Rilevanti progetti di Gaden per aiutare i Tibetani a conservare la loro cultura unica.

 

Retorica e Realtà del Monachesimo Femminile

nel Buddhismo Tibetano

(Ordinazione per Monache Novizie in Tibet)

*di Kim Gutschow

 

 Al mattino presto, molto prima che il sole avesse potuto scagliare i suoi primi raggi sulle silenziose celle monastiche dipinte di bianco, congelate in una quiete quasi primordiale, alcuni residenti del monastero di Ganden nel Tibet centrale cominciarono a riunirsi. Mentre i migliaia di monaci dormivano tranquillamente nelle loro stanze ben ammobiliate, un gruppo di umili pellegrini iniziarono il loro cammino tra le celle casualmente disposte che riempivano tutta la collina. I cinque pellegrini, tutte donne, avevano viaggiato per parecchie migliaia di chilometri per raggiungere questo punto e da qui incominciare una nuova vita. Erano venute da Zangskar, la parte occidentale dell’altopiano tibetano, per partecipare ad una cerimonia che avrebbe avuto un irreversibile effetto sul resto della loro vita. Queste cinque donne di Zangskar dovevano essere ordinate come ‘novizie’ (dge tshul ma) in un rito che nella loro vita avrebbe segnato il loro impegno al celibato, alla religiosità ed all’asceticismo. Significativamente, lo avrebbero fatto in uno dei luoghi più sacri del Tibet, che dal XV° secolo era stato destinazione per innumerevoli pellegrini buddhisti dal Tibet e dai paesi confinanti, come India, Nepal ed altri più lontani principati in Asia Centrale, come Cina e Mongolia.
Le donne erano tenute in minoranza nel grande affollamento del monastero di Ganden, costruito su un lato scosceso di una montagna chiamata 'Monte della Consacrazione' (dbang bskur ri), a circa quaranta miglia a nord-est di Lhasa. La montagna aveva ricevuto questo nome da quando il primo re tibetano, Srong btsan sgam po, fu consacrato con l’acqua di questa montagna (forse, quando fu nominato Re). Come una delle tre più grandi università monastiche nel Tibet, con Drepung e Sera, Ganden era la sede di studi ed insegnamenti per i monaci provenienti da tutto il Tibet, che qui erano stati inviati a studiare per completare il grado più alto (dge bshes) in dialettiche e filosofia buddhiste. Dalla metà degli anni ‘50, Ganden ha ospitato circa 5000 tra studiosi ed eruditi, birbanti e rinnegati, che sono venuti per istruzione religiosa, per perseguire una carriera nel governo tibetano, o sempli-cemente per sfuggire la cupa monotonia della vita di famiglia o del villaggio.
Queste notevoli donne stavano andando ad affrontare una situazione inimmaginabile o imponderabile per molti uomini, ed impossibile per la maggior parte delle donne in Zangskar. Le cinque donne che quella mattina avevano scalato la scogliera non potevano immaginare in che razza di evento unico la loro ordinazione nel 1956 si sarebbe trasformata diversi decenni dopo. Mai avrebbero potuto indo-vinare che alcuni anni dopo le truppe Cinesi avrebbero invaso Lhasa e che in un decennio le Guardie Rosse avrebbero implacabilmente ridotto in rovina il monastero. Queste umili donne furono alcune delle ultime monache di Zangskar e perfino del Tibet, ad esser state ordinate in un ambiente così auspicioso da officianti così augusti. Il monaco che officiò la loro cerimonia di ordinazione era il Reggente al Trono di Ganden (dGa' ldan khri pa), il terzo più alto ecclesiastico nella gerarchia del Tibet dopo il Dalai Lama ed il Panchen Lama. Era l'unico monaco nel Tibet avente diritto ad occupare un trono dorato (gser khri) costruito da artigiani Nepalesi nel quindicesimo secolo per il grande Santo Tibetano, Tsong khapa. Quindi, egli era un diretto discendente spirituale del santo che fondò proprio il monastero di Ganden nel 1409 e che creò la "nétta Gelugpa riformando la setta Kadampa che Atisha aveva introdotto nel Tibet nell'undicesimo secolo.
Le donne arrivarono in una regione confinante con la provincia occidentale tibetana di Guge, da cui il noto maestro Atisha era partito per il Tibet quasi dieci secoli fa. E come i santi Atisha e Marpa, le donne avevano viaggiato per 2500 chilometri, molti di essi a piedi ed altri in treno (cosa che non potè fare Atisha), per raggiungere il Tibet centrale. Ani Yeshe, Angmo e Deskyid del monastero di Karsha, con due monache del monastero di Pishu, avevano passato molte settimane a Lhasa per assistere all’ annuale grande Festival di preghiere, che Tsongkhapa stesso aveva fondato nel 1408. Questo festival riunisce annualmente i 21.000 monaci che risiedono ai monasteri di Ganden, di "néra e di Drepung. In quell'anno, era presente il giovane Dalai Lama, che era già stato nominato capo politico e spirituale del suo popolo, dopo esser tornato dal suo viaggio in Cina dove aveva incontrato Mao Tse Tung. Per i pellegrini da Zangskar, il festival era uno spettacolo da ammirare. Il poter vedere tanti monaci che pregavano ai piedi del Dalai Lama, incarnazione del Boddhisattva Avalokitesvara, aveva lasciato un segno indelebile nelle loro menti.
