Articoli di Dharma

 

CONSIDERAZIONI
SULLA PRESENZA MENTALE

(1) di Giorgio
Tratto da “Vidyà” - Aprile 2011
 

 
 

«Si cerchi con estremo impegno di purificare la mente che, invero, è il samsara stesso. Si diviene ciò che si pensa. Questo è l'eterno mistero»(2).

 

Premessa

Generalmente siamo convinti che la mente (3) sia la causa dei nostri stati d'animo; lo sono invece i nostri pensieri (4), ciò che vediamo è il loro effetto; se i pensieri sono di gioia vediamo il mondo come gioia, se sono di odio vediamo il mondo come odio. Noi emaniamo ciò che è dentro di noi, e ci ritorna ciò che abbiamo emanato; quindi siamo più o meno vittime del nostro modo di pensare: "Noi siamo ciò che pensiamo".

Perciò, se vogliamo cambiare il nostro attuale stato di coscienza, dobbiamo cambiare i nostri pensieri; per cambiarli, il jiva, o principio cosciente, riflesso della Coscienza universale, utilizza l'energia della mente, delle emozioni e del corpo fisico. Quando la mente cambia, la nostra spazialità psicofisica è costretta ad adeguarsi, e quindi cambia anche il nostro modo di essere. Vale a dire che il nostro modo di essere, il nostro comportamento, dipende da come e da che cosa pensiamo. Perciò siamo noi che pensiamo e solo noi, con un atto di coraggio, possiamo cambiare noi stessi (5) con la deliberazione di staccarci dalle identificazioni con i nostri vecchi pensieri e dalle vecchie convinzioni. Si tratta di passare dalla condizione di enti addormentati ed immersi nelle nostre illusioni alla condizione che la Tradizione chiama ‘il guerriero’, kshatriya.

A volte, per non cambiare, giustifichiamo i nostri comportamenti dicendoci: sono fatto così, e cose del genere; in questo modo accettiamo l'influenza di forze esterne di cui poi ci sentiamo vittime. Ma questo non è un pretesto valido. Anche se nasciamo con certe predisposizioni, in un certo ambiente, la nostra essenza è più forte di tutte queste condizioni. A volte invece tiriamo in ballo la legge del karma, ma essa non è assoluta; certo, gli eventi presenti sono determinati dalle azioni passate ma noi abbiamo sempre la possibilità di modificare il futuro, anche immediato, ponendo i giusti semi o le giuste cause nel presente che ci appartiene.

Ma come nasce un pensiero? Il pensiero deriva dalla percezione di uno stimolo, interno o esterno, ed è generato dalla mente, ma la mente è soggetta ad alcune limitazioni quali:

- il karma (6);

- i condizionamenti (7);

- la costante abitudine di pensare (8), ecc.

Queste limitazioni, che per brevità chiameremo "convinzioni", caratterizzano il nostro modo di essere. La mente quindi, con le sue convinzioni, governa tutta la nostra vita e colora la nostra visione del mondo. Per liberarci dalla schiavitù delle nostre vecchie convinzioni dovremo per prima cosa comprendere e poi intervenire sul meccanismo della mente, ma in modo non soggettivo, vale a dire senza reazioni emotive.

 

Pratica

La presenza mentale è un metodo che ci aiuta a padroneggiare la mente per riuscire poi a svelare la nostra vera natura. Per farlo dobbiamo trasformare il nostro attuale stato di coscienza in un altro, abbandonando le identificazioni con le nostre vecchie convinzioni e con i nostri vecchi pensieri, e specialmente con le parole con cui li esprimiamo, fino a ottenere una nuova consapevolezza che trasformerà l'intera spazialità psichica.

Cerchiamo perciò di capire i meccanismi della mente: i nostri pensieri sono la diretta conseguenza di uno stimolo: entrando in contatto con lo stimolo abbiamo una reazione emotiva. Comunemente siamo portati a identificare i pensieri con le reazioni emotive, ma non è così; sono i pensieri che, interpretando lo stimolo, provocano la reazione emotiva, quindi noi non reagiamo allo stimolo ma alla nostra interpretazione di esso.

