Questo articolo discute una forma di pratica di meditazione conosciuta in cinese come hua-t'ou. Essa è stata resa popolare dal maestro Zen Cinese Ta-Hui (1089 - 1163) un membro della setta Zen Lin-Chi. Benché non sia esattamente stato lui ad inventare questo metodo di meditazione, Ta-Hui lo rese popolare, in quanto egli fu il primo ad insegnare una teoria del perché il ‘hua-t’ou’ dovrebbe essere praticato, e insegnò anche come usarlo nella pratica Zen.(2) In particolare, questo articolo discute di ciò che un hua-t'ou è, perché Ta-Hui mise molta importanza su di esso, e perché questa pratica possa essere di interesse per le persone di oggi. Io farò esempi di noti hua-t'ou, descriverò un modo di praticare questo metodo, e riporterò alcuni stati mentali che possono insorgere quando si fa la pratica. Inoltre offrirò alcune personali esperienze dalla mia trentennale pratica del hua-t'ou, (3) e farò considerazioni su che cosa significa avere un risveglio Zen. Poi elencherò i "Dieci Difetti" della pratica hua-t'ou di Ta-hui, e, infine, offrirò alcune considerazioni conclusive e le precauzioni relative all’avere un'esperienza di risveglio e l'importanza del continuare la pratica costante negli anni successivi. Che cosa è un Hua-t'ou? Il termine cinese Hua-t'ou può essere tradotto come "frase critica". Letteralmente esso significa "testa della parola" o il "punto oltre il quale discorso si esaurisce".(4) In Coreano, il hua-t'ou è conosciuto come ‘hwadu’ e in Giapponese come ‘wato’. In questo articolo userò esclusivamente il termine Cinese hua-t'ou. Un hua-t'ou è una breve frase (a volte una parte di un koan), che può essere presa come un soggetto di meditazione e di introspezione per focalizzare la mente in un modo particolare, tale da favorire l'illuminazione. Mentre il hua-t'ou e il koan (Cinese, kung-an) potrebbero sembrare simili perché alcuni hua-t'ou provengono da detti e storie tramandate dallo Zen più antico, come pure i koan, è importante che i due termini siano ben distinti. Koan significa "caso pubblico". Esso è un aneddoto, o una interazione attribuita ad un antico maestro nella tradizione Zen. "Caso pubblico" era inteso in un senso legale aperto agli occhi di tutti per verificare o valutare la propria comprensione dello Zen. Il Koan riguarda per lo più un incontro, spesso un dialogo, tra un Maestro Zen (5) e un interlocutore, il più delle volte uno studente Zen, ma può anche coinvolgere un laico. I vari Koan possono essere storie complesse con qualche ‘botta e risposta’ o grida, o addirittura con colpi fisici o calci tra il maestro e l'interlocutore. Essi sono per lo più conosciuti attraverso le ‘Raccolte di koan’, come ‘La Porta senza Porta’ (Mumonkan) o ‘La Raccolta della Roccia Blu’ (Hekiganroku) in cui i koan sono presentati con una introduzione poetica e un commento elaborato. Un hua-t'ou è tuttavia una frase statica, sempre breve, o una parte di un koan che può essere preso come soggetto di meditazione e di introspezione. Sebbene i vari insegnanti possano dare i loro insegnamenti usando un hua-t'ou, non ci sono delle raccolte standard di huat'ou con poesie e commentari spesso complessi, come nei koan che richiedono spiegazioni e una certa conoscenza dell'antica metafora Cinese. Anche se non molto conosciuta in ambienti occidentali Zen, la meditazione hua-t'ou è popolare nello Zen Coreano e Cinese. Sin da quando il famoso monaco Coreano Chinul (1158-1210) scoprì la meditazione hua-t'ou piuttosto tardi nella sua vita, essa fu la forma favorita di pratica per i monaci Zen Coreani fino ai giorni nostri. In Cina la pratica ebbe inizio già prima dell’11° secolo. Hsu-Yun (1840-1959), il più famoso monaco Zen degli ultimi due secoli, praticò e insegnò la meditazione hua-t'ou come la sua forma preferita di pratica meditativa (6). Il hua-t'ou, benché reso popolare molto tempo fa, è un buon metodo per le persone di oggi: non richiede un gruppo, o degli incontri regolari con l’insegnante, e oltre ad essere praticato nella formale meditazione seduta si può praticare, o dovrebbe in realtà essere praticato, durante il giorno, perfino durante l’attività lavorativa. Quindi, consente una pratica Zen a tempo pieno, vivendo e lavorando nel mondo. Le Basi del hua-t'ou di Ta-hui Qui, vorrei trattare con tre aspetti del metodo e della teoria del hua-t'ou di Ta-Hui, che allo stesso tempo lo rendono particolarmente indicato per i praticanti occidentali Zen contemporanei. Prima di tutto, Ta-Hui ha insistito sulla necessità di un reale momento di risveglio. Egli sentiva che la pratica del hua-t'ou era un mezzo efficace per raggiungere quel momento di risveglio. Secondariamente, Ta-Hui sentì anche che "la pratica hua-t'ou può essere svolta dai laici nel bel mezzo delle loro attività quotidiane"(7). E' chiaro che Ta-Hui voleva fare in modo che l'illuminazione Zen fosse disponibile ai laici così come per i monaci, così che i laici non fossero solamente i donatori per raccogliere i meriti per la vita futura, che era l'atteggiamento più popolare del suo tempo (8). In terzo luogo, il hua-t'ou è un modo di esaurire e mettere a tacere il pensiero razionale, permettendo così che la mente possa aprirsi alla saggezza Zen. (A) Un momento di risveglio è necessario - Ci sono due modi diversi di comprendere ed attualizzare la pratica Zen. Questi due differenti modi, in Cinese rispettivamente sono definiti pen-chueh e shih-chueh. Il termine pen-chueh - si riferisce alla logica convinzione che la mente di una persona è fin dall'inizio dei tempi completamente illuminata, mentre shih-chueh si riferisce alla convinzione che a un certo punto nel tempo noi passiamo dall’imprigionamento nell’ignoranza e nell’illusione ad una vera visione della realizzazione Zen: "La nostra illuminazione è senza tempo, eppure la nostra realizzazione di questo fatto si verifica nel tempo(9)". Secondo questo tipo di credenza, sperimentare un momento di risveglio in questa vita è di fondamentale importanza. Ta-Hui credeva nella visione shih-chueh, e quindi propagò e sistemizzò il metodo hua-t'ou così che i suoi discepoli potessero sperimentare un ‘momento di risveglio’. Ta-Hui sentiva che "se tutto dal principio è adeguatamente descritto come ‘risveglio’ (pen-chueh)", allora da ‘cosa’ Sakyamuni si risvegliò?(10)". Perché fu necessario che Sakyamuni lottasse per anni come un asceta prima di avere il suo risveglio? Ta-Hui così sentì che l'unico modo per preservare il paradosso di queste due credenze era di considerare che il "risveglio per la prima volta" (shih-chueh) in un dato momento del tempo, arriva dall’accordarsi con la mente che è "risvegliata fin dall’inizio” (pen-chueh). Secondo Ta-Hui, la convinzione della necessità di un ‘momento di risveglio’ è indispensabile ed essenziale, se uno si vuole impegnare nell pratica hua-t'ou (11). Anche se uno è intrinsecamente illuminato fin dal principio, la maggior parte delle persone non sa davvero che cosa questo significhi, da qui la necessità di un dato ‘momento di risveglio’. Egli sentiva anche: "Tutti i miriadi di dubbi non sono altro che un unico dubbio. Se si riesce a spezzare il dubbio che uno ha sul hua-t'ou, allora anche tutti i miriadi di dubbi saranno all’istante spazzati via (12)…” Ta-Hui valutava il metodo hua-t'ou perché sentiva che un momento di risveglio era fondamentale per la pratica Zen. Egli credeva che noi tutti potremmo sperimentare questo momento di risveglio, se per un istante potessimo essere liberi dal pensiero. Tuttavia, Ta-Hui sentiva che la libertà da tutti i pensieri è piena di insidie. Egli, di fatto, riteneva che il hua-t'ou avrebbe permesso agli studenti di apportare alle loro menti una condizione di prepararsi al momento del risveglio alla loro reale Natura, evitando così le insidie dell’essere liberi dai pensieri (13). (B) Praticare il Hua-T'ou - Oltre ad avere individualmente molti monaci come suoi studenti, Ta-Hui fu attratto e interessato all’insegnamento di eruditi discepoli che erano funzionari in Cina. Questi letterati (shih-tai-fu) erano l'elite dell'Impero, gente che contava nel paese (14). Nella primitiva parte della dinastia Sung (960-1279), lo Zen aveva implicitamente sottolineato lo studio del koan, che può aver fatto credere che solo i monaci potevano studiare pienamente lo Zen (15). La pratica del Hua-t'ou poi permise che anche i laici potessero pienamente studiare lo Zen, e raggiungere l'illuminazione in questa vita. È interessante notare che Ta-Hui istruì la maggior parte dei suoi studenti letterati laici attraverso scambi di missive. I letterati erano diffusi in tutta la Cina. Pertanto, essi solo raramente, se non mai, ebbero la possibilità di vedere personalmente Ta-Hui. Queste lettere sono state raccolte in forma di libro e sono una parte importante della formazione monastica per i monaci Coreani, fino ai giorni nostri (16). (C) Il Hua-T'ou come Equilibrio del Pensiero Razionale - I letterati ebbero posizioni importanti perché essi avevano superato esami altamente competitivi del servizio civile, il cui soggetto era ciò che Ta-Hui chiamava "i nove classici e le diciassette storie". I letterati erano pensatori altamente qualificati la cui formale educazione era iniziata all'età di cinque o sei anni ed era continuata fino a circa 30 anni. Inoltre, la loro educazione informale era successivamente continuata approfondendo la loro comprensione, davvero il lavoro di una vita. Ciò che aveva di più colpito Ta-Hui fu che l'educazione dei letterati aveva favorito un approccio razionale alla conoscenza e alla comprensione. Questa enfasi sulla mente intelligente e la grande quantità di apprendimento necessaria per superare lo stato degli esami deviava i letterati dal raggiungere l’auto-conoscenza di sé o lo sviluppo di un comportamento virtuoso o saggio, portandoli, invece, a concentrarsi sulla padronanza dei dettagli e del pensiero razionale (17). La ‘conoscenza’, per loro era una cosa acquisita dall'esterno. Secondo Ta-Hui, la saggezza Zen (Chan) può essere acquisita in un istante se la mente razionale è azzittita. Il concentrarsi sul hua-t'ou può portare il praticante a un punto in cui la mente che razionalizza e concettualizza si ferma, permettendo così alla persona di realizzare il risveglio Zen. Rilevanza della pratica del Hua-T'ou Oggigiorno - Ci sono evidenti paralleli tra i letterati che interessavano Ta-Hui e gli occidentali di oggi che sono interessati allo Zen. Per il primo, molti, se non la maggior parte dei praticanti Zen di oggi sono laici che ricoprono posti di lavoro con un certo livello di responsabilità. Poiché i letterati dovevano funzionare come laici nella loro vita di tutti i giorni, così come succede a molti praticanti Zen oggi. Inoltre, la maggior parte dei praticanti e delle persone interessate allo Zen di oggi sono ben istruiti e quasi tutti sono nati in un ambiente che valorizza il pensiero razionale, che è caratteristica delle tradizioni occidentali. Le persone di oggi hanno spesso paura di abbandonare il pensiero razionale, come invece Ta-Hui riteneva che fosse necessario con i letterati. Un altro aspetto degno di nota è l'esistenza di un numero crescente di persone interessate alla pratica spirituale, che non fanno parte di un centro di pratica settaria, specificatamente un centro Zen. Queste persone, benché sparse in tutto il paese, non partecipano di una comunità zen tanto quanto i letterati della dinastia Sung che erano diffusi in tutta la Cina. Sia a causa della preferenza personale o la posizione della propria casa o per le loro passate esperienze in giro per i centri di pratica, oggi queste persone stanno praticando da sole o tramite una comunicazione a distanza di un tipo o di un altro, il computer e il telefono, che oggi sono i mezzi più popolari. La mia opinione personale è che il metodo di meditazione del hua-t'ou ben si adatti oggi a molti praticanti Zen. Tuttavia, come detto sopra, ci sono due linee di pratica Zen. Una linea richiede la convinzione della necessità di un istante di risveglio, un momento preciso nel tempo, al fine di realizzare pienamente ciò che è realmente la nostra eterna Natura Originaria. Per quei praticanti di oggi che sentono questa Via, penso che il hua-t’ou sia particolarmente adatto. Per quelle persone che credono nel pen-chueh, e cioè che noi siamo già perfettamente illuminati fin dall’inizio, la ricerca di un momento di illuminazione in questa vita aggiunge solo problemi sotto forma di avidità per l'esperienza. Per queste persone, è assai più adatto lo shikantaza (cioè, la meditazione seduta), nella convinzione che lo zazen esprima la piena dotazione della realizzazione (18). Ora è anche vero che le persone che praticano shikantaza possono fare esperienza di un momento di risveglio, solo che non c’è un punto di focalizzarlo dall’inizio. Penso anche che esso sia adatto ad altre persone che si trovano nel dolore mentale o di fronte ad un problema esistenziale e vedono la meditazione come un modo per alleviare le loro sofferenze. Quando il loro dolore comincia ad alleggerirsi grazie al positivo feedback della meditazione, i loro pensieri possono rivolgersi all’interno per voler conoscere il loro vero sé. Sebbene queste persone abbiano iniziato con il voler alleviare le sofferenze, attraverso i frutti della meditazione le loro menti si rivoltano a voler conoscere la loro Vera Natura grazie all'esperienza del momento di risveglio. Una volta acquisita familiarità con il metodo, noi non ricercheremo più le numerose interviste private (sanzen o dokusan) con l’insegnante per considerare le centinaia di koan ed i loro commentari fatti, almeno in parte, in forma poetica, come nel caso in cui si passa attraverso un curriculum di koan in stile Giapponese. Una delle ragioni più importanti per praticare il hua-t'ou oggi è che, in quanto laici, esso ci permette di praticare durante buona parte delle nostre giornate, e non solo quando si sta seduti sul cuscino. La sua pratica richiede davvero che ci confrontiamo con le questioni importanti della vita, spesso durante l’attività quotidiana. La pratica ci impone di lavorare sul hua-t'ou tutto il giorno, in modo che il dubbio diventi parte della nostra vita, un dubbio fertile, a volte, che apparentemente lavora aldisotto del nostro livello di coscienza. Però, voglio essere molto chiaro, poiché non intendo dire che la pratica hua-t'ou sia migliore dell’illuminazione silenziosa favorita da alcuni affiliati praticanti del Chan in Cina, oppure dello shikantaza (19) favorito dalla setta Soto dello Zen in Giappone, e ora anche in Occidente, o passare attraverso un curriculum di koan come è nel caso del Rinzai o del Sanbokyodan Zen. E' meraviglioso che vi siano differenti metodi di pratica, che sono adatti a persone con mentalità, personalità, e convinzioni diverse. Esempi di Hua-t'ou Vediamo alcuni esempi di noti hua-t'ou: 1. "Cosa è questo?" - Questo hua-t'ou è popolare presso gli insegnanti Coreani. E presumibilmente proviene da una interazione tra il Sesto Patriarca del Chan, Hui-Neng (638-713) e un discepolo. 