascorse i successivi 45 anni della sua vita viaggiando senza sosta attraverso le città e i villaggi del Nord dell'India. In verità, non ci furono limiti alla sua offensiva compassionevole.

 

Conclusione
Il messaggio essenziale della vita del Buddha è che ciascuno di noi (indipendentemente dal sesso o credo) è capace e meritevole del Nirvana, avendo un potenziale Buddha ben nascosto al nostro interno. Il Buddha stesso nacque come un comune mortale. La sua Viaper la Realizzazione non era facile né tranquilla. Piuttosto, essa era ed è un viaggio pieno di esperienze emozionanti per la scoperta degli errori commessi. Egli imparò da ciascuno dei suoi errori, rendendolo un trampolino di lancio per tutto il suo futuro, e infine, per il successo finale. Il giorno in cui realizzeremo, e poi risveglieremo il nostro Buddha interiore, questo sarebbe il nostro proprio Nirvana che, anche se è personale, ci collegherebbe come mai prima a tutta l'umanità.




Riferimenti e ulteriori letture
•        Armstrong, Karen. Buddha: London, 2000.

•        Bly, Robert, Hillman James, and Meade Michael. The Rag and Bone Shop of the Heart (Poems for Men): New York, 1992.

•        Cooper, J.C. An Illustrated Encyclopedia of Traditional Symbols: London, 1999.

•        Campbell, Joseph: The Hero with a Thousand Faces: London, 1993.

•        Menzies, Jackie. Buddha Radiant Awakening: Sydney, 2001.

•        Osbon, Diane K. A Joseph Campbell Companion (Reflections on the Art of Living): New York, 1991.


 

 

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(Versioneoriginale)

Buddha - A Hero's Journey to Nirvana (Article of the Month - April 2003)

 

If when my wife is sleeping
and the baby and Kathleen
are sleeping
and the sun is a flame-white disc
in silken mists
above shining trees,-
if I in my north room
dance naked, grotesquely
before my mirror
waving my shirt round my head
and singing softly to myself:
"I am lonely, lonely.
I was born to be lonely,
I am best so!"
If I admire my arms, my face,
my shoulders, flanks, buttocks
against the yellow drawn shades,-

Who shall say I am not
the happy genius of my household?

-- William Carlos Williams

Joseph Campbell, in his epochal book 'The Hero with a Thousand Faces,' emphasizes that the essential trait of a hero in the making is his restlessness. Not at ease with his immediate environment and circumstances, a constant unease gnaws at his heart, prompting him to question the very nature of his existence. This inner strife is the first inkling that a greater destiny lies ahead of the potential hero.Campbell divides the evolution of the hero into five distinct phases:

1). The Call to Adventure
2). Crossing of the Threshold (Entering the Unknown)
3). Trials and Tribulations of the Journey
4). Attainment of Enlightenment
5). Return of the Hero

The Buddha's journey to spiritual awakening or 'Nirvana,' as it is popularly called, perfectly mirrors the above mentioned progressive development of a hero.

The Call to Adventure

Gautam Buddha was born as Prince Siddhartha, in the lap of luxury. Exposed to an overdose of riches and comfort right from the beginning, the prince, while still relatively young, exhausted for himself the fields of fleshly joy, thus becoming ripe for a higher, transcendent experience.

The young prince remained glued to his pleasure chambers and had no contact with ground reality. His palace, and the sensual pleasures which it contained, were his only limiting worlds.

Once, after a particularly hectic schedule of sensual frenzy, Siddhartha was suddenly awakened from his blissful sleep, in the middle of the night. Surrounding him were the remnants of last night's debauchery and revelry. The sight of the shameless naked flesh and the overflowing wine pitchers jarred him into the unreality of his own reality. He felt suffocated in those very environs which had once given him what he thought were the pleasures of paradise. He immediately arose form his gold-gilded bed, descended the stairs and asked his favorite charioteer to take him to an open space where he could breathe more freely.

He had traveled only a few miles when he came across a sight which was totally new to him in terms of the distressing emotions it stirred up in the innermost depths of his heart.

Right in front of him was an old man, tottering on a stick, his physical frame entirely ravaged by the trials of time. Never having been exposed to such an image, Siddhartha asked his charioteer who that individual was, and why he was the way he was?

When he heard that the man had deteriorated due to his advancing age, the next natural question was whether he himself, Siddhartha, the prince of the mighty Shakya clan, and all those whom he loved would one day be exposed to the same degradation? Confronted with the truth, the reply completely shattered him, and he asked to be taken back to the comforting environs of the palace.