Per comprendere la sequenza, schematizziamo il processo:

Stimolo -> sua interpretazione -> reazione emotiva -> azione (comportamento). Dove:

- Stimolo: è la percezione che mette in moto un processo che ci spingerà ad agire. Può essere interno, oppure esterno. Lo stimolo in se stesso è neutro, né buono né cattivo, è solo la nostra interpretazione che lo fa sembrare in un modo o nell'altro. (Esempio: percepiamo una corda).

- Interpretazione: è il giudizio, espresso attraverso un discorso interno, per rendere comprensivo lo stimolo. Possiamo interpretare lo stimolo come piacevole, spiacevole o neutro, indipendentemente da come è veramente. La mente per interpretarlo lo confronta, a mezzo della memoria, con le convinzioni memorizzate in precedenza; quindi l'interpretazione non è altro che un confronto con gli stimoli conosciuti. (Esempio: se al posto di una corda vediamo un serpente, è solo una nostra errata interpretazione dello stimolo).

- Reazione emotiva: è la reazione ai pensieri e alle parole che interpretano lo stimolo; quindi noi reagiamo alla interpretazione dello stimolo e non direttamente allo stimolo; siamo quindi noi, con la nostra interpretazione, i veri responsabili della reazione emotiva che sperimentiamo. (Esempio: la paura del serpente).

- Azione (Comportamento): è il modo di agire, o meglio di reagire, conseguente alla reazione emotiva che si esprime di solito con una reazione fisica. (Esempio: tendiamo a scappare per paura del serpente).

Ora, semplifichiamo il processo; per esempio, guardando un fiore, per prima cosa ne percepiamo l'immagine, lo stimolo, senza che la mente entri in funzione; dopodiché successivamente subentra l'interpretazione o giudizio che definisce: il fiore è rosso, è profumato, ha un lungo stelo spinoso, ecc.; dal giudizio nasce la reazione emotiva di attrazione, di repulsione e, a volte, neutra, che ci fa entrare nella dualità con il conseguente karma; dal giudizio nasce l'azione. In questo modo, vediamo le cose del mondo interpretate dalla mente con cui siamo identificati, vale a dire che non vediamo le cose così come sono, ma come le interpretiamo (9) o, per meglio dire, come noi vorremmo che esse fossero; in questo caso l’individuo (jiva), identificato con l'oggetto, crede di essere un'entità transitoria, un fenomeno, e noi sperimentiamo quello che nel Vedànta è chiamato mondo “non-reale” o mondo dell'illusione (maya), ma non per questo privo di esistenza.

Di conseguenza, per riuscire a cambiare, per prima cosa dovremo:

a) diventare consapevoli delle nostre reazioni emotive, e poi

b) individuare i pensieri che le provocano e successivamente distaccarci da essi e

c) trasformarli.

Abbiamo visto però che le reazioni emotive dipendono dal discorso interno che interpreta lo stimolo, cioè da cosa diciamo a noi stessi o ci siamo detti subito prima che si verificasse l'emozione; vale a dire che le reazioni emotive sono strettamente collegate alla nostra interpretazione dello stimolo. Ad esempio, possiamo offenderci a causa di alcune frasi (stimolo) che ci hanno detto durante un colloquio, ma in esse non c'era niente di offensivo, siamo noi ad aver pensato (interpretazione) che volessero ferirci, e perciò ci siamo offesi (reazione emotiva).

Rimane molto difficile identificare i pensieri che interpretano lo stimolo, ci conviene perciò invertire il procedimento, osservare le reazioni emotive e i comportamenti per risalire ai pensieri che ci hanno portato alla reazione emotiva. Possiamo individuare più facilmente i pensieri che provocano la reazione emotiva facendo attenzione alle parole con cui li esprimiamo, in modo da riuscire a riconoscere i pensieri che possono averla causata; mano a mano che li individuiamo, li osserviamo, senza reprimerli o giudicarli, poi li sostituiamo con altri che siano in grado di crearci un nuovo stato di coscienza. Vale a dire che le parole (10) ci aiutano a trasformare un comportamento o stato di coscienza in un altro (11).