2. "Chi è che ripete il nome del Buddha?" - Questo hua-t'ou è popolare tra i Cinesi che spesso cantano il nome del Buddha Amitabha. Cantare il nome di Amitabha è una pratica della Terra Pura basata su devozione e fede nel Buddha Amitabha che porta a una rinascita migliore. La pratica hua-t'ou di esaminare "Chi è che ripete il nome del Buddha?" si trasforma in una pratica Zen che ricerca il Risveglio in questa stessa vita. 3. "Chi è che sta trascinando questo cadavere in giro?" - Questo Hua-t'ou fu reso popolare in tempi moderni da Hsu-Yun. Secondo la sua autobiografia, gli fu dato dal Maestro Yang-jing della setta Tian-tai. Hsu-Yun lo ha dato a molti altri suoi discepoli come loro primissima pratica (20). 4. "Chi sono io?" - Anche Ramana Maharshi, famoso maestro Indiano del 20°secolo, usava questa frase come un ‘focus’ nella meditazione con i suoi studenti, anche se la usava in un modo diverso. 5. "Qual era il mio volto originale prima che mio padre e mia madre erano nati?" - Questo hua-tou, o frase critica, è tratto dalle parole del Sesto Patriarca, Hui-Neng nel caso noto come "Non pensare al bene né al male". E' anche il noto Caso 23 nella collezione di koan ‘Mumonkan’. 6. "Che cos’è il Mu?" - Mu è il termine Giapponese del Cinese ‘Wu’, e sta per 'no', o 'non-c’è,' o 'nulla' o ‘vuoto-vacuità’. Esso è tratto dal caso koan, forse più famoso, conosciuto come il ‘Mu di Joshu'. Che è come segue: "Un monaco chiese a Joshu, 'Un cane ha la natura di Buddha o no?' Joshu rispose: 'Mu’." Joshu è il termine Giapponese del nome Cinese Chao-Chou (778 - 897), che era un famoso maestro Chan Cinese. Questo caso è spesso indicato come il primo koan per le persone che utilizzano lo stile del curriculum koan Giapponese. Questo Mu o Wu non è la risposta che ci si aspetta, poiché secondo l'insegnamento Zen tutti gli esseri senzienti hanno la Natura di Budda, ed il monaco che ha fatto la domanda lo avrebbe sicuramente saputo. Questo è il primo caso nel Mumonkan. Nell'esempio sopra citato, di Joshu e "Un cane ha la natura di Buddha o no?" Tutta la storia è un koan, mentre il hua-t'ou sarebbe il "no", o il comunemente praticato "Mu" e "Wu". Allo stesso modo, nell'esempio sopra col numero 5, l'intero caso del "non pensare al bene né al male” di cui, “qual’era il mio volto originale prima che mio padre e mia madre erano nati?" è solo una parte, l'intero caso è il koan, mentre il focus messo quando si pratica con questo hua-t'ou, è "Qual’era?". Così, quando si pratica con un hua-t'ou, uno concentra tutta la sua energia nel hua-t'ou, vale a dire, il "Chi?", il "Cosa?" o il “Qual è?”. In tal modo, egli genera una battuta d'arresto alle tendenze discriminanti della mente. Forse, il primo vero aspetto da notare è che tutti gli hua-t'ou sono delle domande che compaiono casualmente. Sembra quasi che esse vengano per prenderci in giro o per far sì che la nostra mente sia spinta a guardare più in profondità nella natura dell'essere e nel nostro stesso essere personale. Un altro aspetto da notare è che noi siamo il soggetto della pratica, questo corpo, questa mente, e non un qualche lontano essere. Entrare nella pratica hua-t'ou significa accettare che noi stessi si sia auto-criticati, o forse anche tormentati, con una fondamentale domanda sull'essere e sulla vita. Stiamo forzando noi stessi spingendoci in una situazione in cui è proprio necessario affrontare il nostro stesso essere. Questo non è tanto un tipo di processo per "sentirci-bene", infatti può essere molto frustrante, a volte perfino spaventoso, deludente e noioso, talora. Ma può anche essere fertile, perché ci porta a vedere la nostra vera natura e ci fa direttamente entrare nel mondo dello Zen. Un Metodo di praticare il Hua-t'ou nella Meditazione Zen La risposta veloce su come fare realmente la meditazione sul hua-t'ou è che bisogna essere concentrati sul hua-t'ou ripetendolo in silenzio con una mente interrogante, inconscia, indagante, investigante e introspettiva, una mente piena di meraviglia. Noi, all’inizio, ci concentriamo sull’intero hua-t'ou, ma una volta che il senso di esso è stabilito, ci concentriamo sul "Chi" o "Cosa", cercando di portare il hua-t'ou nella vita, affinché si generi il dubbio. Questa è la nuda e cruda descrizione del metodo, o almeno uno dei modi di fare la pratica. Prego tenere a mente che ci sono una serie di metodi diversi utilizzati per fare questa pratica in base al background spirituale del maestro e della esperienza personale (21). Inoltre, non si deve pensare che il lavorare su un hua-t'ou sia limitato alla meditazione seduta. Proprio come Ta-Hui che propagò il metodo avendo in mente i laici, in particolare laici che avevano posti di responsabilità, così noi possiamo considerare il metodo applicabile a qualsiasi persona di oggi che sia attiva nel lavoro. I laici erano istruiti per praticare il metodo durante la loro vita quotidiana, mentre erano impegnati nel mondo. Tuttavia, io penso che noi dovremmo eseguire la pratica in un contesto più ampio, per capire effettivamente come farlo in un modo che possa essere significativo ed efficace. In realtà, il fare la pratica richiede di avere familiarità con quella caratteristica che viene chiamata ‘I Tre Grandi’. Vale a dire: Grande Determinazione, Grande Fede, e Grande Dubbio (22). Grande Determinazione: Noi dobbiamo essere determinati a ‘vedere’, e risvegliarci alla nostra Vera Natura, cioè ‘Chi siamo veramente’. Dovremmo sentire che la cosa è importante e sentire un pressante e costante bisogno di risolvere questo problema. Il Buddhismo Mahayana, di cui lo Zen è un ramo, crede che ogni individuo abbia la "Natura di Buddha", cioè, che ogni persona sia originariamente illuminata, anche se solo pochi lo hanno realmente realizzato. Ciò che noi non abbiamo risvegliato circa questo è il nostro proprio fare. Quindi questo potrebbe o dovrebbe farci arrabbiare o disturbarci perché non realizziamo ciò che è nostro diritto per nascita. Non abbiamo realizzato questo proprio perché siamo stati distratti da ogni tipo di cose mondane: piaceri, carriera, soldi, viaggi, famiglia, sesso, fama, ecc. Questa insoddisfazione per il nostro stato di non-conoscenza può essere una forza o il motore che può trainare la nostra determinazione ed il dubbio su chi veramente siamo. Per poter sviluppare il desiderio dell'illuminazione, nel corso dei secoli Ta-Hui ed altri insegnanti Zen hanno sempre ricordato ai discepoli della loro morte che si avvicina ineluttabile. Noi dobbiamo essere disposti a spendere tempo ed energie per rispondere e per risolvere questo problema di chi siamo veramente, qual è la nostra vera Natura. Deve importarci. Se pensiamo "Oh, bene, sarebbe bello risvegliarsi, ma se non ci riesco, beh, questo va bene lo stesso", allora molto probabilmente con questo tipo di attitudine noi saremo privi di motivazione a voler fare progressi con il metodo. Oppure, se ci sediamo giù e aspettiamo pensando: "Forse un giorno riuscirò a risvegliarmi" anche questo non è l'atteggiamento migliore per la pratica hua-t'ou. Non appena la nostra pratica si sviluppa, noi dobbiamo raggiungere un punto in cui dovremmo essere determinati a realizzare la nostra vera natura in un momento di risveglio! Ora è anche vero che questa determinazione per il risveglio spesso cresce quando si pratica con diligenza. Allorché la pratica si approfondisce e noi gustiamo qualche frutto della pratica, la nostra passione per la conoscenza, e per il risveglio - aumenta. Eppure esso è ancora un passo o due o tre davanti a noi, e noi ancora non sappiamo ciò che dev’essere saputo, quindi la determinazione spesso diventa più intensa. Siccome la determinazione cresce e la pratica si approfondisce, a volte nel processo subentrano disagio del corpo, irritazione, frustrazione e delusione per noi stessi, o addirittura rabbia. Questo non è certo il momento di ritirarsi. Questo è proprio il momento di andare avanti con una rinnovata determinazione. E' importante che il praticante non abbia paura di questi stati né che si fermi o si tiri indietro. Può essere utile sapere che altri praticanti hanno affrontato questi problemi e hanno continuato ad andare avanti. In effetti, il praticante ad un certo punto deve diventare feroce nella sua determinazione, tagliare tutti i pensieri che lo distraggono e continuare a scavare nell’interno anche se andare avanti sembra difficile e tutto bloccato. A dispetto di tutte le difficoltà, egli deve mantenere o aumentare la propria determinazione di andare al fondo del problema di chi si è veramente, per vedere la propria vera natura. Tuttavia, per quanto determinato uno possa essere, una volta che si è nella pratica di esaminare il hua-t'ou, allo scopo di realizzare la nostra vera natura, noi dobbiamo dimenticare questa idea e solo esaminare il hua-t'ou con tutto il cuore. Se si lascia che sorgano pensieri sul risveglio, o ci si chiede quanto si è vicini o lontani dallo stato di risveglio, possiamo garantire che il risveglio non accadrà mai. Ta-Hui pose l'accento su due apparenti atteggiamenti mentali contraddittori, in cui si pensa che la pratica possa avere successo. Uno di questi era la definitiva e assoluta fede, e l'altro era il ‘dubbio’ (23). Vediamo un po’ più da vicino ciascuno di questi due aspetti che, in superficie, possono sembrare contraddittori. Grande Fede: noi dobbiamo credere che la pratica sia davvero efficace. Vale a dire, questa è una pratica che molte persone hanno fatto in passato e che molte persone fanno nel presente, che ha funzionato bene per loro, e soprattutto, che può lavorare bene per me. Dobbiamo credere che questa è una pratica valida e buona, ed avere chiaramente molta fiducia in questo particolare metodo (24). Di conseguenza, noi dobbiamo anche credere fortemente in noi stessi, avendo fiducia di poter fare con efficacia questa pratica così come altri hanno fatto in passato, e stanno facendo nel presente. Dobbiamo quindi avere fiducia in noi stessi ed avere un forte senso di ‘essere’, o di identità interiore. In caso contrario, come disse Lin-Chi, "Non faremo nient’altro che cercare al di fuori" (25). Se qualcuno pensa che lavorare con un hua-t'ou fosse una pratica terribile per i grandi praticanti di tanto tempo fa, o forse di alcune persone di oggi, e tuttavia pensa, "Io non conosco me stesso" ed anche "Io non sono un buon praticante, ecc…", e così via, allora è molto probabile che questa persona qui possa avere problemi e non andare molto lontano con il metodo. Noi abbiamo bisogno di sviluppare la fiducia in noi stessi, se vogliamo riuscire con successo in questo metodo. È importante sottolineare che dobbiamo credere nella nostra natura di Buddha e che il risveglio è un nostro diritto per nascita. Dobbiamo credere che fin dall'inizio noi siamo Buddha, come tutti gli altri (26), solo che non lo abbiamo ancora capito. Ogni persona ha essenzialmente la Natura di Buddha, e ha il potenziale per risvegliarsi ad essa. Applicandoci alla pratica con costanza ed energia, sicuramente la fede nella nostra Mente-Buddha crescerà. Dobbiamo perciò coltivare, sviluppare ed avere fiducia nella nostra originale Auto-natura, avendo fiducia in ciò che ancora non ci è noto con certezza. Quando pratichiamo il hua-t'ou e riceviamo un certo gusto per il rallentamento dei nostri pensieri, il hua-t'ou diventa più vivo, e la fede e la determinazione per il risveglio alla nostra Natura di Buddha diverranno più forti. E non si può dire che sia una fede cieca! Ta-Hui scrisse ad uno dei suoi studenti laici, "Retta fede e retta determinazione sono le vere basi del Buddha (27)" Grande Dubbio: Coltivare il dubbio è il principale componente chiave della pratica. Lin-Chi e altri hanno messo l'accento sulla fede, ma fu il genio creativo di Ta-Hui che pose il dubbio al centro della pratica del hua-t'ou. Il dubbio è l'inizio e la fine della pratica hua-t'ou. La meditazione sul hua-t'ou è totalmente basata sulla generazione del dubbio. Noi abbiamo bisogno di una grande fede nel nostro avere la Natura di Buddha, nel fatto che non c'è nulla da guadagnare e che noi fondamentalmente siamo già completi fin dall'inizio. Ciò è necessario, così che noi non si cerchi al di fuori per un qualcosa da guadagnare. Questa convinzione è anche uno strumento per la generazione del dubbio, perché noi non conosciamo con assoluta certezza. Senza che in noi si generi il dubbio, si dice che stiamo meditando su "parole morte", in contrasto al meditare su "parole vive", come quando la "sensazione di dubbio" sorge veramente. Quando il dubbio sorge, vi è letteralmente la sensazione di essere vivi, esso assume una energia e una vita propria, appare spontaneamente mentre i pensieri distraenti perdono il loro potere e, alla fine, essi spariscono completamente. Appena la sensazione del dubbio sorge e diventa più potente essa riempie il nostro intero essere fino a quando non vi è più nulla al mondo, se non il “Grande Dubbio” accompagnato da una grande energia. Esso diventa come una veloce locomotiva che corre lungo i binari. Se noi siamo in grado di stare con questo stato di "solo il dubbio", arriva un momento in cui il dubbio può rompersi e noi realizzeremo che la mente sta puntando allo stato di mente Zen. Però Ta-Hui non era cieco alla tradizionale comprensione buddhista del dubbio come ostacolo all'illuminazione. Il più grande ostacolo è il dubbio circa la Via, riguardo allo stesso Sentiero Buddhista. Ma Ta-Hui ebbe l'idea di un dubbio ulteriore. Egli credeva che tutti i dubbi sono in realtà un unico dubbio, e che un hua-t'ou è uno strumento che solleva i dubbi nella nostra mente. Egli era convinto che se noi concentriamo tutta la nostra attenzione su quell’unico dubbio, il hua-t'ou, e lo distruggiamo, allora tutti i nostri dubbi verrebbero distrutti in quel particolare momento (28). Vi è un detto sulla meditazione sul hua-t'ou che condensa i pensieri di Ta-Hui: > "Piccolo dubbio, piccolo risveglio; Grande Dubbio, grande risveglio; nessun dubbio, nessun risveglio"(29). Consigli specifici per Lavorare con un Hua-T'ou E’ opportuno tenere a mente che questo è solo un metodo che si adatta ad alcune persone. Io non voglio in alcun modo dire che questo è un metodo per tutti, o che esso sia il metodo migliore. Ci sono anche altri metodi - che sono più adatti per altre persone. Ognuno deve trovare il modo di pratica che è più adatto a noi stessi per disposizione e mentalità. La pratica del metodo hua-t'ou, comunque, inizia e finisce con il sorgere del dubbio. Vorrei anche sottolineare che ci sono molti modi diversi di lavorare su un hua-t'ou, e qui io sto dando solo un modo. Quando dico "il metodo hua-t'ou", intendo un certo modo di lavorare con un hua-tou, non l'unico modo. Tuttavia, comune ad ogni modo di lavorare con un hua-to'ou che io abbia mai sentito menzionare, come pure come risultato della mia esperienza personale, il sorgere del dubbio e quindi il coltivare il piccolo dubbio in Grande Dubbio è la chiave per sperimentare il risveglio. Anche se qui sotto citerò un certo numero di diversi stati mentali che potrebbero insorgere, l'esperienza di ogni persona sarà diversa. Non si dovrebbe confrontare e misurare la propria esperienza della pratica con gli altri, ma piuttosto, si dovrebbero concentrare tutte le proprie energie sul hua-t'ou, dando se stessi completamente al metodo. Non siate interessati al cibo di qualcun’altro. Io cito solamente alcuni diversi stati mentali in modo che la gente possa conoscere questi stati che possono insorgere e non vi è alcun motivo di farsi prendere dal panico o pensare che stia accadendo qualcosa di particolarmente strano o unico. Per essere assolutamente chiaro, in questo metodo