All’inizio del loro pellegrinaggio, mentre visitavano il monastero di Ganden, esse erano venute in contatto con Ngawang Tharpa, un monaco di un villaggio vicino al loro pæse d'origine. Lui le aveva invitate nella sua cella scarsamente ammobiliata, dopo aver mostrato loro le splendide cappelle monastiche di Ganden. Avevano visto il trono dorato, lo stupa in cui c’erano i resti di Tsongkhapa ed altre numerose statue dorate e impressionanti thanka che riempivano le stanze delle offerte. Quando raggiunsero la sua stanza, le monache rifiutarono di sedersi o anche di entrare oltre il foyer, per una abituale forma di ritrosìa. Quando finalmente si sedettero e fu loro offerta una tazza di tè, esse si parlarono ancora e rifiutarono quel tè così forte; tuttavia, il loro ospite alla fine le convinse. Le donne di Zangskar furono poi riconoscenti verso il loro gentile ospite per lo squisito tè, poiché esse erano in pellegrinaggio ormai da parecchi mesi e stavano cominciando a stancarsi dell'alimentazione e delle limitate razioni che avevano ricevuto mentre elemosinavano nelle case del luogo. Queste monache non sapevano che trent’anni dopo, questo monaco, Ngawang Tharpa, sarebbe diventato l'abate del loro monastero, come pure che avrebbe ottenuto la reputazione di essere uno dei più rispettati insegnanti religiosi in Zangskar. Il monaco suggerì loro che poiché erano venute da così lontano, esse chiedessero udienza al Detentore del Trono di Ganden. Allorché fu loro garantita una breve udienza con il santo monaco, esse chiesero il permesso di assistere alla cerimonia di ordinazione che doveva tenersi fra circa due settimane.
Fu così che cinque donne provenienti da ambiti così umili arrivarono ad assistere ad una cerimonia di ordinazione nel famoso monastero di Ganden. Proprio a Ganden la notte prima era stato impedito ad esse di dormire nel monastero poiché, diversamente dai monasteri Gelugpa del loro paese Zangskari, alle donne non era permesso di rimanere durante la notte nelle celle dei monaci. Dopo aver passato la notte al piano basso del monastero, le donne si erano alzate assai prima dell'alba per lavarsi e per radersi la testa, in preparazione per il rituale imminente. Con le loro teste rasate e le vesti marroni unisex, gentilmente prestate loro da un monaco, esse avevano una certa parvenza androgina e fuori dal tempo. Anche se in qualsiasi altra occasione sarebbe sacrilego che una donna porti gli abiti di un monaco, il rituale di ordinazione crea uno spazio subliminale in cui il sacro può diventare profano e l'impensabile diventa pragmatico. Esse per la prima volta stavano vestendo gli abiti sacri (maglia, fasciatura inferiore e tunica gialla esterna (stod thung, sham thabs, chos gos), anche se potrebbero passare il resto della loro vita cercando di realizzare la disciplina che quegli abiti indicavano.
Ngawang Tharpa le aveva istruite circa il portamento e la procedura del rituale che dovevano subire. Fino a quel giorno, Yeshe e le sue compagne avevano seguito i cinque precetti buddhisti per parecchi anni dopo l'offerta fatta dei loro capelli ad un monaco reincarnato un anno prima. Ora esse stavano facendo un passo che non avrebbero più potuto invertire nel corso di questa vita. Anche se potevano abbandonare i loro abiti e la castità, non avrebbero potuto più ricongiungersi all'ordine. Secondo le dottrine del Vinaya, o disciplina monastica, nel corso di questa vita un monaco ‘apostata’ (chos log) non può più prendere i completi voti monastici.
Stando poco avanti al portone della grande sala, Yeshe e le sue colleghe si trovarono davanti ad un mare di vesti gialle, un po’ più piccolo della gran massa di monaci che c’erano al grande Festival delle preghiere, ma questa volta stavano andando a fondersi con il gruppo. Allora come anche adesso, la maggior parte dei monaci erano uomini. Yeshe in seguito mi disse di essersi sorpresa nel trovare solo altre quattro monache, timidamente radunate nel remoto angolo vicino alla porta, là dove anch’esse avevano preso posto. Benché sembrava che fossero marginali, dato che esse provenivano dai lontani buddhisti del Kashmir himalayano, le cinque monache di Zangskari in realtà superavano di numero le monache tibetane presenti. Yeshe e le sue compagne erano assai scoraggiate nel vedere un numero così scarso di monache durante il loro viaggio nel Tibet. Portando l’obbligatoria sciarpa di benedizione (kha btags), Yeshe e le sue compagne di Zangskari entrarono nella sala in cui c’era il capo officiante, il Detentore del Trono di Ganden (dGa' ldan khri pa) seduto su un palco rialzato sopra il mare dei monaci. Oltre all’officiante ed al precettore, per condurre una cerimonia di ordinazione è necessario che vi siano almeno dieci monaci ordinati da più di dieci anni. Temporaneamente abbagliate dalla opulenta esposizione di immagini e personaggi all'interno di questa grande sala, le cinque monache di Zangskari senza pensarci si prostrarono tre volte. Ciascuna donna trovò un po’ di posto nel retro dell’affolata sala per distendere i tappetini quadrati (lding nga) che soltanto i novizi sono autorizzati ad usare. Yeshe teneva i suoi occhi fissi sulla santa figura seduta sul trono aldisopra della folla, con le sue vesti di ricco broccato giallo ed ignorava le scortesi occhiate dei monaci intorno a lei, sorpresi senza dubbio nel vedere delle donne in mezzo a loro. Proprio allorché Yeshe e le sue compagne ebbero finito le loro funzionali prostrazioni, la cerimonia cominciò. Il Detentore del Trono di Ganden prese a fare un discorso sulle virtù e sui trabocchetti della vita monastica. Egli invitò tutti a prendere seriamente i loro voti, perché abbandonarli significava una perdita di buon karma per se stessi e più ampiamente forse per gli altri intorno, che di conseguenza potevano perdere la fede nella religione (chos). La postura inginocchiata che gli iniziati tenevano tutt’intorno indicava la disponibilità ma non ancora la realizzazione dei voti che stavano prendendo.