In the journey of the hero, a figure suddenly appears as a guide, marking a turning point in the biography. This symbolic figure is somehow profoundly familiar to the unconscious, but is unknown, and even frightening to the conscious self. Thereafter, even though the hero returns for a while to his familiar occupations, he finds them unfruitful. A continuing series of signs of increasing force will then become visible. According to Campbell, "The Four Signs," which appeared to the Buddha, are the most celebrated examples of the call to adventure in the literature of the world. These are signals from a higher domain, summons, which can no longer be denied.

Here it is also significant to note that being awakened in the midst of his blissful sleep was another call of destiny. Modern psychoanalysis has confirmed that when we are asleep, we travel to realms unavailable to our waking moments. These are the depths of our consciousness, which is but a part of the combined heritage of humanity. To quote the words of Jung, in a dream: "man is no longer a distinct individual but his mind widens out and merges into the mind of the mankind - not the conscious mind, but the unconscious mind of mankind, where we are all the same."

Jolted from his subliminal dream state, the immediate horror of his temporal circumstances made Siddhartha, the future Buddha, realize his own cutting of from this eternal dimension of life. Thus a feeling of rootlessness gripped him and he felt himself disjointed and lonely, even amongst the multitude of those who loved him. The hero's journey almost always begins with such a call.

According to Campbell, the moment the hero is ready for the destined adventure, the proper heralds, or callers to his destiny appear automatically, as if by divine design. We have already noticed the first such herald, namely the old man above. The Buddha later came across three more such signs: a sick man, a dead man and a monk.

His mind greatly agitated by the first three disturbing views, Buddha at last came upon his final call, when he laid his eyes upon the monk. The confident spiritual calm he perceived within the monk emboldened him to the fact that amidst the inevitability of suffering and distress, there was still ground for sufficient optimism, and salvation.

Thus the first stage of the mythological journey, which is the 'call to adventure,' signifies that destiny has summoned the hero, and transferred his spiritual center of gravity from within the pale of his society to a zone unknown.

Crossing of the Threshold (Entering the Unknown)

Your real duty
is to go away from the community
to find your bliss.

Breaking out
is following your bliss pattern,
quitting the old place,
starting your hero journey,
following your bliss.

You throw off yesterday
as the snake sheds its skin.

Its by going down into the abyss
that we recover the treasures of life.

The hero feels off-center, and when one is off-center, it's time to go. The hero leaves a certain social situation, moves into his own loneliness and finds the jewel. This departure occurs when the hero feels something has been lost and goes to find it. It is the crossing of the threshold into a new life. It is a dangerous adventure, since one is moving out of the known into the unexplored, unknown sphere.

The disenchanted prince Siddhartha believed that he was setting out on an exciting adventure. He felt the lure of the 'wide open' road, and the shining, perfect state of 'homelessness.'

But even then, it was not easy enough for him to leave behind the structured space of his home for the untamed forests. Texts mention that before finally leaving his palace, he could not resist the temptation to take a last peek at his wife and son sleeping upstairs. But his resolve was strong enough to bear the emotional brunt of the separation. Not looking back again, he went directly to his destined quest.

Trials and Tribulations of the Journey

When he set about on his journey, the Buddha did not know what lay in store for him. What he did know was that:

The goal of life
is to make your heartbeat
match the beat of the universe,
to match your nature with Nature.

The joy of the hero's adventure lies in exploring the unknown, through which nature unfolds and reveals its hidden treasures. The Buddha too experimented with various unexplored avenues, before coming to the ultimate spiritual realization.

He first tried asceticism. Since he believed his disillusionment to stem from the cravings of his body, his first reaction was to negate it totally, even to the extent that he stopped eating. Consequently, his bones stuck out like a row of spindles, and when he touched his stomach, he could almost feel his spine. His hair fell out and his skin became withered. But all this was in vain. However severe his austerities, perhaps even because of them, the body still clamored for attention, and he was still plagued by lust and craving. In fact, he seemed more conscious of himself than ever. Finally, Buddha had to face the fact that asceticism had failed to redeem him. All he had achieved after this heroic assault upon his body was a prominent rib cage, and a dangerously weakened physique.

Nevertheless, Buddha was still optimistic. He was certain that it was possible for human beings to reach the final liberation of enlightenment. And at that very moment, when he seemed to have come to a dead end, the beginning of a new solution declared itself to him. He realized that instead of torturing our reluctant selves into the final release, we might be able to achieve it effortlessly and spontaneously, as Campbell says:

What you have to do,
you have to do with play.