noi ci concentriamo sul hua-t’ou, lo esaminiamo, lo investighiamo, e penetriamo nel nostro hua-t'ou con l'intenzione di coltivare il dubbio. Ma è importante "non rivolgersi alle cose esterne e dare adito a altre forme di dubbi. Il dubbio può distruggere i dubbi, ma solo se tutta la nostra energia dubitante è totalmente concentrata su questo unico dubbio, e stando nella condizione di far sorgere la sensazione di dubbio. Che questa è la funzione del hua-t'ou"-(30). Un aspetto importante di qualsiasi pratica di meditazione è la respirazione. In effetti ci sono molte forme di meditazione che, in un modo o nell'altro, si concentrano in primis sul respiro. Con la pratica del hua-t'ou, anche se il respiro non è l'obiettivo primario, abbiamo ancora bisogno di respirare. Vi consiglio di NON sincronizzare il vostro respiro con l’interrogare o indagare il hua-t'ou. Questo può portare problemi di respirazione e di sforzo e costrizioni nel corpo e spesso nel volto. Alcune persone possono anche contrarre i muscoli del viso e digrignare i denti. Questo dovrebbe essere assolutamente evitato. Se diventiamo consapevoli di costrizione dei muscoli, soprattutto muscoli del viso e del digrignare i denti, allora dovremmo smettere di esaminare il hua-t'ou. Invece, si presti attenzione a rilassare i muscoli tesi. Quando i muscoli sono rilassati si continuerà ad esaminare il hua-t'ou. Mantenere un’attitudine rilassata, anche se si è in uno stato inconscio e indagatore. Approcciare il hua-t'ou in modo amichevole, o come quando si vuole conoscere qualcuno o qualcosa che ancora non si comprende. Non c'è bisogno di considerare il hua-t'ou come un nemico da attaccare, e che noi vorremmo distruggere. Assai probabilmente con questo tipo di atteggiamento noi ci esauriremo e ci procureremo ogni sorta di problemi. Non vi è alcuna necessità di forzare il processo con un costante, continuo ed ininterrotto interrogatorio, poiché alla fine il dubbio sorgerà e genererà energia e potere. Quindi, gentilmente inquisite ed indagate il hua-t'ou costantemente. Non lasciate che i pensieri vaganti insorgano negli spazi tra l’indagine ed il hua-t'ou, cercando di mantenere il senso di dubbio o di non-conoscenza. Continuate a investigare in modo agevole e senza interruzioni. Non abbiamo bisogno di accelerare l'investigazione sul hua-t'ou in modo da ridurre lo spazio tra i nostri interrogativi. Questo metodo troppo facilmente conduce a trattare il hua-t'ou come un mantra. Il punto importante è che non vi siano pensieri che penetrano negli spazi tra l’investigazione nel hua-t'ou. La dimensione dello spazio che c’è tra le investigazioni sul hua-t'ou non è importante, fino a che si mantiene il senso del hua-t'ou e non si fanno entrare i pensieri (31). Con il metodo del hua-t'ou, se riusciamo a rimanere concentrati sull'esaminare o sul guardare all’interno o sull’investigare il hua-t'ou, i pensieri cominciano a diminuire ed a perdere il loro potere di trascinarci giù nel loro dramma, per così dire. Tutti i nostri pensieri hanno un senso di "me" come base – un ‘me’ che pensa sempre al passato o al futuro, o a qualche lieve e prevista felicità, e così via. Come in molte altre forme di meditazione, con la focalizzazione su un punto, anche qui il hua-t'ou può calmare la mente. Noi dovremmo concentrarci sul "Chi?" o su "Cosa?", con un tipo di mente inconscia ed interrogativa e lasciare che gli altri pensieri sguscino via. Noi dobbiamo definitivamente non seguire i pensieri, non entrare nel processo del pensiero e non creare una catena di pensieri e storie varie. Se poi cadiamo in una catena di pensieri, allorché ce ne rendiamo conto, allora noi delicatamente li lasciamo andare e torniamo al hua-t'ou con una mente indagatrice e gentile ed un corpo rilassato. Stati Mentali che possono Sorgere durante la Pratica Hua-T'ou Per le persone, fin dalle prime fasi della meditazione sul hua-t'ou, si presenteranno delle risposte, ma queste dovrebbero essere respinte, come qualsiasi tipo di esito finale, non importa quanto saggio o compassionevole esso possa sembrare. Riconoscere queste risposte come semi di verità che continueranno a germogliare, finché si continua la pratica. Questo spesso accade all'inizio perché sembra naturale, o perché è facile focalizzare, o voler conoscere il significato, cioè, il nostro intelletto è il primo strumento con cui affrontare il problema. Ma questa reazione alla fine si ferma. Questo è uno stato desiderato anche se non sempre così piacevole. Quando le risposte cesseranno di presentarsi, il hua-t'ou può apparire privo di gusto, piatto e noioso, perché il Dubbio non è ancora diventato vivo. Esso è detto "privo di gusto", perché per la mente discriminante non c'è nulla a cui collegarlo (32). L'attenzione dovrebbe quindi rigorosamente porsi sulla parola: "Chi?" o "Cosa?". Lo studente, però deve continuare, nonostante il hua-t'ou possa apparire insapore. Se si esamina il hua-t'ou per il significato, esso a volte è indicato come "parola morta", quando è composto di comprensione concettuale. Quando il hua-t'ou viene esaminato solo come la parola stessa, allora lo si definisce "parola viva". La "parola viva" è un'arma che può distruggere i difetti del concettualizzare. L’investigazione della sola parola non consente la comprensione intellettuale, così è molto più difficile. Questo può essere un buon punto per dire che se si calma la mente ed i pensieri erranti diventano di meno, e quei pensieri hanno meno potere per avere la nostra attenzione, allora noi stiamo anche perdendo il senso del mondo ed il nostro posto in quel mondo che abbiamo creato nella nostra mente. Vale a dire, noi costruiamo il mondo con i nostri pensieri e prendiamo il nostro posto nel mondo in questo modo. Io posso pensare che incontrerò il mio amico la prossima settimana, pensare di fare una commissione questa sera tardi, e andare a lavorare la mattina, e parlare con mia moglie, e così via. Tutto questo è abbastanza normale, e questo è quello che noi pensiamo di essere. E' soddisfacente come ci lascia conoscere in un certo modo chi e che cosa siamo nel mondo. Non è però del tutto soddisfacente il fatto che noi siamo ancora insicuri della nostra natura essenziale, e spesso lascia tutti noi con una fastidiosa sensazione di incertezza e di dubbio di chi siamo veramente. Ed è proprio questa corrente sotterranea di dubbio assillante che dev’essere coltivato nel metodo hua-t'ou. Molte persone imparano a ricoprire abbastanza bene e con svariati mezzi questo fastidioso sottofondo di dubbio, perfino con la meditazione, ma ciò dovrebbe essere assolutamente evitato. Anche qui, è questa sensazione di incertezza, di non sapere con certezza chi siamo veramente, che deve essere coltivato nel metodo del hua-t'ou. E' necessario rendere questo: "Chi?" o "Cosa?" una ‘parola viva’, in modo che un piccolo e occasionale dubbio, spesso solamente assillante, diventi un Grande Dubbio vivente per distruggere tutti i nostri dubbi. Allorché la mente si acquieta, ed i pensieri vaganti cessano o perdono il loro potere di attrazione, questo fatto può essere spaventoso per molti perché ci si sente persi, perfino perdendo la sensazione di essere una persona. A seconda di quanto è forte il senso di sé che noi abbiamo e come e quanto velocemente il hua-t'ou è diventato vivo e i pensieri siano fortemente diminuiti, ciò determinerà il modo in cui reagire a questo stato. Questo accade in diversi punti del processo a seconda delle persone. Con alcune persone ciò avviene molto rapidamente, prima che il dubbio abbia un qualche potere reale. Sembra che queste persone diventino fin troppo turbate e scosse, diventando psicologicamente disturbate. Il metodo hua-tou può non essere la migliore pratica per queste persone. Con altre, succede soltanto molto avanti nel processo, ma è qualcosa che la maggior parte delle persone, se non tutte, dovranno incontrare. Entriamo in una situazione in cui i pensieri divaganti hanno perso il loro potere, o lo hanno rallentato quasi completamente, o sono stati del tutto eliminati. Il hua-t'ou diventa vivo e sta andando da solo, mentre il Grande Dubbio si sviluppa spontaneamente e rapidamente, ma ora non abbiamo più i marcatori mentali di cui abbiamo parlato sopra che ci raccontano del nostro posto nel mondo. Tutti i piani ed i programmi per il domani, o i pensieri su ciò che abbiamo fatto la scorsa settimana, vale a dire, i nostri processi di pensiero ordinario, che ci danno anche il nostro senso costruito mentalmente di ciò che siamo, se ne saranno andati. Le nostre ordinarie idee di chi e che cosa noi siamo, chiaramente non sono più presenti o sono lì solo in una forma molto debole. La mente del pensiero razionale e delle distinzioni non è più funzionante. Allo stesso tempo, il Dubbio è vivo e va da solo, spesso con molta forza. Questo può essere realmente assai spaventoso – essendoci la sensazione che noi stessi si vada via con un ZAPP, cadendo in un buco nero o sparendo nel vuoto di una vacuità, così da non esistere più, di non tornare mai più indietro. Una grande paura di cadere nel vuoto può insorgere, con la sensazione che proprio si scomparirà. Io penso che, a questo punto, per la maggior parte delle persone sia comune fermare il processo, avendo esse paura. Ci sono molti modi per farlo: basta far sorgere un pensiero di qualsiasi tipo, o generare l'idea che si vuol fare una breve pausa e continuare più tardi, oppure ridere, o generare un pensiero di tipo elevato o assai compassionevole, o un qualche pensiero di gratitudine verso qualcuno o verso una certa situazione, o piangere per un qualsiasi motivo, e così via. Spesso, questi pensieri saranno o sembreranno elevati o spirituali, ma alla fine il loro scopo è solo quello di fermare la paura. E purtroppo funziona sempre! Cioè, essi riportano un senso del sé. Tuttavia, è raro che si sarà immediatamente in grado di tornare allo stato concentrato in cui si era quando la paura in voi ha avuto la meglio. A quel punto, però, il potere e l'energia acquisiti con la vivida e continuata pratica sarà interrotta e persa. Tuttavia, percorrere questo processo un certo numero di volte, forse molte volte, può renderci più determinati a non fermarci la volta successiva, più determinati a superare la paura quando si ripresenta, più frustrati o arrabbiati con noi stessi per aver fermato brevemente la realizzazione di chi siamo veramente. Non dobbiamo per paura rinunciare o impedirci di ottenere il meglio di noi. Io credo che mantenere la pratica e accrescere realmente la nostra determinazione, nonostante lo stop a causa della paura, sia uno dei motivi per cui è così importante coltivare una grande fede. La Grande Fede è la fiducia nella nostra originaria Natura di Buddha, fiducia nell'efficacia del metodo hua-t'ou e fiducia e convinzione che anche noi possiamo risvegliare la nostra natura. D'altra parte, si può constatare quanto sia facile per noi ritenersi soddisfatti. Dopo aver acquisito un po’ di potere e senso di benessere, possiamo sentirci soddisfatti con noi stessi. Noi perdiamo lo stimolo, il vigore e la necessità di vedere davvero chi siamo. Forse perdiamo la determinazione necessaria per confrontarci e ancora una volta passiamo attraverso la paura di cadere nel vuoto. E’ la stessa cosa di essere soddisfatti con una macchina che corre con tre cilindri quando in realtà essa ne ha sei. Un'altra possibilità è quando la mente si acquieta e quasi si ferma, mentre i pensieri perdono il loro potere di attrarre, ed allora uno può entrare in stati molto piacevoli, stati di calma e un senso di purezza, o scivolare in uno stato di immobilità, di pace, con un conseguente senso di autocontrollo. Anche se spesso si sente dire che, nella meditazione buddhista, questi piacevoli stati di pace e di quiete sono desiderati, nel contesto della pratica hua-t'ou non dovremmo lasciarci sviare da questi stati assai soddisfacenti in cui il hua-t'ou è perso; dovremmo essere consapevoli del fatto che questi piaceri possono essere estremamente affascinanti e gradevoli. Questi stati piacevoli e gli stati silenziosi e tranquilli possono essere in effetti molto accattivanti, e una volta che ci si è entrati sono molto difficili da abbandonare. Anche se questi stati mostrano che la mente si è stabilizzata ed è stabile, non dobbiamo dimenticare che il metodo hua-t'ou si basa sul sorgere del dubbio. Rimanere in invitanti o puri stati emotivi non costituisce una condizione di dubbio, né essi sono utili al fine di far sorgere il dubbio. Questi stati dovrebbero essere riconosciuti appena si presentano, ma non ci si deve indugiare, perché essi sono molto seducenti, ma non consentono di far sorgere il dubbio. Quindi, è molto meglio evitare questi stati da parte di coloro che usano il metodo hua-t'ou. Per quanto siano piacevoli e stabili, dal punto di vista della pratica hua-t'ou, queste condizioni sono solo una perdita di tempo. Per di più, dal momento che molti praticanti sono dei laici che vivono una vita attiva, può esserci un desiderio di sfuggire alle pressioni quotidiane della vita mondana e di ritirarsi nel silenzio e nella quiete, di ritirarsi realmente dal mondo. Ma, la quiete che è l'opposto del movimento, la tranquillità intesa come l'opposto del disturbo, è solo una illusione di tranquillità, non è una mente veramente pacificata. Una pratica che ricerca la tranquillità è in realtà una forma di attaccamento al momento presente e allo stato mentale. Questo a volte è indicato come l’entrare in una grotta fantasma. Ta-Hui, in una lettera ad uno studente, dice che nella seduta di quiete, il problema non è la pratica stessa, ma il fatto che la quiete della mente può essere presa per il principio ultimo stesso(33). Ta-Hui vedeva che il rifugiarsi nel silenzio e nella quiete era un problema particolare per le persone sotto pressione e impegnate nel mondo. Egli temeva che quando essi "raggiungono uno stato di non avere problemi nel loro petto, si attaccano a questo stato e pensano che esso sia la gioia più alta e la pace definitiva"(34). Infatti, io stesso ho conosciuto un uomo che aveva un impegnativo lavoro tecnico nel campo dei computers. Egli aveva anche la capacità di entrare in stati silenziosi e tranquilli a volte per ore. In un modo simile alla situazione che Ta-Hui menziona sopra, questo tizio insisteva erroneamente che questa condizione era l'illuminazione Zen. Un altro punto da ricordare è che quando si fa la pratica del hua-t'ou, momento per momento, noi non sappiamo cosa ci sarà dopo. Penso che sia importante essere a proprio agio con questo pensiero. Quando meditiamo, se le cose non vanno bene, o se ci sentiamo stanchi o agitati, o qualsiasi altra cosa, noi non dobbiamo pensare che questa sia una perdita di tempo, oppure che ora forse mi fermo e riproverò più tardi o domani. Bisogna soltanto tornare al metodo, qualunque sia il metodo. In un lampo, questo stato può cambiare. E' impossibile sapere cosa ci sarà nel momento successivo! Possiamo cominciare ad essere stanchi o offuscati o agitati, oppure con una sensazione di malessere, o ordinaria, e un attimo dopo la mente sarà chiara e concentrata, e viceversa. Accettando il fatto che non conosciamo cosa porterà il momento successivo, noi ci sentiremo meno sotto pressione per giudicare la nostra meditazione, ci abitueremo all’incertezza, che è un aspetto