Dopo che il capo officiante (Sanskr. Sila Upadhyaya) ebbe spiegato la disciplina morale (Sanskr. Sila) che essi dovevano adottare e gli altri insegnanti (Sansk. Acharya) ebbero concluso brevi discorsi sui presupposti necessari che devono essere compiuti, furono invitati Buddha e Bodhisattva, saggi come pure divinità, ad assistere alla cerimonia per impedire tutti gli ostacoli. Allora gli iniziati furono invitati a pentirsi di tutte le innumerevoli trasgressioni che avevano commesso nel corso della loro vita, sia in quella attuale che nelle precedenti. Gli iniziati furono obbligati ad ammettere gli innumerevoli difetti del corpo, della parola e della mente che sono stati generati dalla continua eterna bramosia, dall’odio e dall'ignoranza. Questi sono conosciuti come i tre veleni mentali (dug gsum) che asserviscono gli esseri umani all'interno del ciclo di nascita, morte e rinascita, ossia originazione interdipendente (Tib. rten 'brel bcu gnyis, Sansk. pratityasamutpada). Agli iniziati dopo viene chiesto in un modo sommario se sono colpiti da una delle 13 ostruzioni principali o 16 secondarie che impedirebbe loro di ricevere la presa dell’ordinazione. Viene a loro richiesto di non essere obbligati né al coniuge né al re, e a non essere né schiavi né concubine, né demoni né divinità, ma liberi e pienamente umani. Interessante è il fatto che i candidati non vengono interrogati riguardo alla loro motivazione, formazione, precedente occupazione, o ceto familiare. In Tibet come in India, quando il Buddha permise per la prima volta la rinuncia alle donne, sia quelle di casta più bassa, le mogli insoddisfatte, le ex-prostitute e le cuoche, tutte erano ugualmente eleggibili per la rinuncia. Una volta che i candidati avessero superato il punto del superficiale pentimento rituale e l'esame per quanto riguardava le ostruzioni, essi erano invitati a recitare i trentasei voti subito dopo il capo officiante.
Il capo officiante chiamava davanti a sé ciascun iniziato, uno per uno, per consecrarli nella loro nuova condizione. Yeshe e le sue compagne erano tremanti quando comparvero davanti al trono del santo insegnante. Ogni candidato offriva rispettosamente una sciarpa di benedizioni e disponeva un po' di pasta zuccherata di orzo (phye mar) o di riso dolce ('bras sil) nella copia della ciotola delle elemosine del Buddha su un basso tavolo davanti al trono. Poi gli iniziati ponevano una mano sopra, ed una sotto, alla stessa ciotola delle elemosine, intorno all'asta del bastone rituale (mkhar gsil). L’officiante metteva le sue mani sul bastone, chiedendo due cose al candidato: il suo nome ed il proponente per l’ordinazione. L’officiante poi consacrava ciascun candidato stringendo tra le sue dita i tre tipi di vesti sacre che essi indossavano, recitando una breve preghiera. Dopo aver benedetto brevemente quegli abiti, egli lasciava libero ogni candidato, uno per uno, e la cerimonia era così ufficialmente conclusa.
Dopo che l’officiante e i venerabili monaci ebbero lasciato la sala, Yeshe e le sue compagne si misero tranquillamente sedute a contemplare lo sfarzo della cerimonia che avevano sperimentato. Ora, esse erano tra i ‘senza-casa’ che seguivano gli insegnamenti del Buddha, impegnate al celibato, al distacco ed alla compassione verso tutti gli altri esseri senzienti. Sarebbero riuscite a sopravvivere alle sfide fisiche e mentali che la dottrina richiedeva? Perfino il precetto del digiuno era assai più che diretto. Anni dopo, mentre raccontava la storia della sua ordinazione, Yeshe ancora si rammaricava che non era capace di effettuare la pratica del digiuno dopo mezzogiorno per più di una settimana. Poiché era in pellegrinaggio a migliaia di chilometri dalla sua casa, essa doveva affidarsi a sporadici pasti che potevano venir dati in qualunque momento durante il giorno. Lei e le sue compagne non potevano permettersi il lusso di digiunare il pomeriggio per tre settimane, come invece facevano molti novizi da poco ordinati. Ognuno fa quello che può: uno può digiunare al pomeriggio per tre giorni, per tre settimane, o per tre mesi, ma molto raramente per il resto della sua vita.