È indubbiamente un'operazione dolorosa, perché dobbiamo prima distaccarci, poi modificare le convinzioni più o meno radicate nella nostra natura, e infine accettare il nuovo modo di essere; cambiamento che dobbiamo eseguire poco a poco senza imporcelo con la volontà, ma piuttosto con la comprensione; tutto ciò può diventare relativamente facile se riusciamo a renderlo quasi spontaneo. Per esempio, se capita di incontrare una persona che ci sta antipatica, noi interpretiamo lo stimolo con le parole "la odio!". Per cambiare, dobbiamo trasformare l’interpretazione in "come la odiavo…". La nuova interpretazione sposta nel tempo passato la reazione emotiva che in questo modo viene ad attenuarsi; così abbiamo trasformato, per mezzo del discorso interno, prima i nostri pensieri, poi il nostro stato di coscienza, in un'altra interpretazione che modifica il nostro modo di essere.

Con un po' di pratica possiamo riuscire a individuare le frasi che ci siamo detti subito prima o durante la reazione emotiva; ci accorgeremo allora che noi abbiamo sia la tendenza a ripetere alcune frasi con parole e immagini caratteristiche, sia a percepire il legame esistente fra pensieri e reazioni emotive. Questo lavoro di vigile constatazione ci aiuta a comprendere meglio lo schema delle nostre strutture mentali.

Alcuni esempi. Se siamo arrabbiati con qualcuno, probabilmente ci stiamo dicendo "non doveva comportarsi in quel modo". Questa è la frase caratteristica con cui noi abbiamo interpretato lo stimolo; ripetiamola più volte fino a sentirla in profondità, così che quando tornerà, potremo identificarla e sostituirla con un'altra che modifichi, o almeno possa attenuare la nostra reazione emotiva. La nuova frase potrebbe essere "lui (o lei) è sicuramente in buona fede, non ha capito di che cosa si trattava, dovrò incontrarlo-la e spiegarglielo". In questo modo, abbiamo cambiato la nostra reazione emotiva modificando i pensieri che la interpretano. Se invece ci sentiamo in colpa, il pensiero con cui la interpretiamo potrebbe essere "non dovevo comportarmi in quel modo". Potremo sostituirlo con "in quel momento non ero perfettamente consapevole di quello che facevo".

Se ci sentiamo depressi o infelici, significa che stiamo deprimendoci con interpretazioni sugli errori passati, oppure con giudizi sul nostro presente, o addirittura sul nostro futuro. Con l'osservazione delle reazioni emotive prendiamo coscienza delle frasi con cui stiamo interpretando lo stimolo, poi interveniamo sostituendole con altre capaci di modificare il nostro comportamento. Con queste osservazioni, partendo da come ci comportiamo, possiamo risalire a quello che pensiamo.

Per osservare le nostre reazioni emotive è necessario essere sempre vigili, compiendo ogni azione con attenzione (12), in modo rilassato, con calma, con naturalezza; ogni azione che facciamo non deve essere un modo per togliere un pensiero, ma un modo per applicare tutta la nostra attenzione in quello che stiamo facendo; questo è anche un modo per abituarci a vivere nel presente; questo nuovo atteggiamento mentale, col tempo, diventerà un nuovo modo di vivere...

Per osservare a lungo le nostre reazioni siamo costretti a volte a usare la volontà; ma la volontà ci porta a tensioni fisiche ed emotive che determinano un calo di attenzione. L'osservazione deve perciò avvenire usando il rilassamento, cioè, l'osservazione deve diventare un atto di distacco più che di volontà. A mano a mano che il rilassamento aumenta, diminuisce contemporaneamente la rigidezza della mente e del corpo.