della vita, continueremo a rimanere con il hua-t'ou -benché non vi sia alcuna chiara tabella di marcia, e risolveremo il problema logico della mente ad un livello di corto-circuito. Anche se guardiamo al "Chi?" o "Cosa?" con una mente investigante, noi vorremmo anche conoscere - essere determinati a risolvere il dubbio sollevato dal hua-t'ou. Ta-Hui, infatti, ripeteva ai suoi allievi di ricordarsi sempre della loro morte imminente e il loro non sapere chi essi fossero, così da far sentire loro la necessità di rompere il muro dell’ignoranza attraverso il loro hua-t'ou. Esso, tuttavia, può non essere capito dalla mente razionale – se non si conosce che cosa è X nell'equazione XY + Y = 124 se Y = 6. Come accennato in precedenza, all'inizio del processo, spesso appaiono le risposte apparentemente razionali, tuttavia, esse devono essere respinte. Dobbiamo comunque aver fede nel fatto che il hua-t'ou è una questione che può essere risolta e che è importante risolverla. Dobbiamo pensare che è il hua-t'ou che ci risponderà, non noi che rispondiamo ad esso(35). Non c'è davvero nessun trucco segreto per la pratica. Noi dobbiamo solo continuare a sondare sempre più in profondità, lasciando perdere "discussione e pensiero", chiedendo e investigando, così raggiungeremo un punto che Ta-Hui descrive come "un punto in cui non c’è alcun punto in cui mettere il proprio piede o mano". Egli dice, "le persone non vogliono credere che là ove non c'è un punto su cui mettere mani e piedi sia davvero una buona situazione"(36). Noi dobbiamo continuare a sondare, non essendo mai soddisfatti fino a quando il dubbio non sia sorto, e crescendo diventi il Grande Dubbio, e fino a quando questo dubbio non consumi tutti noi, fino a quando non vi sia più nulla, se non il dubbio. Quindi, il più debole o il più sottile attaccamento ad un sé dovrà essere eliminato. E tutto, fuorché il dubbio, dovrà essere completamente eliminato, abbandonato totalmente. Ta-Hui ci dice, "tutto in una volta, annientate ogni qualsiasi splendida cosa"(37). Se uno può stare con questo Grande Dubbio, questo dubbio che tutto consuma, nel tempo, in un istante, egli alla fine potrà romperlo e farlo collassare, aprendo così il mondo dello Zen. Cosa più importante, noi dobbiamo mettere da parte ogni pensiero che si aspetta o che cerca di anticipare il risveglio, o che si verifichi una frattura. Tutto quello che dobbiamo fare è continuare a tornare al hua-t'ou. Dopo tutto, ogni tale pensiero che anticipa il risveglio si basa su un pensiero del sé. Se noi manteniamo un pensiero che si aspetta un risveglio, quel risveglio non arriverà mai! Dobbiamo quindi metter via tutti i pensieri, tutte le discriminazioni logiche, ogni tipo di pensieri di bene e di male, di amore e odio, di amore per la vita e di timore per la morte, tutti i pensieri di "io", non importa quanto sottile quel pensiero possa essere, di comprensione, di opinioni, e di conoscenza, ogni compiacimento della tranquillità o di attaccamento alla purezza o di allontanamento dai disturbi. Assolutamente ogni cosa deve essere messa via fino a che solamente il dubbio rimane. Come è stato detto in precedenza, la pratica hua-t'ou non è solo nella meditazione seduta. Noi dobbiamo mantenere ed esaminare il dubbio, per quanto più è possibile. Ma vorrei aggiungere un forte avvertimento, e cioè, siccome la maggior parte delle persone vivono in città con auto e traffico e altri elementi che richiedono attenzione, quando fanno la pratica esse dovranno anche essere sensibili e responsabili. Questa avvertenza non può essere gridata a gran voce. Non dobbiamo investigare il nostro hua-t'ou durante la guida di un auto o di qualsiasi altro veicolo, quando si cammina in una situazione di traffico intenso o quando si guida una bicicletta o mentre si sta usando un macchinario pericoloso, o qualcosa di simile. Conosco qualcuno che non ha preso sul serio questo avvertimento e guardando nel suo hua-t'ou, ha guidato la sua bicicletta addosso ad una macchina. Per fortuna, lei non si è fatta troppo male, ma abbastanza male sì. In effetti, questa donna è stata fortunata dato che non si è uccisa. Per favore, se decidiamo di fare questa pratica, facciamola con saggezza. Sì, quando le circostanze lo permettono, dobbiamo mantenere lo studio del hua-t'ou investigandolo per quanto ci viene permesso dalla situazione. Ho trovato che c'è un certo potere nell’investigazione quando è fatta mentre si mangia, o si va nel bagno. Un altro momento che può essere particolarmente fruttuoso è quello di mantenere l’indagine sul hua-t'ou mentre si è a letto per andare a dormire. Non è raro poi che ci si svegli al mattino con il hua-t'ou in esecuzione nella nostra mente. Questo mi ha fatto a volte sentire a disagio, di svegliarmi dal sonno in uno stato di dubbio con il hua-t'ou che andava da solo. L'Esperienza Personale di Praticare il Hua-T'ou Un altro stato mentale che può insorgere è la rabbia. Nel mio caso, mi vengono in mente momenti in cui è insorta la rabbia. Un esempio è quando ero in un ritiro di gruppo - probabilmente la quinta notte di un ritiro di sette giorni. In questo luogo, il maestro, Shifu Sheng Yen ha tenuto ogni notte una conferenza per circa 45 minuti. In questa particolare notte, egli menzionò la parola "io", e poi continuò a parlarne. Una quindicina di minuti dopo, concluso il suo intervento, abbiamo cominciato a meditare per il periodo notturno. Appena ho iniziato la seduta, la parola "io" mi é venuta in mente e ho pensato qualcosa tipo: "Che razza di merdosa parola è questa. Non significa niente!" Ero letteralmente furioso per la parola o idea, e continuavo a ripeterla, gridando in silenzio dentro di me, "è una stronzata, è una stronzata!". In qualche modo, poi sono passato al hua-t'ou, e tutta l'energia e la rabbia si sono spostate verso il hua-t'ou. Ero totalmente concentrato e eccitato sul hua-t'ou, con la rabbia e l'energia concentrata nel dubbio. Immediatamente non ci fu più niente, se non il dubbio, tutto il resto svanì, e restò soltanto questo guidato, forte Dubbio. Ad un certo punto, esso si ruppe e si aprì. Non so quanto tempo rimasi in quello stato. Poi, ad un certo punto riapparve il pensiero, "Ora, devo lasciarlo". E proprio in quel momento la campana suonò per concludere l'ultimo periodo di meditazione della notte. Questo stato continuò dopo il suono della campanella, sebbene io riconoscessi le persone e la stessa sala di meditazione. Era proprio come se tutto sembrava facile e appariva chiaro e anche un po’ strano o divertente. Dopo, ci fu un breve servizio di chiusura, che avveniva alla fine di ogni notte. Sono andato da Shifu dicendogli che volevo vederlo in privato. Entrammo in una stanza separata e lui mi chiese che cosa era successo, io glielo dissi, e lui mi rivolse alcune domande che io ora non ricordo, tranne che erano facili da rispondere. Erano facili da rispondere, perché era tutto chiaro, non c'era da dover capire, solo da rispondere (38). Così egli confermò la mia esperienza. Questo si chiama "vedere la natura" nella tradizione di Shifu Sheng Yen. In un'altra occasione, io stavo facendo un ritiro di sette giorni da solo, a casa mia. Durante la seduta pomeridiana del quinto o sesto giorno le cose sembravano essere abbastanza stabilizzate. In una certa ora del pomeriggio, alquanto rapidamente, una impellente rabbia arrivò nel bel mezzo del hua-t'ou. Ero arrabbiato, realmente infuriato per il non conoscere, per il dubbio sul hua-t'ou. Divenni progressivamente più forte e pieno di energia e di stimolo. Tutto quanto, fuorché il dubbio, era completamente andato - c'era solo un furioso dubbio. Io non so quanto tempo ciò sia durato, ma un po’ più avanti verso la fine della giornata esso esplose aprendosi. E come fu questa esperienza dell’apertura del hua-t'ou? L'esperienza fu di vacuità, vacuità di ‘Cosa’ o ‘Chi’ io mi consideravo essere e vacuità degli altri e delle cose. Ad un certo punto, mi è sembrato molto divertente l’aver preso me stesso come tutto quello che pensavo di essere. Ed era la stessa considerazione che applicavo per gli altri. Sembrava completamente ridicolo o comicamente sciocco quel che avevo fatto. Era esattamente come è dichiarato nel ‘Sutra del Cuore’, "la forma è vuota e il vuoto è forma". Fu una forte realizzazione del fatto che il Sutra del Cuore aveva davvero descritto le cose proprio così come sono. Era anche chiaro che non c’è veramente nulla da ottenere, perciò che cosa mai era quella grande lotta? Questo sembrava anche divertente. Sembrava come se fosse un eterno presente sempre costante - non c'era il tempo. Il primo stato di rabbia che ho descritto sopra successe molti anni fa, e per questo non vorrei andare troppo nel dettaglio. Nella tradizione Zen questi stati non sono descritti in dettaglio, e sicuramente per non aggrapparcisi. Io ho avuto esperienze prima di questa, che essenzialmente sono state completamente dimenticate. Aggrapparsi alle esperienze e ricordarle è un modo di vivere nel passato, invece di muoversi con la vita. Si può cadere nel tentativo anche di ripetere nuovamente l'esperienza, di ricrearla, ma anche che si sta cercando di rivivere il passato. Alcune di quelle esperienze rimangono, anche se nella maggior parte dei casi, nel tempo non sono più quello che erano in origine. Quello che sembrava rimanere di più, in questo caso era un collegamento con il mondo - un senso di intimità o di essere nel mondo. Tuttavia, in un certo senso esso diventa memoria. Questa era un’esperienza minore nel cammino Zen, anche se è importante avere esperienze dirette. Oltre ad avere una esperienza diretta di ciò che lo Zen è, queste esperienze sono importanti perché rafforzano la nostra fede nella dottrina (il Dharma), e la fede nella pratica. Dopo aver avuto esperienze dirette, lo Zen non è più una fede cieca o basata su un qualcosa che sembra corretto o ragionevole. Né è la filosofia o gli insegnamenti e le attraenti storielle. Piuttosto, lo Zen è ora digerito. Esso è nelle nostre ossa e lo Zen ha messo radici. Sappiamo che ciò che la tradizione Zen sta dicendo e indicando è vero. Questa è la stessa fede di come il Dharma si manifesta in noi, cioè la veritiera consapevolezza della Mente stessa. Dopo un risveglio Zen, il hua-t'ou perderà tutto il suo potere, almeno per un certo tempo. Questa è un'esperienza comune. Era impossibile che sorgesse un qualsiasi senso di dubbio, così quando mi sedevo, facevo shikantaza (solo seduta). Io volevo provare il hua-t'ou periodicamente, ma penso che sia passata una settimana o due prima che qualsiasi sensazione di dubbio sia sorta. E sono abbastanza certo che dopo due settimane stavo lavorando ancora sullo stesso hua-t'ou. Credo che questo sia comune nello Zen Cinese e Coreano, che è il fatto di rimanere con lo stesso hua-t'ou dopo aver avuto un’esperienza Zen (39). La speranza è che si possa avere una più profonda esperienza in un periodo successivo. Da questa prospettiva, un hua-t'ou è buono come qualsiasi altro. Diverso è invece nello Zen Rinzai Giapponese e nella nuova setta Zen Sanbokyodan che è popolare in Occidente, in cui gli studenti passano attraverso un corso di koan o un programma composto da 200 o forse 300 o più koan, nonché altro materiale. Tuttavia, passare attraverso un corso di koan non significa che qualcuno in realtà abbia un risveglio mentre si lavora su ogni koan. Vi è pur un certo ‘venir-smossi’ andando avanti nel curriculum, imparando a parlare in modo Zen, ottenendo una visione intellettuale dei koan, e tenendo un notebook scritto sui vari koan che contengono materiale per lo più proveniente dalle interviste private (Giap. sanzen o dokusan ) con il maestro, senza dubbio per riferimenti futuri. Si dice che Hakuin, il famoso restauratore del 18° secolo del Rinzai Zen Giapponese abbia avuto quindici esperienze maggiori e qualcosa come 70 esperienze minori, prima di "mettere il bue a riposo". Anche il maestro Cinese Ta-Hui ha avuto molte esperienze e gli fu chiesto di essere guida in un grande monastero, ma egli rifiutò perché aveva ancora alcune domande sulla sua pratica. Non dobbiamo dare troppa importanza a piccole aperture, o anche a molte aperture. Il punto più importante è quanto bene la pratica e il risveglio si integrano nella nostra vita, diventando Zen. Troppo spesso abbiamo visto come questo non sia il caso con lo Zen in Occidente negli ultimi quarantacinque anni, al contrario esso è spesso visto per lo più come una attività, mentre si sta "seduti su un cuscino", con scarsa attenzione prestata ad integrarlo nella vita quotidiana o al suo vero significato. Significato del Risveglio Zen Con "vedere la natura", le scritture Zen si riferiscono al fatto di avere un’esperienza di "non-io", che è l'esperienza di cui ho parlato in precedenza. In precedenza, l'ho descritto in termini di vedere chiaramente che "la forma è vuoto" e così via. Queste idee mi sono venute subito dopo la campanella. Sembravano piacevoli e divertenti perché mi sembrava tutto così semplice e così ovvio. Il riconoscere che qualcosa era sempre stata lì ma non si vede così chiaramente mi riempì di gioia. E questo, da un certo punto di vista, è considerato l'inizio della pratica. Questa esperienza non deve assolutamente essere considerata il culmine della pratica! Il secondo esempio di cui sopra, dell’energia scaturita dalla rabbia crescente durante la meditazione, che porta alla rottura e apertura del hua-t'ou, non fu poi tanto una esperienza di "non-io", anche se essa ci fu, quanto piuttosto, come vedere il mondo come un’interconnessa totalità nel web dinamico di tutti i fenomeni. E' stato ‘vedere il mondo delle persone e gli oggetti, e la loro vacuità’ come interconnessi, e che si compenetrano gli uni con gli altri. Con questa esperienza, ricordo anche che a livello fisico è stato generato molto calore e sudore, cosa che portò alla rottura e apertura del hua-t'ou. E sento anche che questa esperienza fu una realizzazione più profonda di un semplice ‘realizzare il vuoto di sé e degli altri e delle cose’. Curiosamente, alcune persone fanno l’errore di scambiare l'esperienza di "unità" per il "vedere la natura". Questo è davvero un grosso errore, pur se non è affatto raro, in special modo per quelle persone che poi si aggrappano a questa esperienza. L’esperienza dell’ "unità" è in realtà ad un passo dal "non-io", anche se poi si tratta di un grande passo da fare. Nell’ "unità" si ha la sensazione che noi siamo uno con l'universo. In questo preciso caso, solitamente, c’è una meravigliosa sensazione che accompagna questa esperienza, ed è molto facile venir presi da essa. Tuttavia, non importa quanto sottile il sé, o senso di "io", possa essere in questo momento, e ciò può essere molto sottile, resta il fatto che vi è ancora un sé, ed un universo con cui sentirsi uno. Il successivo e più importante passo di lasciar andare un sé sottile può essere molto difficile. Nel linguaggio Zen questo è speso indicato come “il fare un passo avanti dalla cima di un palo alto 100 piedi”. I Dieci Difetti della Pratica Hua-t'ou di Ta-Hui Più sopra, io ho parlato di un certo numero di stati che sorgono e delle istruzioni per come esaminare un hua-t'ou. Ta-Hui a un certo punto condensò le sue istruzioni per lavorare sul hua-t'ou presentando ciò che noi chiamiamo i ‘Dieci Difetti lavorando sul hua-t'ou ‘Mu’ (40): "Fino a quando tutte le coscienze affettive (gli attaccamenti) non sono state distrutte, il fuoco nel cuore continuerà a infuriare. Mantenete la vostra attenzione del hua-t'ou in ogni momento e approfondite il dubbio verso di esso. Si dovrebbe essere sempre preoccupati di mantenere la questione [il hua-t'ou] davanti a voi e la vostra attenzione sempre focalizzata. Se voi rivolgete lo sguardo a destra ed a sinistra, restandone imprigionati, non potrete mai arrivare ad esso". Ta-Hui ha poi elencato i dieci difetti relativi al lavoro con il hua-t'ou "Mu", per coloro che si applicano a praticare con tutti i hua-t'ou. 1. Non si dovrebbe intendere che voglia dire ‘sì o no’. 