Articoli di Dharma

 

OLTRE LA VIPASSANA
(Tratto da ‘Oltre la Vipassana’ di Aziz Kristof)
Postato da Vincenzo Serra su Facebook

 

 
 

    "La Vipassana libera? La meditazione di visione profonda [Insight meditation] è una delle tecniche di meditazione lasciate dal Buddha, nella sua compassione, agli aspiranti alla libertà. Tuttavia, nessuna tecnica può costituire il mezzo assoluto per giungere allo stato illuminato, perché le diverse tecniche si occupano solo dell’ignoranza e mai della Verità in sé. La rimozione dell’ignoranza e il risveglio alla verità, sebbene interconnessi, non sono la stessa cosa. Sul sentiero dell’Illuminazione si devono spesso utilizzare mezzi abili, ma il risveglio non è il semplice risultato dei nostri sforzi. La realtà dello Stato Interiore rimane sconosciuta fino al momento in cui la si sperimenta chiaramente. La sfida è gettare un ponte tra ignoranza e Illuminazione. Non è un compito agevole, perché intendiamo raggiungere lo stato trascendentale dalla prospettiva della nostra coscienza limitata. Come si può fare? Il risveglio è una funzione dell’Ora, e tutti i nostri metodi indiretti costituiscono solo una preparazione al momento in cui saremo pronti a riconoscere la verità della nostra identità ultima.
Il fondamento della meditazione di visione profonda è la convinzione che vedendo chiaramente il mondo e la nostra identità psico-somatica come privi di un sé, impermanenti, e fondamentalmente dolorosi, raggiungeremo in qualche modo automaticamente la retta comprensione e liberazione. Ma quante volte sperimentiamo questa comprensione nella nostra vita quotidiana senza che accada nulla? Lo sviluppo dell’osservazione attiva e il tentativo di raggiungere una certa disidentificazione concettuale è una tecnica molto pericolosa, perché si rimane sempre a livello della mente.
La meditazione è solo negativa? Lo scopo della meditazione è solo quello di realizzare che ogni cosa è un’illusione? Osservando una statua del Buddha non appare ovvio che egli raggiunse uno stato estremamente positivo? Buddha non disse soltanto che nulla è permanente a questo mondo, disse anche che esiste il Non-nato. Disse chiaramente che se non vi fosse il Non-nato non vi sarebbe alcuna possibilità di liberazione. L’Illuminazione e l’interpretazione della realtà basata sull’Illuminazione non sono la stessa cosa. Il praticante di Vipassana cerca di giungere a certe conclusioni della filosofia buddhista senza trovarsi nello stato illuminato, sperando che nel momento in cui quelle conclusioni/comprensioni siano pienamente realizzate, egli divenga automaticamente un liberato. Tuttavia, questa è un’illusione.
Dobbiamo renderci conto chiaramente che le comprensioni della Vipassana si verificano solo nella mente. È la mente che osserva la mente e la mente non può andare certamente al di là di se stessa, poiché essa opera sempre nel passato psicologico. La comprensione è importante, ma non è in grado di liberare; non possiede il potere della trascendenza.
L’insegnamento riguardo il non-sé deve essere usato con intelligenza. Un tale insegnamento non è un dogma, ma uno strumento per trattare certe tendenze della mente umana. Il concetto che in realtà non c’è “nessuno” che mediti, “nessuno” che ottenga la comprensione, e “nessuno” che divenga Illuminato è esatto solo da un certo punto di vista e inesatto da un altro. La realtà dell’Illuminazione è oltre il concetto del “sé”, ma anche del “non-sé”. Al di là dei moti dell’intelligenza, dei pensieri e della sensazioni esiste uno stato trascendentale dell’Essere cui bisogna risvegliarsi. La disidentificazione non libera, la comprensione non libera – è l’espansione nel Reale che libera. Quando il Buddha sperimentò la sua grande Illuminazione sotto l’albero della Bodhi egli non ebbe solo una comprensione della natura dell’illusione – egli attinse una nuova dimensione dell’essere, la Sorgente Non-nata della manifestazione. Essa non è il sé né il non-sé – non ha nome, tuttavia è assolutamente reale!