Dopo la cerimonia di ordinazione, le cinque debuttanti di Zangskari continuarono il loro pellegrinaggio attraverso il Tibet per un altro mese, prima di riprendere la via di casa, lungo la stessa strada da cui erano venute. Quando ebbero attraversato l’altopiano tibetano verso la città di confine di Phari, ed ebbero ripreso la via del ritorno giù nel Sikkim verso la fine di marzo, era meno freddo di quando provarono un congelamento nel loro passaggio del Tibet diversi mesi prima. Tuttavia, ora l’altopiano era pieno di neve, spesso battuto dal vento, con infide folate da cui venivano spinte, così da trovarsi ad inciampare. Così che quando raggiunsero i passi proibiti che ostruivano l'entrata nella loro stessa valle di Zangskar, le monache erano ansiose di essere a casa. Esse passarono un’altro mese nel villaggio Lahauli di Srub, in cui fecero rifornimenti da portarsi dietro per il loro restante viaggio. Esse dovettero però aspettare finché il tempo non fu sereno e smettesse di nevicare prima della traversata dell'ultimo ostacolo, i 16.400 piedi del passo ‘Shingo La’ che si trova fra Lahaul e Zangskar. Quindi, si avviarono con cautela verso la cima del passo pieno di neve gelata, viaggiando di notte sotto la luna piena, per attraversare la distesa ghiacciata prima che la brillante luce del sole potesse fondere il prezioso strato di ghiaccio che le sosteneva sopra molti metri di neve. Mentre camminavano, esse programmarono un ritiro invernale, in cui avrebbero potuto completare le pratiche preliminari (sngon 'gro) previste dai loro voti monastici. Tutte prese nei loro piani e nelle visioni dell’Ordine (Sangha) dei rinuncianti, esse poterono a malapena accorgersi delle miglia percorse sotto i loro piedi.

LA POLITICA E LA PRAGMATICA DELL’ ORDINAZIONE
Il problema di chi può essere ordinato, da chi, e in che modo, ha afflitto il buddhismo fin dalla morte del suo Fondatore. Benché il Buddha avesse predicato che non vi fossero divisioni fra i suoi discepoli, ma però che essi fossero d’accordo nel non essere d'accordo, la questione dell’ordinazione e della disciplina monastica portò alla formazione di innumerevoli "nétte nel mondo buddhista. Ragioni storiche per l’abbandono dell'ordine delle monache in India, in Sri Lanka, e probabilmente in Birmania, dopo il decimo secolo, qui non interessano. Tuttavia, è importante notare che quando l'ordine dei monaci si estinse varie volte in Sri Lanka, per reintegrarlo sono stati fatti sempre sforzi dai paesi limitrofi che praticavano una disciplina buddhista simile. In Sri Lanka, la piena ordinazione per i monaci si estinse nel 1065 e raggiunse un così rischioso stato di declino nel sedicesimo e diciassettesimo secolo, che i monaci birmani furono inviati per farla rivivere, ed il locale Re legittimò l'ordine almeno tre volte. Per contro, nessuno sforzo è stato fatto per far rivivere l'ordine delle monache dopo il relativo abbandono in Asia del Sud. Attualmente, i lignaggi completi di ordinazione sopravvivono soltanto in Cina, Corea, Giappone, Taiwan e Vietnam. In questi paesi asiatici orientali, le monache seguono il Canone di Dharmagupta, che è stato costantemente usato in Cina da quando la piena ordinazione per le donne è stata primariamente introdotta dalle monache Singhalesi nel 434 d.C.. Fino a poco tempo fa, la piena ordinazione non era possibile per le novizie che seguono il Canone Mulasarvastivadin nel Tibet, Ladakh, Zangskar, Nepal, Bhutan e Sikkim e per le rinuncianti che seguono il buddhismo Theravada in Tailandia, Birmania e Sri Lanka. La più alta ordinazione disponibile alle donne buddhiste nella maggior parte dell'Asia del Sud e Sud-Orientale è l’ordinazione come novizie o come rinuncianti, che devono mantenere fra otto e dieci precetti, per cui esse vivono come monache de facto, ma non de jure. Mentre i monaci in Sri Lanka ed in altri paesi Theravada rimangono contrari, alcune donne sia in Asia che in Occidente hanno iniziato un movimento per rintrodurre la piena ordinazione in Asia del Sud.
Per molte monache Zangskari, l’ordinazione è un problema in più per la sopravvivenza economica. In Zangskar, le monache sono meno interessate alla piena ordinazione di quanto non lo siano alla quotidiana sussistenza e alle necessità rituali. Mentre altrove in Asia del Sud e Sud-Est le monache stanno spingendo per la piena ordinazione o cercando alternative che permettano un'indipendenza dalle autorità monastiche, le monache di Zangskar hanno cercato obiettivi molto più modesti. Si sono concentrate sull'istruzione della successiva generazione di monache. Hanno raccolto donazioni per costruire scuole e stanno cercando di trovare insegnanti che vogliano insegnare e vivere nel loro clima freddo ed inospitale. Diversamente dai monaci che hanno molte occasioni per studiare nelle grandi università monastiche Tibetane in India del Sud, le sedi per le monache nei monasteri degli esuli situati in Dharamsala sono estremamente limitate e più spesso riservate per i rifugiati arrivati di recente dal Tibet. I monasteri femminili del Ladakh e del Zangskar stanno crescendo in popolarità e nella quantità dei membri, ma difettano ancora di un programma di studi che includa la formazione sia secolare che religiosa. Per contro, la maggior parte dei monasteri maschili in Zangskar ed in Ladakh hanno scuole sotto gli auspici dell'Istituto Centrale per gli Studi buddhisti, in cui i giovani monaci imparano l'aritmetica, la scienza e la lingua Hindi. Negli ultimi dieci anni, alcuni devoti monaci e monache locali e diversi stranieri hanno iniziato programmi scolastici in alcuni monasteri femminili come Wakha, Lingshed, Rizong, Tia e Timosgam in Ladakh, e Karsha, Zangla e Pishu in Zangskar. Le monache hanno ricevuto l'istruzione di base in dialettica e dibattito, anche se sia l’assenteismo degli studenti come pure la mancanza di infrastrutture (aule, insegnanti, materiali) hanno impedito il buon successo di questi programmi. Poiché solo una formazione più rudimentale è disponibile in Zangskar, più di due dozzine di monache hanno smesso di cercare l'ammissione agli istituti universitari Tibetani a Dharamsala o in India del Sud. Inoltre, i monasteri femminili in Zangskar hanno ristagni intellettuali residui, in gran parte non coinvolti con i gruppi più attivisti che cercano la piena ordinazione per le monache in Asia del Sud. Ancor ora, anche prima che Yeshe facesse ritorno dal Tibet, le monache continuano ad affrontare molti più vincoli di pressione alla loro pratica monastica.