2. Non si dovrebbe prendere come se fosse negazione di vera esistenza. 3. Non si dovrebbe considerarlo in relazione alla dottrina. 4. Non si dovrebbe riflettere logicamente su di esso sulla base della coscienza mentale. 5. Non si dovrebbe pensare che il maestro stia spiegando il hua-t'ou quando alza le sopracciglia o quando strizza gli occhi. 6. Non si dovrebbe escogitare stratagemmi per risolvere il hua-t'ou attraverso l'uso della parola. 7. Non si dovrebbe far si di rimanere nell’indifferenza. 8. Non si dovrebbe considerare il hua-t'ou come il punto in cui fa sorgere la vostra attenzione. 9. Non si dovrebbe cercare elementi di prova nei discorsi e nelle espressioni. 10. Non ci si dovrebbe attaccare ad uno stato illusorio, restando semplicemente in attesa dell'illuminazione. "Una volta che la mente è priva di un luogo in cui dimorare, non abbiate timore di cadere nel vuoto. E' sicuro che quello lì è un buon posto", dice Ta-Hui (41). Chinul, il rivitalizzatore del 12° secolo dello Zen Coreano (Soen), e primo grande sostenitore in Corea della pratica hua-t'ou, commenta quanto sopra aggiungendovi: "una volta che allo studente sia stato dato questo tipo di spiegazione e gli sia dato il suo hua-t'ou, egli dovrebbe quindi limitarsi a attivare la sua attenzione e investigarlo durante i dodici periodi del giorno e in tutte e quattro le posizioni... Se viene lasciato sorgere anche un solo pensiero di conoscenza, o di comprensione concettuale, che riguardi il Buddhadharma, egli è invischiato nei dieci difetti della comprensione"(42). Chinul si riferisce al difetto n. 3, quello che crea "l'ostacolo della comprensione"(43). Infatti, questo è esattamente ciò che avevo detto in precedenza nell’articolo, e cioè che qualsiasi tipo di pensiero razionale o di comprensione concettuale deve essere messo da parte e si dovrebbe solo essere interessati ad esaminare il hua-t'ou, solo esaminando la parola e facendo sorgere il dubbio. Chinul poi aggiunge alcuni consigli per i praticanti Zen del hua-t'ou, "Essi, di getto, si interessano ad un hua-t'ou privo di sapore, e si preoccupano solo di portarlo alla loro attenzione, concentrandosi su di esso". E ancora, cosa più importante, egli poi nota che essi dovrebbero "stare alla larga da ogni idea di una sequenza temporale, in cui si debbano sviluppare visione, apprendimento, comprensione o condotta"(44). Il hua-t'ou è una pratica dal significato improvviso che non si comprende, ed in cui non ci si risveglia ad esso in mezz’ora o in tre quarti d’ora. Risvegliarsi al hua-t'ou è un fatto che accade in un istante. Nondimeno, ci sono aspetti profondi nel risveglio e certamente livelli di integrazione nella nostra vita. Ta-Hui, Chinul e, più recentemente, il famoso e moderno maestro Cinese, Hsu-Yun (45), istruirono i loro studenti più o meno allo stesso modo, che è il modo che io ho praticato e descritto in questo documento. Prendete il hua-t'ou, portatelo alla vostra attenzione, per quanto è possibile, per tutto il giorno, lasciando cadere tutte le idee che si hanno sulla conoscenza, la verità e la comprensione concettuale. In un certo senso, noi dobbiamo abbandonare la nostra intelligenza e abbracciare il non-sapere, l'ignoranza. Dobbiamo dimenticare o mettere da parte tutte le nostre idee di verità, tutta la nostra conoscenza esterna, e cercare all’interno delle nostre menti. E' inoltre obbligatorio "stare alla larga" da tutte le idee di sviluppo, comprensione, tempo, ecc. come si è detto sopra. Non c'è nient’altro da fare che concentrarsi sul hua-t'ou, e di investigare la parola. Questa è la strada per la "inconcepibile verità ultima"(46). Alcune Precauzioni e Osservazioni Conclusive All'inizio di questo articolo, ho parlato di Ta-Hui, il principale esponente della pratica del hua-t'ou nella dinastia Sung in Cina, ed i suoi studenti laici, denominati letterati. Ho anche detto che i letterati non avevano molti contatti con Ta-Hui, e questo tipo di contatti erano stati fatti perlopiù tramite posta, probabilmente abbastanza lenta in quel periodo in Cina. Ho anche detto di pensare che la pratica del hua-t'ou sarebbe molto adatta oggi per parecchi praticanti laici occidentali dello Zen. Ed in particolare, anche se non solo, essa è adatta a certi meditanti esperti che per un qualsiasi vario motivo non fanno parte di un centro Zen. Si tratta di un numero di persone che è in grande crescita, anche se in gran parte sconosciute. Io penso anche che questa sia una pratica adatta pure a persone che fanno parte di un centro Zen, ma che deve essere elaborata nel contesto del centro e del suo insegnante. Per coloro che lavorano in proprio, sarebbe bene che essi abbiano qualche contatto con chi ha familiarità con la pratica, discutendo su qualunque aspetto venga fuori e che è imbarazzante per voi, o che si vorrebbe discutere con qualcuno. Trovare un buon amico spirituale, un kalyanamitra, può essere molto utile. La pratica Hua-t'ou, per la massima parte, non richiede in realtà molte discussioni, una volta che si sono capite le basi. Tuttavia, io penso che sia un bene avere la possibilità di parlarne con un'altra persona. Nondimeno, per le persone nuove che si sono appena accostate alla meditazione, avere qualcuno con cui parlare è molto importante. In entrambi i casi, anche i libri sono un buon aiuto in cui cercare, ancora in modo particolare per i principianti. In coda al documento, si elencheranno alcuni libri che in particolare vi consiglio in relazione alla pratica hua-t'ou. Ancora una volta, questa pratica è ben adatta per persone che credono fermamente nella loro vera-natura innata, ovvero la Natura di Buddha, che siano determinate a realizzare questa natura innata in un determinato momento in questa stessa vita, che credono nella loro capacità di farlo, che ritengono il hua-t'ou un buon metodo per farlo, e, infine, che siano ben determinate ad operare effettivamente in questa direzione. A questo scopo, sono necessarie alcune parole per generare un reale risveglio in un maggiore contesto. Per esempio, la fine della pratica è il risvegliarsi alla vostra natura innata? Come si può valutare la maturità o l’immaturità della propria intuizione-profonda? Queste sono solo due delle molte domande che sorgono nella pratica Zen. Qui in Occidente, molti di noi sono stati attratti dallo Zen, in primo luogo per l’intenzione di voler porre fine alla sofferenza, e in secondo luogo, dopo che la nostra sofferenza è diminuita, per un desiderio, o volontà di libertà e di indipendenza che la pratica e il risveglio ci promettono. E, in effetti, la pratica e il risveglio Zen sono in grado di alleviare le nostre sofferenze e fornirci questa libertà e indipendenza, in un modo o nell’altro. Tuttavia, la cosa non è così semplice come molti di noi in origine potrebbero avere pensato o desiderato. Le Storie Zen sono piene di resoconti di ‘Incontri’ tra un maestro e un discepolo, in cui in un istante il discepolo si è illuminato o risvegliato. Questo è spesso presentato come la fine della storia. Sappiamo e ascoltiamo anche della Trasmissione del Dharma, e di persone a cui viene dato il titolo di maestro Zen o Roshi, il che abilita queste sancite persone alla loro partecipazione a un lignaggio Zen e alla mitologia che lo accompagna. Questo fatto porta facilmente gli altri a pensare che la sanzionatura istituzionale implica una illuminazione completa, o quasi completa. Questo, praticamente, non è mai il caso, ma piuttosto nella maggior parte dei casi, la sanzionatura Zen è solo una necessità istituzionale per mantenere in vita il lignaggio, per diffondere un lignaggio, per soddisfare la necessità di un insegnante e così via. Questi insegnanti potrebbero essere in grado di aiutare le persone, con la loro pratica del hua-t'ou, ma forse anche no. Di sicuro, molti di essi non hanno finito il Sentiero (47). Questo è per dire che, per tutti i praticanti, c'è bisogno di essere vigilanti con la loro pratica, ancor più a maggior ragione dopo un risveglio, quando i pensieri gonfiati dal sé e dalla nostra ‘convinta’ realizzazione, hanno uno strisciante modo di infilarsi nuovamente nella mente. Fortunatamente, molti veri insegnanti del passato erano ben consapevoli di questa necessità di restare sempre attenti. Ta-Hui in Cina, e Chinul in Corea, erano molto interessati anche a questi problemi e questioni del post-risveglio, così come altri ben noti maestri del tempo. Senza voler entrare in una lunga discussione sulle diverse idee della pratica, lo Zen segue in maggior modo uno schema noto come "risveglio improvviso/coltivazione graduale" (48). Cioè, anche se il risveglio accade così all'improvviso, nella mente rimangono ancora forti energie di abitudine o tendenze egoistiche, ovvero il karma, comunque uno ricade sotto tendenze etichettate che non scompaiono per merito di un risveglio o perfino molti risvegli. Chinul chiama questi risvegli iniziali "comprensione-risveglio" in cui vi è una chiara comprensione della natura e delle caratteristiche, ed in cui si ha chiaramente compreso la ‘natura-della-mente’. Così, mentre uno studente può avere la corretta comprensione, la sua pratica sarebbe troppo immatura per agire in un coerente modo illuminato. Avrebbe avuto bisogno di una coltivazione graduale, al fine di contrastare le sue tendenze contaminate e di poter coltivare delle buone e sane qualità (49). Ciò richiede di doversi concentrare sull'integrare il risveglio con l'intuizione in ogni aspetto della propria vita quotidiana. Ma alcune persone la pensano diversamente, e diventando infatuate dal livello del loro risveglio, pensano di essere al di sopra di tutti gli altri, un po’ a causa dello loro esperienza di risveglio e soprattutto con il potere attribuito loro dai titoli istituzionali e autorità Zen, e lasciano che il potere e l'autorità rimanga sulle loro teste. Alcuni lo pensano perché hanno visto la loro natura e sono liberi di agire a loro piacimento. Tuttavia, questo può causare sofferenza per se stessi e per gli altri. E ciò ha portato diversi sfortunati problemi alle persone ed ai centri Zen dell’Occidente, negli ultimi 45 anni. Io penso quindi che si dovrebbe maggiormente porre l'accento sul fatto di incarnare ed integrare l'intuizione profonda (prajna). Forse il più diretto e chiaro avvertimento, discutendo il livello della propria maturità nella pratica, si trova in Chinul quando cita il famoso Maestro Zen e Hua-Yen Tsung-Mi (780-841): "Se le formazioni che si manifestano non sono ancora tagliate via, e persistono le contaminazioni, le energie abitudinarie, o tutto ciò che vi porta verso la passione, e quando tutto ciò che incontrate produce ostacoli, allora anche se avete compreso il significato dello stato non-nato, il vostro potere è ancora insufficiente. Voi dovreste non aggrapparvi a quella comprensione, e dire a voi stessi: "Io mi sono già risvegliato al fatto che la natura delle contaminazioni è vuota", perché più tardi quando decidete di coltivare, la vostra pratica, al contrario, diventerà controversa. Ovviamente, la natura delle contaminazioni è vuota, ma esse possono tuttavia farvi provare i risultati del karma. Questo risultato karmico può non avere alcuna natura, ma agisce come la causa della sofferenza. E anche se perfino il dolore della sofferenza è vuoto, quanto è difficile sopportarlo! Quindi dovrebbe essere chiaro che, se le parole e le azioni sono contraddittorie, la correttezza o scorrettezza della propria pratica può essere verificata proprio dagli effetti. Misurate la forza delle vostre facoltà; non potete permettervi di ingannare voi stessi. Esaminate i vostri pensieri e state in guardia contro gli errori; Su questo, dovreste essere assolutamente perfetti…"(50). Questo avvertimento di non aggrapparvi ad alcuna esperienza di risveglio, come se fosse la fine della pratica, è molto chiaro e semplice. Dobbiamo misurare le nostre azioni, essere consapevoli delle nostre energie abitudinarie, ed essere chiari con noi stessi per come si agisce e si pensa quando incontriamo il mondo e i suoi fenomeni. Questa è la nostra pratica, e così naturalmente dobbiamo esaminare i nostri pensieri ed azioni, e dobbiamo essere "assolutamente perfetti in questo!". In parole semplici, ripetiamo le parole di Tsung-mi: "Se le parole e le azioni sono contraddittorie, allora può essere verificata la correttezza o scorrettezza della propria pratica". Con questa semplice frase, noi possiamo chiaramente dichiarare la maturità della nostra pratica (51). Chinul prosegue aggiungendo la necessità di un voto di compassione. "Dopo che la conoscenza acquisita attraverso il risveglio si è ottenuta, si dovrebbe contemplare le sofferenze degli esseri senzienti attraverso la saggezza discriminante e fare il voto della compassione"(52). Nel Mahayana, per far sì che la saggezza sia quella liberatoria, deve anche essere compassionevole. In un certo senso quindi, la nostra pratica diventa una pratica non solo per noi stessi, ma per gli altri. Chinul rimprovera coloro che dopo aver avuto un risveglio dichiarano che la natura delle contaminazioni sono vuote e poi ricadono in un atteggiamento spensierato. Egli dice che queste persone non hanno "vergogna" quando fanno quelle azioni che producono karma. Egli la chiama "la contaminazione da presunzione", e dice che in esse, "il vigore e la forza di volontà sono totalmente carenti"(53). Poi, aggiunge, "anche se gli approcci alla coltivazione sono incalcolabili, la benevolenza e la tolleranza sono la loro origine". Chinul ingiunge che noi si debba coltivare la compassione, la benevolenza e la tolleranza come benefiche e positive qualità. Alla lista potremmo aggiungere la generosità, la moralità e la diligenza (54). Credo che, prendendo sul serio le parole di questi insegnanti sopra citati di epoche precedenti e applicandole a fondo, noi possiamo dichiarare la maturità o immaturità della nostra pratica, sia che si tratti della pratica hua-t'ou o di qualsiasi altra pratica. Prendendo a cuore le parole di questi insegnanti Zen morti da tempo, noi saremo in grado di evitare la "contaminazione da presunzione".