Opportunities
to find deeper powers
within ourselves
come when life
seems most challenging.

This was a momentous event in Buddha's journey towards herohood. Rather than relying upon external discourses or props, he awakened to the fact that he would have to delve into the infinite depths of his own inner being to come up with the Eternal Truth.

Having thus resolved, he accepted the bowl of milk-rice offered to him by Sujata, the milk-maiden.

After eating this nourishing dish, the texts tell us, he strode majestically towards the bodhi tree (tree of life), to make his last bid for liberation.

The tree of life is said to be standing at the axis of the cosmos, and is a common feature of salvation mythology. It is the place where the divine energies pour into the world, where humanity encounters the absolute, and becomes more fully itself. We need only recall the cross of Jesus, which according to Christian legend, stood on the same spot as the Tree of Knowledge of Good and Evil in the Garden of Eden. The hero as the incarnation of god is himself the navel or axis of the world, the umbilical point through which the energies of eternity break into time. More than a physical point, it is a psychological state which enables us to see the world and ourselves in perfect balance. Without this psychological stability and this correct orientation, enlightenment is not possible.

Hence, seated at the spiritual center of the world, Buddha dived into his own inner universe. As he sat in isolated meditation, the potential hero gave himself to the practice of mindfulness. This practice consists in observing, as a detached observer, all our activities: eating, drinking, chewing, tasting, defecating, walking, standing, sitting, sleeping, waking, speaking, and keeping silent.

 

He noticed the way ideas coursed through his mind and the constant stream of desires and irritations that could plague him in a brief half hour. He became 'mindful' of the way he responded to a sudden noise or a change in temperature, and saw how quickly even a tiny thing disturbed his peace of mind. This mindfulness was not cultivated in a spirit of neurotic inspection. Buddha had not put his humanity under the microscope in this way in order to castigate himself for his 'sins.' The purpose here is not to pounce on our failings, but becoming acquainted with the way human nature works in order to exploit its capacities. He had become convinced that the solution to the problem of suffering lay within himself and deliverance would come from the refinement of his own mundane nature, and so he needed to investigate it, and get to know it objectively. This could be achieved most effectively through extasis, a word that literally means 'to stand outside the self,' and which is the same as the practise of mindfulness.

As Buddha thus recorded his feelings, moment-by-moment, he became aware that the dukkha (suffering) of life was not confined to the major traumas of sickness, old age and death. It happened on a daily, even hourly basis, in all the minor disappointments, rejections, frustrations, and failures that befall us in the course of a single day. True, there was pleasure in life, but once he had subjected this to the merciless scrutiny of mindfulness, he noticed how often our satisfaction meant suffering for others. For example, the prosperity of one person usually depends upon the exclusion of somebody else, or when we get something that makes us happy, we immediately start to worry about losing it.

As Buddha observed the workings of his mind, he realized how one craving after another took possession of his heart. He noticed how human beings were ceaselessly yearning to become something else, go somewhere else, and acquire something they do not have. Blinded in our desires we almost never see things as they are in themselves, but our vision is colored by whether we want them or not, how we can get them, or how they can bring us profit. These petty cravings assail us hour-by-hour, minute-by-minute, so that we know no rest. We are constantly consumed and distracted by the compulsion to become something different than what we are at present.

'The world, whose very nature is to change, is constantly determined to become something else,' Buddha concluded. 'It is at the mercy of change, it is only happy when it is caught up in the process of change, but this love of change contains a measure of fear and insecurity, and this fear itself is dukkha.'

This constant changing whirlpool of dynamic flux characterizes our temporal existence and dominates it so thoroughly that we lose touch with the eternal essence of our lives, remaining subsumed only in the fleeting and passing moment of current time. Buddha realized that he just had to find that essential link in his inner being, which bound the transient to the eternal. Our existence is defined by our mortal self, and also an immortal divine spark underlying it. When we have found the bridge that links the two, we have attained salvation.

Brooding in this manner, Buddha finally was on the verge of enlightenment, when he was confronted by Mara, Buddha's shadow self, or the residual forces within him which still clung to the old ideals he was trying to transcend. Mara came out decked like a Chakravartin (World Ruler), seated on an elephant, and accompanied by a large army.

Mara's name means delusion. He symbolizes the ignorance which holds us back from enlightenment.