LE NOVIZIE RITORNANO A LAVORARE, ANZICHE’ FARE RITIRI
Quando Yeshe e le altre quattro monache novizie furono arrivate in Zangskar, non c’era molto tempo per lo studio né per la pratica religiosa. Mentre i paesani erano desiderosi di sentir parlare del loro emozionante pellegrinaggio, le richieste di lavorare la terra erano ancor più pressanti. Nei campi c’era bisogno che fossero arati e seminati, innaffiati e ripuliti dalle erbacce e infine ancora arati e seminati prima del successivo inverno. In quattro soli mesi, i contadini di Zangskar devono sviluppare la più parte di ciò che a loro serve di sostentamento in queste alte lande deserte. Ecco perché Yeshe e le sue compagne dovevano lavorare nei campi delle loro famiglie piuttosto che ritirarsi nelle loro celle monastiche dopo il loro ritorno dal Tibet. Come la maggior parte delle monache di Zangskar, Yeshe e le sue compagne devono sostenere i loro obblighi in famiglia e nei campi, anche dopo aver rinunciato alla vita del mondo. Ciò è dovuto ad una complessa storia di patronato, privilegio e di esclusione che ha lasciato gli ordini maschili e femminili in posizioni molto differenti.
Per le monache, la rinuncia è un vocazione, mentre per i monaci è un'occupazione. Diversamente dai monaci, le monache non ricevono la quotidiana retribuzione in denaro o in generi, per apprestare i servizi rituali. In secondo luogo, il monastero femminile non può permettersi di alimentare ogni giorno i suoi membri allo stesso modo dei monasteri maschili. Portare una figlia al monastero è come metterla in una povera università pubblica in Occidente. Essa può avere accesso alla conoscenza ed a cose che la pongono ben oltre la vita provinciale del villaggio, ma lei o i suoi genitori devono pagare per la sua istruzione. Invece, portare un figlio al monastero maschile è come iscriverlo ad una ‘Ivy-League’ o un’istituzione di Oxbridge. Tranne i più ricchi che possono pagare per conto proprio, alla maggior parte dei monaci sono garantiti assegni mensili dalla ricca dotazione del monastero, mentre la formazione o la vocazione che essi ricevono fornisce sufficiente capitale simbolico per assicurare loro una comoda vita per molti anni. In effetti, la maggior parte dei monaci anziani nei monasteri si laurea negli uffici più oscuri, per cui i doveri sono meno compresi, ma la loro retribuzione è ancor più sostanziosa. Come risultato della divisione di ricchezze fra monasteri maschili e monasteri femminili, molte monache Zangskari vivono a casa con i loro genitori ed in più sono costrette a lavorare nel villaggio anche se possono avere una loro propria stanza monastica. Mentre le monache, insieme con i monaci, sono chiamate ad attendere ai principali rituali del ciclo della vita, quali le nozze e le morti, nella maggior parte delle famiglie di Zangskar, questi non possono provvedere ad un sostentamento normale nella vita di tutti i giorni.
In breve, il monastero maschile combina la ricchezza e il potere della Chiesa, dell'Università e della Banca, tutto in uno. Il suo potere nella società di Zangskar non può essere considerato esagerato. I monasteri di Zangskar alla fine del secolo possedevano oltre un decimo di tutta la terra coltivata in Zangskar, anche se poi la misura è scesa a meno del cinque per cento della terra coltivata a causa di un drammatico recupero delle terre desertiche nella seconda metà del secolo scorso. Estrapolando dai precedenti censimenti, figura che fra un terzo ed un quinto di tutte le famiglie in Zangskar ancora lavoravano uno o più campi posseduti da un monastero. Inoltre, solo una manciata di case rimane a tempo pieno sotto mezzadria monastica senza nessun loro campo di proprietà. A Karsha, il villaggio natale di Yeshe, il monastero maschile possiede all’incirca 240 acri, che è cento volte la terra che è in possesso delle famiglie più povere e 40 volte i 5.8 acri che è la superficie media di tutte le terre delle famiglie di Zangskar nel 1981. Poiché i monasteri hanno vaste dotazioni di terre e di bestiame, essi possono permettersi di alimentare i loro monaci residenti per un terzo dell'anno e di completare la loro necessità annuale con grano, denaro ed altri beni. In più, i monaci ricevono donazioni dalle loro famiglie e dalle conoscenze per cui prestano i loro servizi rituali. Per completare il loro reddito, gli stessi monaci compiono rituali di espiazione, di purificazione e di benedizione alle famiglie e durante i numerosi festivals dei villaggi. Nel corso di tali rituali, ai monaci vengono concessi gentili rimborsi in forma di alimenti e denaro. Inoltre essi ricevono private donazioni libere per il complesso monastico durante i molti momenti rituali dell'anno. Sia disponibili in monastero o in servizio di rotazione di tre anni in un villaggio periferico come sacrestani (mchod gnas), o nel servizio rituale, i monaci sono profondamente inseriti nel ciclo delle cerimonie che forniscono un significativo scambio tra i donatori e l’officiante.