Letture consigliate Buswell, Robert, Le opere complete di Chinul, University of Hawaii Press, 1983. Particolarmente rilevanti sono le pagine 238-262, "Resolving Doubts About Observing the Hwadu" e le pagine 262-374, "Excerpts From the Dharma Collection and Special Practice Record with Personal Notes". Il libro è un tesoro per i praticanti Zen. L’"Introduzione" di Buswell e le ampie note di ogni capitolo sono particolarmente gratificanti. Purtroppo, il libro è fuori stampa, ma disponibile presso le biblioteche. Swampland Flowers (Fiori di Palude): The Letters and Lectures of Zen Master Ta-Hui, trad. di J.C. Cleary, Shambala, 2006. Si tratta per lo più di una raccolta di lettere di Ta-hui ai suoi allievi letterati. Purtroppo, il libro contiene solo le risposte di Ta-hui senza le lettere a cui sta rispondendo. Tuttavia, c'è molto da guadagnare leggendo le sue risposte. Gli scambi di lettere tra Ta-Hui ed i suoi studenti sono studiati ancora oggi nei monasteri Coreani. Luk, Charles, ‘Chan e Zen Teaching’, Prima Serie, Rider and Company, 1969, vedi pp 19-48 per una discussione sulla pratica hua-t'ou. Vedi le pp 49-109 per le quotidiane lezioni di Hsu-yun, date in un ritiro di due settimane a Shanghai, nel 1953. Batchelor, Stephen, The Faith to Doubt: Glimpses of Buddhist Uncertainty, Parallax Press, 1990. Consiglio tutto il libro, ma soprattutto vedere pp.19 - 36 per una discussione del hua-t'ou, "What is it" e pp 37-58, "”Questioning.”. Kusan Sunim, ‘The Way of Korean Zen’, trad. da Martine Fages, Weatherhill, 1985. Particolarmente rilevanti sono pagine le 59-72, "Istruzioni per la meditazione." Questa sezione comprende un breve commento sui Dieci Difetti di Ta-Hui. Sung Bae Park, ‘Buddhist Faith and Sudden Enlightenment’, Suny University of New York Press, 1983. Sheng Yen, ‘Shattering the Great Doubt: The Chan Practice of Huatou’, Shambala. 2009. C'è qualche buon consiglio, ma c'è anche molta ripetizione della mitologia settaria Chan come dato di fatto. Egli presenta anche le fasi della pratica che per persone di tipo analitico possono causare problemi quando esse cercano di capire dove si trovano nel suo schema di livelli. Levering, Miriam, ‘Ch’an Enlightenment for Laymen: Ta-Hui And The New Religious Culture Of The Sung’, Tesi di laurea, Università di Harvard, 1978, disponibile in Umi Publishing. Per chi ha un'inclinazione scientifica, questa tesi dà uno sfondo del pensiero di Ta-Hui nel contesto delle idee religiose, sociali e politiche Cinesi e l'ambiente del suo tempo. Vedi pp 207-239 ”Hua-yen Thought and Lay Practice.”. C'è anche molto materiale per il hua-t'ou e perché e come praticarlo, vedi pp 240-282, ”Hua-tou Practice: The Need For The Hua-t’ou’, e pp 283-311 ”Faith, Doubt, and the Hua-tou.”". Note 1 Accolgo con favore i commenti a questo articolo: in slachs@att.net Una versione ridotta di questo articolo è stata presentata al ‘Oslo Buddhist Studies Forum’, 28 feb 2012. Vorrei ringraziare Meredith Churchil, Ute Huesken, Jeff Larko e Chuan Zhi del Tempio Hsu Yun per l’aiuto e sostegno. 2 Miriam Levering, Tesi di laurea PhD., Ch’an Enlightenment For Laymen: Ta-Hui And The New Religious Culture Of The Sung, Harvard University, 1978, p. 240. In questo articolo, userò il più conosciuto termine ‘Zen’, anche quando si riferisce al Ch'an Cinese o al Seon Coreano. 3 Oltre praticare il metodo hua-t'ou per circa trenta anni, mentre io ero a New York presso il Centro di Meditazione Ch'an di Shifu Sheng-Yen, per circa dieci anni ho condotto colloqui privati con gli studenti per lo più occidentali durante ritiri di meditazione di sette giorni. Una buona percentuale di questi studenti stavano facendo la pratica hua-t'ou. 4 The Collected Works of Chinul, trad. di Robert Buswell, University of Hawaii Press, 1983, p. 67. 5 Nel contesto della letteratura koan, un maestro Zen è qualcuno in un lignaggio Zen a cui è stato dato il titolo di maestro Zen dal suo maestro. 6 La pratica non è fatta in modo ampio nello Zen Giapponese, in cui si preferisce avere un curriculum di koan che è la forma preferita di pratica per il Rinzai e per i moderni praticanti della setta Sanbokyodan. I praticanti del Soto Zen, di regola, non utilizzano i koan o il hua-t'ou come pratica di meditazione, ma piuttosto la pratica di shikantaza (solo seduta). 7 Levering, pag. 246. 8 Egli temeva che anche i letterati sarebbero stati attratti dalla crescente popolarità della tradizione del Tsao-Tung e dalla loro "forma immobile" di meditazione. Vedi Schlutter, Morten, ‘How Zen become Zen, University of Hawaii Press, 2008, p. 180). 9 Levering, pag. 273. 10 Levering, pag. 274. 11 Ci sono altri che hanno avuto successo con il metodo che non ha bisogno di questo come un prerequisito, anche se credo che questa sia una visione minoritaria. 12 Schlutter, p. 109 13 Levering, pag. 240. 14 Levering non traduce i caratteri Cinesi, che si pronunciano shi-tai-fu. Tuttavia, in questo lavoro userò la traduzione comune di "letterati". In una mail privata, Levering mi ha detto che il termine era già stato tradotto come 'ufficiali studiosi'. 15 Schlutter, p. 180. 16 Nel 1990 ho passato tre mesi nel monastero Songgwangsa in Corea del Sud, e fui informato che lettere di Ta-hui facevano parte del programma studiato dai nuovi monaci durante i loro primi tre mesi del periodo di formazione. In Giappone la cosa sembra essere diversa. Alla fine degli anni ‘80 sono stato al tempio Dai Shuin, di Morinaga Roshi, che si trova a Kyoto. Nessuno dei suoi monaci con cui ho parlato conosceva Ta-Hui o Daie, il suo nome giapponese. Morinaga Roshi mi ha offerto una bella versione rilegata delle opere complete di Ta-Hui, che ho rifiutato perché non sapevo leggere il Giapponese. Egli mi ha detto: "Prendilo, tanto nessuno dei monaci qui ne ha un qualche interesse." 17 Cfr. Levering, pp 246-260 per una discussione delle visioni di Ta-Hui sull'educazione sbagliata dei letterati e la necessità della pratica Zen. 18 Leighton, Dan, "Zazen as an Enactment of Ritual" in Zen Ritual, ed. di Steven Heine e Dale S. Wright, Oxford University Press, 2008, p.183. Questo articolo, basato sulla comprensione di Dogen dello Zen, presenta una visione molto diversa della pratica Zen di Ta-Hui. 19 Anche se l'illuminazione silenziosa e shikantaza sono pratiche apparentemente simili, ho sentito dire da seguaci Cinesi che esse sono diverse. 20 Cfr. “Empty Cloud: The Autobiography of the Chinese Zen Master Xu Yun”, trad. di Charles Luk, revisionato e ed. da Richard Hunn, 1988, Element Books Limited, pp.7, 8. I miei ringraziamenti a Chuan Zhi del Tempio di Hsu-yun per questo riferimento e per molti suggerimenti utili. 21 Cfr. "Gradual Experiences of Sudden Enlightenment: The Varieties of Ganhwa Seon Teachings in Contemporary Korea", Ryan Bongseok Joo, relazione tenuta alla conferenza AAS 2011 a Honolulu, Hawaii. http://international.uiowa.edu/centers/caps/documents/RyanJooAAS2011.pdf. E’ un documento estremamente interessante e unico nel suo genere che discute sulla pratica e la comprensione della pratica ganhwa (hua-t'ou) da tre insegnanti leader Coreani. Ciascuno dei tre docenti ha discusso diversi punti di vista da parte degli altri insegnanti e diversi dal modo Cinese di praticare il hua-t'ou. 22 Sung Bae Park, Buddhist Faith and Sudden Enlightenment, State University of New York Press, 1983, p. 67. I Tre Grandi sono stati introdotti nel 14° secolo dal maestro Ch'an Kao-feng come i "tre elementi essenziali dell’investigare la pratica" nel suo libro, Ch'an-yao o The Essential of Ch'an Meditation. 23 Levering, pag. 283. 24 Hsu Yun, forse il più famoso maestro Zen in Cina fin dal 19° secolo, favorì la pratica hua-t'ou e sottolineò anche la necessità di una grande fede nel metodo. Vedi (data dell’ultimo accesso: 2012/02/06) http://www.hsuyun.org/chan/en/essays/bychuanzhi/759-huatoupractice.html. Nel website del Hsu Yun Temple, http://www. hsuyun.org (data dell’ultimo accesso: 2012/06/02) c’è molto materiale di Hsu Yun e un vasto assortimento di articoli relativi alla pratica. Di particolare interesse sono gli articoli di Chuan Zhi. 25 Levering, pag. 288. La citazione completa è: "Incapaci di aver fede nel possesso all'interno della vostra casa, non potete far altro che cercare fuori." 26 Park, Buddhist Faith and Sudden Enlightenment, p.20. Park, citando Chinul, chiama questa ‘fede patriarcale’, cioè, credere che ognuno è originariamente Buddha. Questo è opposto alla fede dottrinale, che incoraggia le persone ad avere fede nel principio di causa ed effetto (p. 19). 27 Levering, pag. 294. 28 Schlutter, p. 109. 29 Levering, pag. 301. La propria illuminazione sarà in proporzione al proprio dubbio: "Un grande dubbio deve essere seguito da una grande illuminazione." 30 Levering, pag. 302. 31 Sheng Yen, Shattering the Great Doubt, Shambala, 2009, pp 83-90. 32 Buswell, 1983, p. 68. 33 Levering, pag. 270. 34 Levering, pag. 264. 35 Shifu Sheng Yen, nelle istruzioni orali. 36 Cleary, Christopher, Swampland Flowers: The Letters and Lectures of Zen Master Ta Hui, Grove Press, 1977, p. 57. 37 Buswell, 1983, p. 249. 38 Cfr. "Gradual Experiences of Sudden Enlightenment: The Varieties of Ganhwa Seon Teachings in Contemporary Korea", da Ryan Bongseok Joo, relazione tenuta nel 2011, conferenza AAS ad Honolulu, Hawaii. I tre moderni maestri Zen Coreani di cui si parla in questo articolo sembrano interessati allo stato dello studente prima del momento del risveglio, piuttosto che dopo, come è comune nelle tradizioni zen Giapponesi e Cinesi, in cui vengono fatte allo studente "domande di controllo" per determinare la profondità della loro esperienza. 39 Levering, p.310. Anche se Ta-Hui non consiglia di cambiare il vostro hua-t'ou dopo un risveglio per approfondire una visione, egli in realtà cambiò il suo hua-t'ou sotto la guida del suo maestro Yuan-Wu e così ebbe un'esperienza più profonda. 40 Il hua-t'ou "Mu" è: "Un cane ha la natura di Buddha o no? Joshu (Cin. Chao-chou) rispose: Mu! (No!)." 41 Buswell, 1983, p. 246. 42 Buswell, 1983, pp 245, 246. Chinul essendo Coreano usava la parola hwadu come poi ha fatto il traduttore Robert Buswell, ma per mantenere coerente la discussione, io ho sostituito il termine Coreano hwadu con il Cinese hua-t'ou. 43 Buswell, 1983, p. 240. 44 Buswell, 1983, p. 250. 45 Luk, Charles, ‘Chan and Zen Teachings, I° serie, Rider and Co., 1960. Vedere pp 19-109 - per l'insegnamento di Hsu-yunn sulla pratica hua-t'ou e i discorsi tenuti ai ritiri di una o due settimane a Shanghai nel 1953. 46 Buswell, 1983, p. 251, Chinul cita il famoso monaco Coreano Wonhyo, un contemporaneo di Chinul. Wonhyo fu lo scrittore più prolifico della storia dello Zen. Wonhyo viaggiò avanti e indietro in Cina ed ebbe un’influente potere nel Buddhismo Cinese. C’è un progetto per tradurre in Inglese tutte le sue opere esistenti. Il Prof. Buswell è responsabile del progetto. 47 Ho un certo numero di documenti su Internet che discutono dei problemi legati all’ istituzionale sanzionatura Zen e in larga misura, a chi inganna le persone sul significato della Trasmissione del Dharma e sui titoli di ‘Maestro zen e roshi’: (Lachs.inter-link.com). Per un importante documento che parla della Trasmissione del Dharma, specialmente in relazione al Soto Zen, vedere, Bodiford, William M. "Dharma Trasmission in Theory and Practice", in Zen Rituals, ed. Steven Heine e Dale S. Wright, Oxford University Press, 2008, pp 261-279. 48 Io penso che il problema della pratica post-risveglio nello Zen derivi in parte dalla ideologica posizione della setta Lin-Chi (Rinzai, Giap.) del ‘risveglio improvviso/coltivazione improvvisa’ che sostiene che con l'esperienza del risveglio improvviso, il Sentiero è completato, da qui il termine ‘coltivazione improvvisa’. Penso che questo sia in gran parte una posizione ideologica che sostiene la superiorità dell'approccio improvviso dello Zen rispetto all'approccio graduale di altre sette del buddhismo. Perciò, qui si parla poco o niente di etica o di sviluppo delle qualità positive. Tuttavia, Hakuin, Ta-Hui, Chinul e Hsu Yun, tutti loro coltivarono dopo le loro prime esperienze ed ebbero altre esperienze di risveglio dopo un risveglio iniziale, come è successo alla maggior parte di ogni altra famosa persona Zen. Songchol, un maestro Zen Coreano leader, recentemente scomparso, fu una rarità in quanto mantenne la visione dell'improvvisa illuminazione/improvvisa coltivazione, ma era molto esigente per quella che considerava l'illuminazione improvvisa. 49 Buswell, Jr., Robert E., "Pojol Chinul and Kanhwa Son: Reconciliing the Language of moderate and radical Subitism", in Zen Buddhist Rhetoric in China, Korea and Japan, ed. Christoph Anderl, pag. 347, Leiden: Brill, 2012. 50 Buswell, 1983, p. 305. 51 A volte ciò che sembra a molti come un comportamento ‘self-serving’ da parte degli insegnanti è stato spiegato come "pazza saggezza", cioè le azioni di presunti esseri altamente illuminati che sembrano solo auto-interessati, proprio perché la gente comune non riesce a capire certe persone così altamente evolute. Mi azzarderei a dire tuttavia che individui così altamente illuminati sono estremamente rari, come il proverbiale ago nel pagliaio. Trovo interessante il fatto che la quasi totalità di questo presunto comportamento etichettato come "pazza saggezza" sembra apportare piacere, e servire ai bisogni di quel saggio che agisce così, spesso a discapito degli altri ma anche di se stessi. Un comportamento simile, visto da altre persone, verrebbe chiamato ‘self-serving’, e cioè, una debolezza o una dipendenza di qualche tipo. 52 Buswell, 1983, p. 308. 53 Buswell, 1983, p. 310. 54 Le ‘Sei Paramita’, le perfezioni per raggiungere l'altra sponda (Stato-di-Buddha), che sono: generosità (Dana), moralità (Shila), pazienza (Kshanti), diligenza (Virya), meditazione (Dhyana), e saggezza (Prajna). Esse sono fondamentali per tutti nel Buddhismo Mahayana. Tuttavia, lo Zen pone la massima importanza alla saggezza-prajna enfatizzandola con la meditazione formale fatta insieme come gruppo, con ritiri di meditazione di solito lunghi sette giorni o più, e la meditazione quotidiana. Inoltre, l'enfasi sulla saggezza può essere vista nella recita del Sutra del Cuore tutti i giorni al mattino e alla sera. Il Sutra del Cuore (Parjnaparamita) è una condensazione del vasto corpo della letteratura sulla saggezza (Prajna). In realtà, nello Zen c'è poco interesse istituzionale per quanto riguarda le attività non connesse alla meditazione e alla saggezza. Le Raccolte di Koan insieme alle Raccolte di Detti (Yu-lu), che definiscono lo Zen, sono prevalentemente interessate alla saggezza. Penso che ci possa essere una debolezza istituzionale nello Zen, almeno da quando esso è giunto in Occidente, in generale provenendo dal Giappone, per il fatto che le qualità di un sano sviluppo personale non ricevono sufficiente attenzione o addirittura valore. Anche la retorica che idealizza le azioni dei Maestri Zen offusca la questione.