Consentitemi di ripetere la prima conclusione: se il fine della vipassana è la comprensione dell’impermanenza, del non-sé e della sofferenza, essa certamente non libera. Per la stessa ragione la maggior parte delle psicoterapie oggigiorno non funziona. Si diventa solo consapevoli delle proprie tendenze nevrotiche e negatività e questa consapevolezza in se stessa non possiede il potere di trasformare. È sempre il positivo che trasforma. Non ci si sforza di disidentificarsi per la disidentificazione in sé. La disidentificazione punta ad andare oltre. L’ “oltre” non è semplicemente un’assenza di negatività e illusione. L’ “oltre” è una dimensione a sé stante, e rappresenta la qualità della positività assoluta. Il Risvegliato non è soltanto libero dalla sofferenza – egli è nello stato di appagamento e beatitudine interiore.
Tale appagamento non è la mera soddisfazione di lasciarsi alle spalle questo mondo, è uno stato trascendentale. Uno stato elevato in se stesso. È molto difficile nel contesto della teoria del “non-sé” descrivere la qualità positiva dell’essenza della Mente di Buddha. È molto interessante vedere come un concetto possa controllare dogmaticamente i nostri mezzi di espressione. Qualunque cosa uno dica, verrà accusato della credenza erronea in un sé. La Liberazione esiste non perché il falso è visto come falso, ma perché e soltanto perché la Verità è riconosciuta come Verità. È il positivo che libera. E non importa davvero che la si definisca ‘essere’ o ‘non-essere’, o entrambi, o né l’uno né l’altro – il positivo, la Verità, la Natura di Buddha semplicemente è.
A questo punto sorge la domanda: come possiamo compiere un salto quantico dalla meditazione di visione profonda “negativa” all’ Illuminazione positiva? Come possiamo andare oltre la Vipassana? Non è che la Vipassana non sia una tecnica di meditazione utile, lo è. È uno strumento da utilizzare, ma dobbiamo comprendere i limiti di questo strumento. Ha la sua bellezza e utilità, ma a un certo stadio deve essere abbandonato, come qualunque altra tecnica. Si può accedere all’Ignoto soltanto nudi. E allora, come proseguire?
Il segreto sta nella stessa attenzione che osserva la mente. Tutto ciò che si presenta alla mente cessa anche. Quando l’attenzione, che è il seme di ogni atto conscio della mente, improvvisamente si volge a se stessa, ci si trova al punto zero dell’esperienza. Quel punto zero è chiamato lo stato di Presenza. La meditazione negativa riguarda solo l’oggetto, l’osservato, mentre la meditazione positiva è rivolta sempre a quel “luogo” misterioso da cui sorge l’osservazione. Il soggetto, che costituisce l’essenza della meditazione, non è l’ego ma la primordiale esperienza diretta di ciò-che-è [quiddità, talità, isness].
Lo stato di Presenza riconosce direttamente se stesso senza l’intervento della mente. Possiamo definirlo il centro di coscienza, che precede sempre le sue espressioni fenomeniche. Da chiunque sia completamente aderente allo stato di Presenza è sperimentato in ogni momento come un flusso incessante di consapevolezza autocognitiva. Alcuni maestri lo considerano lo stato ultimo. Non è così. È piuttosto un collegamento tra la mente e il Non-nato. In India lo definiscono “Atman”. Questo stato è estremamente importante, perché in esso la mente inconscia viene trascesa. Questo stato è già oltre ogni tipo di conoscenza o comprensione creata nella mente.
Dall’osservazione e attenzione alla realtà fenomenica ci spostiamo nella dimensione dell’ essere. Possiamo dire che in quel momento la Vipassana diventa Shikantaza. Lo Shikantaza non è una tecnica Zen, ma uno stato universale di coscienza. Il significato di Shikantaza è: “semplicemente essere”, cioè “non-azione rimanendo coscienti”. La “non-azione” è possibile solo se esiste un luogo in cui la nostra coscienza possa dimorare e trovar riposo, solo se esiste un luogo in cui la volontà automatica della nostra mente conscia possa essere sospesa e lasciata andare. Il “semplice star seduti” non può aver luogo a meno che il movimento della psiche non si espanda oltre la sua struttura di riferimento in un livello di esistenza più profondo. Ciò che in questa fase ci consente di andare oltre è lo stato di Presenza.