Contrariamente alle dotazioni monastiche, i monasteri femminili di Zangskar dispongono di così scarsi e limitati mezzi, che sostenere i loro membri è fuori questione. Mentre i monasteri maschili sono ben aiutati dai proventi di tasse e donazioni volontarie per sostenere i loro monaci membri, i monasteri femminili non ricevono in tasse nemmeno un’oncia di grano in tutta Zangskar. Dei nove monasteri che vi sono in Zangskar, cinque non hanno affatto campi, mentre i quattro che hanno propri terreni non raccolgono da quella terra nient'altro che un cespito irrisorio. Soltanto un monastero, noto come 'Castello del Vajra'(rDo rje rDzong), possiede bestiame; tuttavia la cura e il mantenimento delle circa trenta pecore sembra superare il valore che forniscono. Le pecore a malapena producono abbastanza burro per mantenere una lampada a burro che brucia in ciascuna dei due ‘gompa’ del monastero. Qui, come in altri monasteri femminili, le monache sollecitano donazioni dalle loro famiglie e dai loro paesani per mantenere in vita le lampade a bruciare e per fornire le derrate di base (burro, tè, sale, farina) richieste per i servizi rituali al monastero. Poiché questi monasteri hanno così poca dotazione, non possono permettersi di alimentare le loro monache su base quotidiana, né patrocinare i vasti rituali come fanno i monasteri maschili. Di conseguenza, la maggior parte delle monache in Zangskar cercano la loro stessa sussistenza tramite il lavoro domestico ed agrario. Le monache effettuano le mondane faccende domestiche nelle fattorie e nei campi per le loro famiglie e per i conoscenti, così da ricevere i pasti o pagamento in natura. I rituali mensili ed annuali al monastero sono patrocinati a rotazione dagli amministratori che sollecitano donazioni di burro, farina, e di altre derrate, nonché di denari contanti. Mentre di recente alcuni di questi monasteri hanno cominciato a ricevere sostegni da fonti straniere, non possono tuttavia comprare le tre più critiche risorse nell’economia di Zangskar - terra, acqua e fuoco. Proprietà e accesso comuni a queste risorse è basata su secoli di patronato che sono stati privilegio esclusivo dei monasteri maschili.
In Zangskar come in Tibet, i monasteri femminili sono stati in gran parte esclusi da questa storia di patronati con cui i re ed i nobili donavano le concessioni di terra ai monasteri maschili e ai meditanti. Le monache sono anch’esse abbastanza brave nel prestare i servizi rituali; tuttavia, esse sono state scoraggiate dal farli a causa di svariati motivi storici e culturali. Poiché i monasteri maschili erano gli obiettivi tradizionali del patronato reale, questi si sono trasformati in centri del potere politico e di risorse economiche. I monasteri maschili arrivarono ad essere quelli per le più alte ordinazioni e le tradizioni educative, mentre quelli femminili funzionavano come più marginali ritiri per le donne che desideravano meditare o acquisire meriti. In breve, i monasteri maschili erano prominenti e ricchi, mentre quelli femminili restavano bloccati ai margini di quest’economia di valori. Poiché le monache non avevano l'autorità per trasmettere le più alte conoscenze Tantriche, ma dovevano affidarsi agli insegnanti maschi per le trasmissioni orali, divennero generalmente più dipendenti dai monaci maschi per l’istruzione, la conoscenza e l’autorità religiosa. Alle monache non era insegnata né la dialettica né il dibattito, e neanche le forme più alte di conoscenze rituali studiate nelle superiori ed inferiori università Tantriche che ancora dominano lo scolasticismo Ghelugpa. Fino a poco tempo fa, nessuno dei quattro ordini del buddhismo Tibetano incoraggiava le monache ad imparare le pratiche sacre, come fare la sabbia dei Mandala, effettuare i sacrifici del fuoco, o tenere le danze rituali ('chams). In Zangskar, solo i monaci sono qualificati per costruire i dolci d'offerta più elaborati (gtor ma) usati nei riti espiatori del villaggio e della famiglia; le monache fanno tali torte soltanto per il loro proprio uso nei riti collettivi dei loro monasteri.
Da sé-stessi è fatto il male e da sé-stessi si è contaminati.
Da sé-stessi si abbandona il male e da se stessi si è purificati.
La purezza e l'impurità dipendono solo da sé-stessi.
Nessuno può invero purificare qualcun altro.
Così il Buddha ha chiaramente disconosciuto il ruolo del prete nella purificazione degli altri, ma però i monaci di Zangskar compiono regolarmente rituali di purificazione per assicurare la prosperità e la vita del donatore, della sua famiglia, dei suoi antenati, o della sfera più ampia del villaggio. Ogni casa ed ogni villaggio, tutti sono spinti a dover patrocinare una fumigazione mensile del ginepro (bsangs) che ha l’intento di purificare le impurità o le contaminazioni rituali (grib) che sono state accumulate a causa di eventuali ed ignare azioni degli esseri umani, che potrebbero offendere le protettive divinità che vengono propiziate. L’annuale circumambulazione primaverile dei campi ('bum skor), la pulizia di montagne e valli (ri khrus lung khrus) e innumerevoli altri riti offrono certe forme di abluzioni rituali (khrus) o di purificazione (bsangs) come componenti della liturgia rituale. Poiché in loco si ritiene che le donne siano impure per natura, vengono preferiti i monaci anziché le monache per molti di questi rituali di purificazione. A causa di un complesso calcolo culturale che sostiene che i corpi femminili sono congenitamente inferiori e più contaminati, le monache soffrono di un handicap sessuale nelle loro relazioni con il sacro. Mentre può sembrare che i monaci sappiano trascendere la sessualità con il celibato, le monache sono state collegate ad una sessualità impura che le ha dequalificate da certe pratiche e spazi rituali esoterici in Zangskar ed altrove nel reame del buddhismo Tibetano.