Con la continua osservazione, dovremmo riuscire a percepire direttamente lo stimolo senza la reazione emotiva e quindi senza l'interpretazione della mente. Questo significa che osservando (13) i pensieri, senza reazioni emotive, abbiamo annullato il giudizio; non esprimendo giudizi vediamo le cose come sono e non più come le interpretiamo. Siamo cioè entrati in contatto diretto con le cose del mondo senza passare attraverso l'interpretazione della mente. Vale a dire che siamo andati al di là della mente che genera il senso dell'io, e quindi al di là di ogni concetto di dualità, quale attrazione e repulsione. Per tornare all'esempio del fiore: lo stimolo senza la interpretazione dei nostri pensieri non provoca la reazione emotiva, quindi il nostro comportamento non dipende dalla reazione emotiva che viene sostituita dalla deliberazione.

 

Conclusione

A mano a mano che si avanzerà con la pratica della presenza mentale, si riuscirà abbastanza facilmente a superare i conflitti interiori, ad attenuare le emozioni senza reprimerle, divenendo così capaci di osservare con calma tutto ciò che è presente nella nostra mente e ad accettarlo con consapevolezza. Tutto questo ci porta a vivere in armonia, distaccati dagli eventi, senza la volontà di competere; soprattutto ci fa capire che quando la coscienza è ancora identificata con la mente, la vita non è soltanto un insieme di fatti materiali, ma è più che altro una serie di eventi mentali.

La presenza mentale è quindi un'esperienza che è collegata al modo di interpretare gli eventi. Per aiutare la trasformazione ed il cambiamento, teniamo presente che noi non siamo il nostro comportamento, ma lo diventiamo solamente quando ci identifichiamo con le nostre convinzioni, e ogni volta, per giustificarle creiamo un personaggio. In questa sorta di trasformazione, dovremmo ricordarci sempre che i peggiori nemici di noi stessi siamo proprio noi.

Con la pratica della presenza mentale, si comprenderà che l'importanza che diamo agli eventi dipende esclusivamente dai nostri schemi mentali; modificandoli, diventiamo più responsabili della nostra vita.

Un'ultima nota: quando osserviamo i pensieri o le reazioni emotive, siamo il soggetto che li osserva; essi perciò diventano l'oggetto di osservazione; questo soggetto siamo noi, il nostro principio cosciente, la nostra vera natura. Questo è lo scopo finale della tecnica: togliere la identificazione del principio cosciente (jiva) dalla mente, per essere in grado di passare dallo stato di dualità a quello di non-dualità (advaita).

Swami Shivananda, tra l’altro, scrive (14): «Il pensiero può creare, cambiare, trasformare e modificare tutto ciò che esiste nella vita umana». «Niente esiste che non sia prima stato pensato». «Ogni pensiero e ogni idea sono energia, così come ogni emozione, sentimento, impulso d'amore o di odio hanno un aspetto energetico».


 

NOTE

1): Presenza mentale significa essere in contatto con i nostri contenuti mentali (pensieri, ricordi, condizionamenti) nel momento in cui sorgono, per essere in grado di padroneggiare la nostra mente. È anche la capacità di sapere quello che stiamo facendo nel momento in cui lo facciamo. Essere consapevoli significa inoltre essere in contatto con la nostra vera natura.

2) Maitry Upanishad: VI, 34 (3), in Upanishad, a cura di Raphael. Bompiani, Milano, 2010.

3) La mente agisce a mezzo dei contenuti mentali e dei processi mentali. I primi sono le immagini mentali, le parole che rivolgiamo a noi stessi, i ricordi, le aspettative, i giudizi, i princìpi, le idee di base. I contenuti mentali sono derivati e dipendono dai processi mentali. I secondi si riferiscono alle funzioni mentali quali pensare, ragionare, elaborare, interpretare, giudicare, dialogare con se stessi (discorsi interni), ricordare, riprodurre, creare, inventare. I processi mentali possono essere paragonati alle funzioni di un computer; cioè un processo e non un meccanismo particolare.