As a Chakravartin, he could only envisage a victory achieved by physical force. Mara thus was convinced that the spiritual throne, where Buddha was sitting, belonged rightfully to him. Accordingly he challenged Buddha to vacate the seat. But the Buddha only moved his hand to touch the ground with his fingertips, and thus bid the goddess Earth to bear witness to his right to be sitting where he was. She did so with a hundred thousand roars, so that the elephant of the antagonist fell upon its knees in obeisance to the rightful owner of the throne. The army was immediately dispersed and Mara vanquished.

The earth-witnessing posture, which shows Buddha touching the ground with his right hand is a favorite icon in Buddhist art.

It not only symbolizes his rejection of Mara's sterile machismo, but also emphasizes the profound point that it is the Buddha who is a true Chakravartin, since it is through the heart that a lasting empire is won, and not through the sword.

Attainment of Enlightenment

Having thus overcome Mara, Gautama crossed the final obstruction to his enlightenment, and won over to Buddhahood. He called this blissful state of immeasurable peace 'Nirvana.' Nirvana literally means blowing out or snuffing out (as a flame).

But Nirvana did not mean personal extinction: what had been snuffed out was not Gautama's personality, but the three fires of greed, hatred and delusion, which were once the basic impulses governing his behavior. Through his practice of mindfulness, Gautama had come to the conclusion that it was these three negative traits that were at the root of all suffering in the world.

The extinguishing of a flame is invariably followed by a certain coolness. It was this coolness that descended into Gautama's heart and permeated his each and every core. The permanent retention of this feeling is Nirvana, which is similar to the cooling experienced when recovering from a fever. Indeed in Buddha's time, the related adjective 'nirvuta,' was a term in daily use to describe a convalescent.

Return of the Hero

Having attained enlightenment, the hero-quest has been accomplished. The adventurer now has to decide what to do with his life-transmuting trophy. The full round or cycle of his adventure requires that he now start the process of bringing back to humanity the boon of illumination granted to him. This is the call which the mythical hero often refuses. The Buddha too doubted whether his message of realization could be communicated at all. It is in this context that he is given the title of Shakyamuni. Shakya derives from the fact that he was a descendent of the Shakya clan, and muni is a Sanskrit word for silent. The message here is that Nirvana is something that could not be described in words.

The Buddha further thought that: 'If I taught the Dharma, people would not understand it and that would be exhausting and disappointing for me.'

But failing to heed the call to return is not fulfilling the complete requirements of the heroic cycle. It is a part of the hero's evolutionary destiny to knit together the world of higher spiritual bliss with the mundane world of everyday existence, as he had bridged together transient time and eternity.

At this crucial moment of uncertainty, the god Brahma intervened. Like Mara, he too was a projection of Buddha's subconscious mind, the only difference being that he was a positive projection.

Brahma requested Buddha to 'look down at the human race which is drowning in pain and to travel far and wide to save the world.' There was no way in which the compassionate Buddha could refuse this call. He understood that staying locked away in his personal Nirvana would be a negation of all that he had achieved, it would be like entering a new kind of pleasure palace, such as that of his father which he had left behind a long time back. The Buddha thus carefully listened to Brahma and gazed upon the world with his eyes full of compassion, realizing that the gates of Nirvana were wide open for all, and he was the destined instrument to lead humanity it.

The Buddha spent the next forty-five years of his life tramping tirelessly through the cities and towns of Northern India. Indeed there were no limits to his compassionate offensive.

Conclusion

The essential message of Buddha's life is that each of us (irrespective of sex or creed) is capable and deserving of Nirvana, having a potential Buddha hidden in us. Buddha was born an ordinary mortal. His path to fulfillment was not smooth and uneventful. Rather it was a journey full of exciting experiences and mistakes made. He learned from each of his mistakes, making it a springboard for all future, and finally the ultimate success. The day we realize and awaken the Buddha within, that would be our own Nirvana, which though personal, would bind us to all humanity like never before.


References and Further Reading

·                     Armstrong, Karen. Buddha: London, 2000.

·                     Bly, Robert, Hillman James, and Meade Michael. The Rag and Bone Shop of the Heart (Poems for Men): New York, 1992.

·                     Cooper, J.C. An Illustrated Encyclopedia of Traditional Symbols: London, 1999.

·                     Campbell, Joseph: The Hero with a Thousand Faces: London, 1993.

·                     Menzies, Jackie. Buddha Radiant Awakening: Sydney, 2001.

·                     Osbon, Diane K. A Joseph Campbell Companion (Reflections on the Art of Living): New York, 1991.

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This article by Nitin KumarEditor
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