Si valuta che i monaci abbiano una maggior efficacia rituale rispetto alle monache, a causa della loro superiore erudizione, innata purezza e avanzate conoscenze Tantriche. I rituali monastici tenuti nelle case, nei villaggi e nei monasteri sono considerati tali da mantenere uno stato di armonia fra i mondi umano e divino e da assicurare così più ampiamente ricchezza e prosperità mondana. Un coltivatore di Zangskar chiama il monaco per tenere riti di esorcismo ancora più nocivi degli spiriti, per tenere riti di espiazione per eventuali contaminazioni ed altri errori che offendono le divinità guardiane della casa e del villaggio, e riti di benedizione e ringraziamento per un riuscito raccolto, una nascita, o altre imprese. In genere, sono chiamati i monaci e non le monache a propiziare le divinità e i demoni che vivono segretamente nei regni visibili e invisibili, noti come i sei ‘stati di esistenza’ ('gro Ba rigs drug).
Poiché i monaci hanno controllo esclusivo sulle più sottili pratiche Tantriche, essi sono chiamati a condurre i rituali per ammorbidire tutti gli agenti demoniaci la cui rabbia minaccia continuamente di distruggere il reame umano.
Guardando solo all’ordinazione dei novizi, non si può trovare giustificazione per questo trattamento diverso tra i monaci e le monache. Infatti, il rito di ordinazione al quale Yeshe ha partecipato non fa distinzione fra novizi maschi e femmine. Tanto i novizi maschi quanto le femmine prendono gli stessi 36 precetti, portano gli stessi abiti, si radono la testa nello stesso modo e facilmente potrebbero venir confusi vicendevolmente. Eppure, una più ravvicinata indagine del contesto sociale e religioso a cui questi novizi ritornano rivela due esperienze molto diverse di distacco. Mentre le monache sono ben distaccate dalla vita lussuriosa, esse però vengono costrette a partecipare agli aspetti mondani di produzione economica. Al contrario, ai monaci sono rimossi i bisogni grossolani e i desideri materiali del capofamiglia, ma tuttavia essi godono di ricchezza, sicurezza ed altri lussi. Anche se le monache ed i monaci partecipano ad un comune rito di passaggio che li fa entrare nella vita dei rinuncianti, i loro percorsi divergono sempre più acutamente dopo quel rito.

MEDITAZIONE IN AZIONE: COME LE MONACHE PRATICANO LA COMPASSIONE MONDANA
"Le donne vengono amputate dello scopo della loro azione, costrette ad essere disinteressate, ad auto-sacrificarsi, senza mai aver potuto sceglierlo o desiderarlo. Il sentiero della rinuncia descritto da alcuni mistici è la sorte quotidiana delle donne... "
Le monache sono povere non per scelta ma per necessità. Esse vivono il doppio ruolo di brave figlie ligie al dovere e del sacrosanto celibato. Per i monaci, la rinuncia è solo sinonimo di abbandono delle funzioni di capofamiglia. Dalle monache, tuttavia, ci si aspetta che adottino gli ideali dell’altruistico distacco, mentre dedicano il loro lavoro ai parenti che in cambio le offrono la quotidiana sussistenza. Anche se dalla maggior parte dei buddhisti di Zangskar la compassione è idealizzata come universale, pure la si esige lungo precise linee di parentela e affiliazione. Le monache non possono pretendere alcuna esenzione dal persistente clamore dei parenti che esigono l'aiuto domestico. Ed aldilà di una consueta compassione, le monache non possono evitare tali obblighi in un'economia agraria che è a corto di lavoro a causa della forte emigrazione sia dei laici che dei monaci. Negli ultimi decenni, sono state lasciate a far funzionare i lavori agricoli le donne e le generazioni più vecchie, mentre i giovani vanno a guadagnare salari e stipendi nel governo e nel servizio militare, oppure cercano le occasioni educative e professionali nei centri urbani fuori da Zangskar. Le monache, quindi, sono essenziali per l’economia della famiglia, perché, diversamente dai laici maschi, raramente esse tendono a lasciare i loro villaggi natali. Le famiglie mandano le loro figlie nei monasteri che si trovano in prossimità dei loro villaggi natali, così che esse possano ritornare per le quotidiane faccende domestiche nelle case dei loro genitori. Per contro, le figlie laiche cessano di lavorare nelle loro case familiari dopo alcuni anni di matrimonio. Quando un monaca è mandata ad un'istituzione in qualche modo oltre i campi, solitamente cerca una famiglia sostitutiva nella cui casa lei lavora in cambio del cibo quotidiano. Nella maggior parte dei casi, essa è collegata alla famiglia come una servente adulta. Poiché le monache non hanno obblighi né verso i figli né con un marito, si pensa che esse siano disponibili giorno e notte 'a chiamata' dalle famiglie cronicamente a corto di mano d’opera nell'economia locale.