4) Il pensiero è la capacità di ragionare, cioè di utilizzare l'attenzione e la mente. Il pensiero è energia creativa. Ma il pensiero è anche un'immagine, cioè un'elaborazione astratta della realtà, ma non è la Realtà, come la fotografia di un albero non è l'albero che rappresenta, oppure come la corda non è il serpente che crediamo di vedere. Il pensiero nasce dalla percezione di un oggetto, ma anche l'oggetto è un pensiero. Può allora il pensiero osservare se stesso? Sembra non sia possibile. È come se un coltello volesse tagliare se stesso. È solo la coscienza che si trova al di là del pensiero che può osservarlo.

5) Ognuno di noi ha la capacità potenziale di cambiare la propria personalità in un'altra di livello superiore o inferiore.

6) Il karma si esprime in noi attraverso la tendenza o visione karmica del mondo, cioè la modalità con cui sperimentiamo il mondo: è lo stato di coscienza che si manifesta in base al prevalere dei nostri semi karmici; è la consapevolezza delle convinzioni con cui viviamo nella manifestazione; le nostre convinzioni determinano a loro volta il nostro comportamento, cioè le nostre manifestazioni esterne. In senso lato, è la visione illusoria degli esseri soggetti a trasmigrazione.

7) I condizionamenti dipendono dall'ambiente in cui siamo vissuti o in cui viviamo, che ci spinge in continuazione ad agire sotto l'azione di varie pressioni, di tipo sociale, economico, ecc., e delle opinioni degli altri.

8) La mente per sua natura ha un continuo dialogo interno: ogni pensiero tende, a causa del coinvolgimento emotivo, a richiamarne un altro, dando vita a una quantità di pensieri e immagini che si susseguono senza sosta. La mente quasi sempre non accetta ciò che è stato, rimugina sugli avvenimenti passati colorandoli con situazioni che non si sono mai verificate, oppure immagina situazioni future che forse non si verificheranno mai.

9) Se vediamo le cose del mondo non come sono, ma come le interpretiamo significa che per noi l'universo non è una vera realtà, ma una nostra proiezione, cioè un nostro modo di vedere, quindi a rigor di termini è la sommatoria dei diversi punti di vista di come lo si potrebbe guardare se esistesse; vale a dire, sarebbe un non-universo.

10) Il valore delle parole non è soltanto nel loro significato o nella loro capacità di trasmettere pensieri. Esse hanno qualità che non si possono esprimere in concetti, come un brano musicale che, sebbene esprima un significato concettuale, non può essere espresso a parole. L'idea del suono creativo è anche espressa, oltre che nell'antica dottrina del Mantra, anche nel Vangelo di S. Giovanni: «Nel principio era la Parola, e la Parola era con Dio, e la Parola era Dio. Ogni cosa è stata fatta per mezzo di lei; e senza di lei neppure una delle cose fatte è stata fatta». (Giovanni 1,1-3. La Sacra Bibbia. Edizione 1963. Editrice Casa della Bibbia, Ginevra).

11) La Tradizione ritiene che la sostanza mentale prenda la forma dell' oggetto che percepiamo o dei pensieri espressi attraverso il dialogo interno, creando le idee-pensiero che sono le vere responsabili del cambiamento.

12) Attenzione significa essere presenti a noi stessi. Di solito, siamo presenti a noi stessi solo per brevissimi istanti. In situazioni critiche siamo veramente presenti perché in quel momento riusciamo a concentrare l'attenzione sull'evento proprio mentre si sta svolgendo. Dovremmo abituarci a sviluppare questa attenzione per ogni piccola azione quotidiana, magari osservandola, mentre si svolge, con curiosità e distacco. Quando facciamo un'azione, abituiamoci a farla nel modo più totale con la mente vigile e attenta.

13) Osservare, inteso come guardare in modo non soggettivo, senza fare paragoni o dare giudizi valutativi, senza reagire emotivamente a ciò che percepiamo.

14) Swami Shivananda, La potenza del pensiero. Edizioni Babaaji, Roma.