Dal punto di vista di colui che è nello stato di Presenza, è avvertita come un’esperienza di soggettività assoluta [svincolata da ogni oggetto]. Per provare che è proprio così, alcuni praticanti cercano persino di mantenere tale stato nel sonno. Ma ciò non è saggio, perché essere consapevoli durante il sonno può creare alla fine seri squilibri nella psiche. La presenza della consapevolezza interferisce con il naturale processo di guarigione del nostro subconscio. Sapere quando controllare e quando lasciar andare è una funzione dell’intelligenza. Non è necessario controllare il sonno, come non è necessario controllare il momento della morte, quando tutto si dissolve nella Sorgente e non c’è forza nell’universo che possa impedirlo.
Lo stato di Presenza, chiamato anche Rigpa nello Dzogchen o ‘chiara mente’ nello Zen, non è lo stato supremo, e alla fine deve essere trasceso. Cionondimeno dobbiamo riconoscere che questo stato ha già una qualità positiva. Possiede la qualità di un’esperienza semi-costante di pace e beatitudine. È solo semi-costante perché, sebbene sia oltre la mente, appartiene ancora al regno dell’energia, che ha le caratteristiche del movimento e della fluttuazione. È solo una profonda sensibilità e intelligenza che ci consente di riconoscere il carattere relativo di questo stato. Vedendo ciò possiamo andare più in profondità.
Sebbene abbiamo parlato dello stato di non-azione (giacché la volontà personale riposa nello stato di Presenza), in realtà una sottile volontà sta ancora operando a questo livello. L’energia della coscienza, della Presenza, ha una volontà propria, che a livello sottile è intrecciata alla volontà della nostra psiche. Possiamo dire che riposare nello stato di Presenza ci fornisce solamente l’esperienza di uno Shikantaza relativo, incompleto. Lo Shikantaza assoluto, puro essere o non-agire, può aver luogo solo quando lo stato di Presenza è trasceso. Possiamo parlare solo del raggiungimento della soggettività assoluta in quel momento: il fondamento non-dimorante dell’intera esistenza. Lo stato di Presenza è ancora dimorante, nel suo centro.
Il mutamento finale è di natura molto misteriosa. Allorché il centro dell’attenzione, che è lo stato di Presenza, si espande nell’originaria sfera senza-tempo della pre-attenzione nel grembo non-consapevole della manifestazione, il regno dell’origine vuota, l’espansione finale ha luogo. Da quel momento non c’è più alcun centro, poiché si trova riposo nello stato che precede l’esperienza, che precede la consapevolezza. Certamente c’è il riconoscimento del Non-nato che crea una nuova qualità derivante dall’incontro della Presenza con l’Assoluto (lo stato di non-presenza). Tale riconoscimento è estremamente sottile e può essere descritto come una conoscenza della pace pura senza alcun centro. È qui che la nostra Presenza come centro di coscienza, cioè la pura attenzione, incontra il Non-nato, la fonte primordiale di ogni cosa.
Questo incontro dà origine all’esperienza della pace pura, imperturbata. La totalità della nostra coscienza si fonde con l’assoluto Vuoto senza-tempo. E non solo si realizza “ciò che è sempre esistito”, ma il fatto stesso che lo si riconosca origina qualcosa di totalmente nuovo. È il fiorire dell’evoluzione. La luce della consapevolezza penetra la sorgente pre-consapevole della creazione. E in verità è questo ciò che tutti gli esseri desiderano. Non è abbandonare la realtà manifesta, ma entrare e riposare nella nostra dimora originaria di pace sconfinata. Da quel luogo anche l’impermanenza è vista come magnifica. Ogni cosa è finalmente abbracciata."