L’auto-sacrificio e la povertà volontaria erano alcuni dei più radicali aspetti della dottrina del Buddha. Quando il rituale Vedico del sacrificio fu interiorizzato dal Buddha, un’intera categoria di preti in India fece diventare obsoleta sia la teoria che la pratica. Il Buddha ed i suoi seguaci trasformarono i rituali di purificazione e di sacrificio che erano stati realizzati esclusivamente dai preti o dai Brahmani Vedici per il beneficio dei capifamiglia. Il Buddha propose una via d'uscita da questa gerarchia dei rituali invitando i capifamiglia ad abbandonare le loro case, e ad usare il loro corpo come un vaso rituale di purificazione. Il rinunciante buddhista unisce all'interno di "né la posizione del patrono e del prete, perché egli diventa sia lo strumento che il beneficiante del sacrificio. Come fa notare Collins (1982), il monaco buddhista ha interiorizzato il sacrificio del fuoco con il digiuno, la meditazione ed altri rituali ascetici. I discepoli che ai tempi del Buddha prima praticavano tali rituali ascetici, hanno poi dato il via ad un ordine di istituzioni burocratiche finanziate da vaste corporazioni e con dotazioni micro-controllate da uno staff di amministratori e procacciatori monastici. Per contrasto, le monache invece incarnano una profonda povertà materiale ed esemplificano il vero ‘non-attaccamento’ che il Buddha realmente insegnò.
Al giorno d’oggi, a Zangskar, le monache incarnano il vero auto-sacrificio sostenuto dal Buddha, perché vivono un regime quotidiano di distacco, di povertà e di servizio. Realmente vivono la dottrina che i loro fratelli monaci così abilmente dibattono, insegnano e trasmettono. Mentre la maggior parte delle monache vive in stanze semplici ed umili con solo pochi beni che possono essere chiamati loro propri possessi, i monaci vivono nel fasto e nello splendore ai vertici della gerarchia sociale e, peggio ancora, spirituale. I monaci sono trattati con ossequiose attenzioni dai paesani, che raramente danno più di un fugace pensiero alle condizioni dei monasteri femminili, a meno che non abbiano una figlia che vi risieda. Perseguendo molto strettamente l’umiltà e il distacco dalle cose materiali, le monache si avvicinano agli ideali buddhisti, nello stesso momento in cui perdono il rispetto e le attenzioni dei loro concittadini. La maggior parte delle persone in Zangskar a cui io l’ho chiesto, prega per poter rinascere come monaci. Essi credono che la vita da monaci possa permettere le migliori probabilità di rinascita nei campi del Buddha, da cui uno potrebbe sfuggire da tutte le ruote del Samsara. Poiché la ruota del karma scorre in avanti, le monache sono lasciate a lottare ai lati della strada polverosa, mentre i monaci la percorrono comodamente in veicoli fantastici. Però, è ancora troppo presto per conoscere chi raggiungerà prima il lontano obiettivo.

APPENDICE.
I Trentasei Voti dei Novizi.
1. Evitare di uccidere un essere umano.
2. Evitare di colpire o nuocere ad animali ed altri esseri viventi.
3. Evitare di usare acqua che contiene creature viventi.
4. Evitare l’uccisione di animali.
5. Evitare di rubare.
6. Evitare di indulgere in una cattiva condotta sessuale.
7. Evitare di dire menzogne.
8. Evitare di accusare [un monaco o monaca] di un difetto-radicale.
9. Evitare di calunniare [un monaco o monaca] con insinuazioni.
10. Evitare di generare uno scisma nella Comunità monastica (Sangha).
11. Evitare di seguire un tale scisma.
12. Evitare di dire una bugia deliberatamente.
13. Evitare di disturbare la fede dei capifamiglia.
14. Evitare di fare false accuse per favorire un amico.
15. Evitare la calunnia o la derisione.
16. Evitare di accusare [un monaco o monaca] di insegnare il Dharma per guadagno materiale.
17. Evitare di accusare [un monaco o monaca ] di commettere una residua trasgressione.
18. Evitare di disattendere ad un consiglio dell'insegnante.
19. Evitare di accettare alimenti che non sono idonei.
20. Evitare di bere birra ed alcoolici.
21. Evitare [ tutti ] i tipi di canto.
22. Evitare [ tutti ] i tipi di ballo.
23. Evitare di suonare gli strumenti musicali.
24 Evitare di portare [ tutti ] i tipi di ornamenti.
25. Evitare di usare profumi aromatici.
26. Evitare di usare costumi troppo colorati.
27. Evitare di portare indosso ghirlande, ecc.
28. Evitare di usare sedili alti o letti fastosi.
29. Evitare di dormire o di sedersi su sedili alti o letti fastosi.
30. Evitare di usare troni o basi alti più della lunghezza di un gomito.
31. Evitare di dormire o sedersi su basi o troni alti più della lunghezza di un gomito.
32. Evitare di mangiare alimenti dopo il mezzogiorno.
33. Evitare di accettare denaro, oro e argento.
34. Evitare di mantenere uno stile-di-vita delle persone laiche.
35. Evitare di abbandonare lo stile-di-vita del novizio.
36. Evitare di rifiutare il servizio al proprio abate o insegnante.

RINGRAZIAMENTI
I miei ringraziamenti soprattutto alle monache di Karsha ed a tutte le altre monache di Zangskar, per avermi ospitato con infinita compassione e pazienza, così come per le infinite tazze di tè al burro che non posso mai sperare di rimborsare nel corso di questa vita. Un Grazie a Sarah Levine ed a Becky Norman per le utili conversazioni su questo argomento.
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*Kim Gutschow, 2000. ‘Ordinazione per Monache Novizie: Retorica e Realtà del Monachesimo Femminile nell’India del nord-ovest’. In ‘Women’s Buddhism Buddhism’s Women: Tradition, Revision, Renewal’. Ellison Findly, Ed. Boston: Wisdom Books. Pp. 103-118.
*Articolo Tratto da http://www.gadenrelief.org/chu-novice.html
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Trad. dall’Inglese da Aliberth Meng- per conto del Centro Nirvana, Aprile 2008. Senza scopo di lucro.