Hua-t’ou : A Method of Zen Meditation1 (By Stuart Lachs) 2/26/2012 This paper discusses a form of meditation practice known in Chinese as hua- t’ou. It was popularized by the Chinese Zen master Ta-Hui (1089 – 1163) a member of the Lin-Chi sect of Zen. While Ta-Hui did not invent this method of meditation, he popularized it in that he was the first to teach a theory of why hua`t’ou should be practiced, and also taught how to use it in Zen practice.2 In particular, this paper will discuss what a hua-t’ou is, why Ta-Hui placed so much importance on it, and why this practice could be of interest to people today. I will give examples of well known hua-t’ou, describe one way to practice this method, describe some states of mind that may arise when doing the practice, offer some personal experience from my own thirty years of practicing the hua-t’ou,3 and consider what it means to have a Zen awakening. I will then list Ta-Hui’s ”Ten Defects” of hua-t’ou practice, and finally offer some concluding remarks and cautions related to having an awakening experience and the importance of continuing practice thereafter. What is a Hua-t’ou ? The Chinese term Hua-t’ou can be translated as “critical phrase.” Literally it means the “head of speech” or the “point beyond which speech exhausts itself.”4 In Korean, hua-t’ou are known as hwadu and in Japanese as wato. In this paper I will use the Chinese term hua-t’ou exclusively. A hua-t’ou is a short phrase (sometimes a part of a koan) that can be taken as a subject of meditation and introspection to focus the mind in a particular way, which is conducive to enlightenment. While hua-t’ou and koans (Ch. kung-an ) might seem similar because some huat’ou come from sayings and stories passed down from early Zen, as do koans, it is important to differentiate the two. Koan means a “public case.” It is an anecdote or interaction attributed to an earlier teacher in the Zen tradition. ”Public case” was understood in a legal sense as being open for all to see to test or to judge one’s understanding of Zen. Koans mostly involve an encounter, often an encounter dialogue, between a Zen master5 and an interlocutor, most often a Zen student, but it may involve a lay person too. Koans can be complex stories with some repartee or shouts or even physical hitting or kicking between the master and the interlocutor. They are mostly known through koan collections such as The Gateless Gate (Mumonkan) or The Blue Cliff Record (Hekiganroku) where the koans are presented along with a poetic introduction and an elaborate commentary. A hua-t’ou however is a stand alone, always short phrase or a part of a koan that can be taken as a subject of meditation and introspection. Though teachers may give talks about working on a hua-t’ou, there are no standardized collections of huat’ou with poetic, often complex commentary as there are with koans that require explication and some knowledge of ancient Chinese metaphor. Though not widely known in western Zen circles, hua-t’ou meditation is popular in Korean and Chinese Zen. Since the famous Korean monk Chinul (1158-1210) discovered hua-t’ou meditation late in his life, it has been the favored form of practice for Korean Zen monks to the present day. In China the practice began before the 11th century. Hsu-Yun (1840-1959), the most famous Zen monk in the 19th and 20th centuries, practiced and taught hua-t’ou meditation as his favorite form of meditation practice.6 The hua-t’ou, though popularized a long time ago, is a good method for people today: it does not require a group or regular meetings with a teacher and besides being practiced in formal seated meditation, it can or really should be practiced throughout the day, even while at work. Hence, it allows for a full time Zen practice while living and working in the world. The Basics of Ta-Hui’s hua-t’ou Here, I want to deal with three aspects of Ta-Hui’s method and theory of hua-t’ou, which at the same time make it especially suited to contemporary Western Zen practitioners. Firstly, Ta-Hui insisted on the necessity of an actual moment of awakening. He felt that hua-t’ou practice was an effective means to attaining that moment of awakening. Secondly, Ta-Hui also felt “ that hua-t’ou practice can be carried out by laymen in the midst of their daily activities.”7 It is clear that Ta-Hui wanted to make Zen enlightenment available to laymen as well as monks, and not have the laymen serve mostly as donors to collect merit for a future life, which was the more popular attitude of his time.8 Thirdly, hua-t’ou is a way of exhausting and silencing rational thinking, thereby allowing the mind to open to Zen wisdom. (a) A Moment of Awakening is Necessary - There are two different ways of understanding and actually practicing Zen. These two different ways are termed in Chinese pen chueh and shih-chueh respectively. The term pen chueh refers to the belief that one’s mind is from the beginning of time fully enlightened, while shih-chueh refers to the belief that at some point in time we pass from imprisonment in ignorance and delusion to a true vision of Zen realization: “Our enlightenment is timeless, yet our realization of it occurs in time.”9 According to this belief experiencing a moment of awakening in this life is of central importance. Ta-Hui believed in the shih-chueh view, and therefore popularized and systsemized the hua-t’ou method so his students could experience a moment of awakening. Ta-Hui felt “if all is adequately described as “awakening from the beginning (pen chueh), then from what did Sakyamuni awake to?”10 Why was it necessary for Sakyamuni to struggle as an ascetic for years before having his awakening? Ta-Hui felt the only way to preserve the paradox of these two beliefs was to consider that the “awakening for the first time” (shih chueh ) at a given instant of time comes to accord with the Mind that is “awakened from the beginning (pen chueh ). According to Ta-Hui, the belief in the need for a moment of awakening is essential, if one is to engage hua-t’ou practice.11 Even though one is inherently enlightened from thebeginning, most people do not really know what this means, hence the need for a moment of awakening. He also felt: “All the myriad doubts are just one doubt. If you can shatter the doubt you have on the hua-t’ou, then all the myriad doubts will at once be shattered [too].”12 Ta-Hui valued the hua-t’ou method because he felt a moment of awakening was fundamental to Zen practice. He believed we could experience this moment of awakening, if for an instant we could be free of thought. However, Ta-Hui felt freedom from all thought was filled with pitfalls. He believed the hua-t’ou would allow students to bring their minds to a condition of readiness for the moment of awakening to their true Nature, while avoiding the pitfalls of being free of thought.13 (b) Practicing Hua-T’ou - Individually Besides having many monks as students, Ta-Hui attracted and was interested in teaching China’s educated scholar officials. These literati (shih-tai-fu ) were the elite of the empire, the people who ran the country. 14 In the earlier part of the the Sung Dynasty (960-1279), Zen had implicitly stressed koan study, which may have made it appear that only monks could fully study Zen.15 Hua-t’ou practice then allowed that lay people too could also fully study Zen and achieve enlightenment in this life time. Interestingly, Ta-Hui instructed most of his lay students, the literati, through mail exchanges. The literati were spread across China. They therefore only rarely, if at all, had a chance to see Ta-Hui personally. These letter exchanges have been collected into book form and are an important part of monastic training for Korean monks up to the present day.16 c) Hua-T’ou as a Balance to Rational Thinking - The literati were in their important positions because they had passed the highly competitve civil service exams, the subjects of which were what Ta-Hui referred to as the “nine classics and the seventeen histories.” The literati were highly educated thinkers whose formal education started at age five or six and continued until about thirty. Their informal education continued thereafter deepening their understanding, truly a life’s work. What struck Ta-Hui most was that the education of the literati had fostered a rational approach to knowledge and understanding. This emphasis on the intelligent mind and the vast amount of learning required to pass the state exams deflected the literati from achieving self-knowledge or developing virtuous or wise conduct, leading them instead to focus on mastery of detail and rational thought.17 Knowledge for them was something gained from the outside. According to Ta-Hui, Zen wisdom can be gained in an instant if the rational mind is cut-off. Focusing on the hua-t’ou can bring the practitioner to a point where the rationalizing and conceptualizing mind is stopped, enabling a person to realize Zen awakening. The Relevance of Hua-T’ou Practice Today -There are obvious parallels between the literati that interested Ta-Hui and western people today who are interested in Zen. For one, many if not most Zen practitioners today are lay people who hold jobs with some level of responsibility. As the literati had to function in their daily lives as laymen, so do many Zen practitioners today. In addition, most practitioners and people interested in Zen today are well educated and almost all are raised in an environment that values rational thinking, one characteristic of western traditions. People today are often afraid to give up rational thought just as Ta-Hui claimed was the case with the literati. Another aspect worth mentioning is the existence of a growing number of people interested in spiritual practice who are not part of a sectarian practice center, specifically a Zen center. These people are spread across the country, not part of a Zen community much as the literati of the Sung Dynasty were spread across China. Whether because of personal preference or location of their home or because of their past experiences around practice centers, these people today are practicing alone or through distant communication of one sort or another, the computer and phones being the most popular means today. My own opinion is that the hua-t’ou method of meditation is well suited to many Zen practitioners today. However, as mentioned above, there are two strands of Zen practice. One strand requires the belief in the need for an instant of awakening, an actual moment in time in order to fully realize what our timeless original Nature truly is. For those practitioners today who feel this way, I think the hua-t`ou is well suited. For those people who believe in pen chueh, meaning that we are perfectly enlightened from the beginning, looking for a moment of enlightenment in this life just adds trouble in the form of greed for an experience. For these people shikantaza (just sitting) is better suited, believing that zazen expresses the full endowment of realization.18 Now it is also true that people practicing shikantaza can and do experience a moment of awakening, it is only that it is not a point of focus from the beginning. I also think it is suited to other people who are in mental pain or facing an existential problem and see meditation as a way to ease their suffering. When their pain starts to ease from the positive feedback of meditation, their thoughts may turn to wanting to know their true self. Though these people started from wanting to ease suffering, through the fruits of meditation their minds turn to wanting to know their true Nature through experiencing a moment of awakening. Once familiar with the method, we do not require the many private interviews (sanzen or dokusan ) with a teacher to consider the hundreds of koans and their accompanying commentaries, at least partly in poetic form, as is the case when going through a Japanese style koan curriculum. One of the important reasons for practicing the hua-t’ou today is that, as lay people, it allows us to practice a good part of our days, rather than just when on the cushion. Its practice really demands that we confront important issues of life, often throughout the day. The practice calls for us to work on the hua-t’ou throughout the day so that the doubt becomes part of our lives, a fertile doubt, at times, seemingly working below our conscious level. Yet I want to be very clear that I do not mean to say that hua-t’ou practice is better than silent illumination favored by some Chinese affiliated Zen practitioners or shikantaza 19 favored by the Soto sect of Zen in Japan and now in the West or going through a koan curriculum as is the case in Rinzai or Sanbokyodan Zen. It is wonderful that there are different methods of practice that are suited to individuals with different mentalities, personalities, and beliefs. Examples of Hua-t’ou Let us look at a few examples of well-known hua-t’ou : 1. “What is it?” - This hua-t’ou is popular with Korean teachers. It supposedly comes from an interaction between the Sixth Patriarch of Zen, Hui-Neng (638–713) and a disciple. 2. “Who is repeating the Buddha’s name?” - This hua-t’ou is popular with Chinese people who often chant Amitabha Buddha’s name. Chanting Amitabha Buddha’s name is a Pureland practice based on devotion and faith in the Buddha Amitabha leading to a better rebirth. The huo-t’ou practice of examining “Who is repeating the Buddha’s name?” changes this into a Zen practice looking for awakening in this life-time. 3. “Who is dragging this corpse around?” - This huo-t’ou was popularized in modern times by Hsu-Yun. According to his autobiography, it was given to him by Master Yang-jing of the Tian-tai sect. Hsu-Yun gave it to many others as their first practice.20 4. “Who am I?” - The famous 20th century Indian teacher Ramana Maharshi also used this phrase as a focus in meditation with his students, but he used it in a different manner. 5. “What was my original face before my father and mother were born?” - This hua-tou or critical phrase is taken from the words of the Sixth Patriarch, Hui-Neng in the case known as “Not thinking of good or of evil.” It is also the 23rd case in the well known koan collection, the Mumonkan. 6. “What is Mu?” - Mu is Japanese and Wu is the Chinese for ‘no’ or ‘has not’ or ‘nothing’ or ‘empty.’ This is taken from perhaps the most famous koan case, known as Joshu’s Mu. It goes as follows, “A monk asked Joshu, ‘Does a dog have Buddha-nature or not?’ Joshu replied, ’Mu.” Joshu is the Japanese name of Chao-Chou (778 – 897) who was a famous Chinese master. This case is often given as the first koan for people going through a Japanese style koan curriculum. This Mu or Wu is not the expected answer as according to Zen teaching all sentient beings have Buddha-nature as the monk asking the question certainly would have known. This is the first case in the Mumonkan. In the example just given above of Joshu and “Does a dog have Buddha-nature or not?” the whole story is a koan, while the hua-t’ou would be “no” or commonly practiced as “Mu” or “Wu.” Similarly, in example five above, the whole case of which “not thinking of good or evil, what was my original face before my father and mother were born” is only a part, the whole case is the koan, while when practicing with this hua-t’ou, “What?” is the focus. When practicing with a hua-t’ou one focuses all their energy on the hua-t’ou, which is to say, the “Who?” or “What?”, thereby bringing the discriminating tendencies of the mind to a halt. Perhaps the first aspect to notice is that all hua-t’ou are questions that appear open ended. They seem more to tease or provoke our minds to look deeply into the nature of being and our very own being. Another aspect to notice is that we are the subject of the practice, this body, this mind, not some far away being. Entering into hua-t’ou practice is inviting ourselves to be taunted or perhaps even tormented with a basic question of being and life. We are forcing ourselves into a situation where it is necessary to confront our very being. This is not exclusively a “feel-good” process, it can be very frustrating, frightening at times, disappointing, and boring at times. But it can also be fertile and lead to seeing our true Nature and to directly entering the world of Zen. One Way to Practice Hua-t’ou Meditation in Zen The short answer to how one actually does hua-t’ou meditation is that you concentrate on the hua-t’ou by silently repeating it with a questioning, unknowing, investigating, enquiring and introspecting mind, a mind of wonder. We focus at first on the whole hua-t’ou but once the sense of it is established, we concentrate on “Who” or “What” trying to bring the hua-t’ou to life, to generate doubt. That is the barest description of the method, or at least one way of doing the practice. Please keep in mind there are a number of different methods utilized for doing this practice depending on the teacher’s background and personal experience.21 Also, we should not think that working on a hua-t’ou is limited to seated meditation. Just as Ta- Hui propagated the method with lay people in mind, specifically lay people holding responsible jobs, so can we consider the method applicable for any working person today. Lay people were meant to practice the method throughout their daily life while engaged in the world. However, I think we have to back up a bit and place the practice in a larger context to actually understand how to do it in a way that can be meaningful and effective. Actually to do the practice requires us to be familiar with what is called the Three Greats. That is:Great Determination, Great Faith, and Great Doubt.22 Great Determination: we must be determined to see or awaken to one’s true nature, who we really are. We must feel it is important and should feel a pressing and constant need to solve this problem. Much of Mahayana Buddhism, of which Zen is one branch, believes that each person has “Buddha-nature,” that is, that each person is originally enlightened, albeit only a few have already realized it. That we have not awakened to this is our own doing. So this could or should make us angry or unsettled with ourselves for not realizing what our birthright is. We haven’t realized this because we have been distracted by all manner of things in the world: pleasures, career, money, travel, family, sex, fame, etc. This dissatisfaction with our own state of not knowing can be a force or engine driving our determination and doubt about who we are. To heighten the desire for enlightenment, Ta-Hui and other Zen teachers over the ages have reminded their students of their approaching death. We must be willing to spend time and energy in answering or solving this problem of who we really are, what is our true nature. It must matter to us. If we think “oh well it would be nice to awaken but if I don’t, well that is OK too” then most likely with this attitude we will be lacking in motivation to make progress with the method. Or if we sit back and wait thinking, “Maybe one day I will be awakened” this too is not the best attitude for hua-t’ou practice. As our practice develops, we must reach a point where we must be determined to realize our true nature in a moment of awakening! Now it is also true that this determination for awakening often grows as one practices with diligence. As the practice deepens and we taste some fruit of practice, our passion for knowing- for awakening - grows. Yet it is still a step or two or three ahead of us, and we still don’t know, therefore determination often becomes more intense. As determination grows and the practice deepens, at times bodily unease, irritation, frustration and disappointment with ourself, or even anger enters the process. This is not a time to withdraw. This is just the time to forge ahead with renewed resolve. It is important for the practitioner not to be afraid of these states or to stop or pull back. It can be helpful to know that other practitioners have also faced these problems and continued to forge ahead. In fact, the practitioner at some point must become ferocious in his determination and cut off all distracting thoughts and keep digging into the back out yet going ahead seems difficult and blocked. In spite of all manner of difficulties, one must maintain or increase one’s determination to get to the bottom of the affair of who one really is, to see one’s true nature. However, as determined as we may be, once into the practice of examining the hua-t’ou in order to realize our true nature, we have to forget this idea and just wholeheartedly examine the hua-t’ou. If we allow thoughts about awakening to arise, or wondering how close or far we are from awakening, it can be guaranteed that awakening will never happen. Ta-Hui placed great emphasis on what can appear as two contradictory mental attitudes in order for the practice to be successful. One was definite, absolute faith, and the other was doubt.23 Let us look a little closer at each of these two aspects which, on the surface, may seem contradictory. Great Faith: we must believe that the practice can be effective. That is, this is a practice that many people have done in the past and that many people do in the present; that it has worked well for them, and, importantly, that it can work well for me. We must believe this is a valid and good practice and clearly have great faith in this particular method.24 In this manner, we must also believe in ourselves, have confidence that we can actually do this practice just as others have done in the past and are doing in the present. We must also have faith in ourselves and have a strong sense of being or identity. If not, we will, as Lin-Chi said, “do nothing but seek outside.”25 If someone thinks that working with a hua- t’ou was a terrific practice for great practitioners long ago or maybe some people today but thinks “I don’t know about me,” and “I am not as good a practitioner as so and so” and on like that, then this person will most likely have trouble here and not get very far with the method. We need to develop confidence in ourselves, if we want to succeed with this method. Importantly, we should believe in our own Buddha-nature and that awakening is a birthright. We should believe that from the beginning, we are a Buddha, as is everyone else,26 only we have not realized this yet. Every person essentially has Buddha-nature and has the potential to awaken to it. By applying ourselves to the practice with energy, faith in our own Buddha-mind will grow. We must develop and cultivate having confidence in our original Self-nature, having confidence in that which is not yet known with certainty. As we practice the hua-t’ou and get a taste for our thoughts slowing down and the hua-t’ou becoming alive, the belief in and determination for awakening to our Buddha-nature will become stronger. It is not blind faith! Ta-Hui wrote to one of his lay students, ”Right faith and right determination are the foundations of Buddhahood.”27 Great Doubt: cultivating doubt is the main and key component of the practice. Lin-Chi and others placed emphasis on faith, but it was Ta-Hui’s stroke of creative genius to placed doubt at the core of hua-t’ou practice. Doubt is the beginning and end of hua-t’ou practice. Hua-t’ou meditation is entirely based on generating doubt. We need to have great faith in having Buddha-nature, that there is nothing to gain, in the sense that we are fundamentally complete from the beginning. This is necessary so that we are not looking outside for something to gain. This belief is also instrumental in generating doubt, because we do not know this with absolute certainty. Without generating doubt, we are said to be meditating on “dead words” as opposed to meditating on “live words” as when the “doubt sensation” truly arises. As the doubt rises it has the feeling of literally coming alive, it takes on an energy and life of its own, it appears spontaneously while distracting thoughts lose their power and eventually completely disappear. As the doubt sensation grows and becomes more powerful it fills our total being until there is nothing in the world but Great Doubt accompanied by great energy. It becomes like a speeding locomotive racing down the tracks. If we can stay with this state of “only doubt,” in time the doubt may break open and we will realize the state of mind Zen is pointing at. Yet Ta-Hui was not blind to the traditional Buddhist understanding of doubt as a hindrance to enlightenment. The greatest hindrance is doubt about the Way, about the Buddhist path itself. But Ta-Hui took the idea of doubt further. He believed that all doubts are in fact one doubt, and that a hua-t’ou is an instrument that raises doubt in our minds. He believed that if we focus all our attention on that one doubt, the hua-t’ou and destroy it, then all of our doubts would be destroyed in that singular moment.28 There is a saying about hua-t’ou meditation that condenses Ta-Hui’s thoughts: “small doubt, small awakening, Great Doubt great awakening, no doubt, no awakening.”29 Specific Advice on Working With a Hua-T’ou Please keep in mind this is only one method that is suited to some people. I in no way mean to say that this is a method for everyone or that it is the best method. There are other methods that are better suited to other people. Everyone has to find a way to practice that is suited to their disposition and mentality. The hua-t’ou method of practice however, begins and ends with raising doubt. I would also like to underline here that there are many different ways of working on a hua-t’ou; I am giving only one way. When I say “the hua-t’ou method” I mean one way of working with a hua-tou, not the only way. However, common to every way on working with a hua-to’ou I have ever heard mentioned, as well as from my own personal experience, raising doubt and then cultivating small doubt into Great Doubt is the key to experiencing awakening. Though below, I mention a number of different mental states that can arise, each person’s experience will be different. One should not compare and measure one’s experience of the practice to others, but rather, focus all one’s energy on the hua-t’ou, giving one’s self over to the method completely. Do not be concerned with someone else’s food. I only mention some mental states so that people should know these states may arise and that there is no reason to panic or think something especially strange or unique is happening. To be absolutely clear, in this method we concentrate on, examine, question, and look into our hua-t’ou with the intention of cultivating doubt. But it is important “not to turn to externals and give rise to other doubts. Doubt can destroy doubts, but only if all of our doubting energy is totally focused on this one doubt and we can raise the doubt sensation. That is the function of the hua-t’ou. ”30 An important aspect of any meditation practice is breathing. In fact, there are many forms of meditation that focus, in one way or another, primarily on the breath. With hua-t’ou practice, though breath is not the primary focus, we still need to breathe. I recommend NOT to synchronize your breath with questioning or asking the huat’ou. This can lead to breathing problems and to straining and tightening in the body and often in the face. Some people will even tighten their facial muscles and grind their teeth. This should definitely be avoided. If we become aware of tight muscles, especially facial muscles and teeth grinding, then stop examining the hua-t’ou. Instead, pay attention to relaxing the tight muscles. When the muscles are relaxed continue to examine the hua-t’ou. Keep a relaxed though unknowing and questioning attitude. Approach the hua-t’ou as friend or as someone we want to know, who as yet we do not understand. There is no need to look at the hua-t’ou as an enemy we are attacking and who we will destroy. Most likely with that attitude we will exhaust ourselves and cause all manner of problems for ourselves. There is no need to force the process, as with steady and continual uninterrupted questioning, eventually the doubt will arise and generate its own energy and power. So, gently ask or enquire into the hua-t’ou constantly. Do not allow wandering thoughts to arise in the spaces between asking the hua-t’ou, while trying to maintain the sense of doubt or unknowing. Keep asking in a smooth and uninterrupted manner. We do not need to speed up the asking of the hua-t’ou in order to reduce the space between our questioning. That method too easily leads to treating the huat’ou like a mantra. The important point is not to have thoughts come into the spaces between enquiring into the hua-t’ou. The size of the space between asking the hua-t’ou is not important as long as you maintain the sense of the hua-t’ou and thoughts do not enter.31 With the hua-t’ou method, if we can stay focused on examining or looking into or investigating the hua-t’ou, thoughts will begin to subside and lose their power to drag us along into their drama, so to speak. All our thoughts have a sense of “me” as a basis – me thinking of the past or the future or some slight or some anticipated joy and so on. As in many forms of meditation, a focus on one point, here the hua-t’ou, can quiet the mind. We should focus on the “Who?” or “What?” with a questioning or unknowing mind and let the other thoughts drop away. Definitely do not follow the thoughts and get into the thought process and create a chain of thoughts and stories. If we do get caught in a chain of thoughts, when we realize this, just gently drop them and come back to the hua-t’ou with a gentle and questioning mind and a relaxed body. States of Mind That May Arise During Hua-T’ou Practice For people early on in hua-t’ou meditation, answers will present themselves but these should all be rejected as any kind of final result, no matter how wise or compassionate they may seem. Acknowledge them as seeds of truth that will continue to germinate as you continue the practice. This often happens in the beginning because it seems natural or is easy to focus on the meaning or to want to know the meaning, that is, our intellect is the first tool we tackle the problem with. This reaction eventually stops. This is a desired state though not always so pleasant. When the answers stop appearing, the hua-t’ou may appear tasteless, flat and boring yet the Doubt has still not become alive. It is called “tasteless” because there is nothing for the discriminating mind to attach to.32 The focus should then become strictly on the word: the “Who?” or the “What?” The student however, must continue on despite the hua-t’ou appearing tasteless. Examining the hua-t’ou for meaning is sometimes referred to as the ”dead word,” as it is composed of conceptual understanding. When the hua-t’ou is being examined just as a word itself, it is referred to as the live word.“ The “live word“ is a weapon that can destroy the defects of conceptualization. Investigation of the word alone allows no intellectual understanding, so is more difficult. This may be a good place to mention that as the mind quiets and wandering thoughts become fewer and those thoughts have less power to gain our attention, we are also losing the sense of the world and our place in that world that we create in our minds. That is, we construct the world with our thoughts and make our place in the world this way. I can think that I will meet my friend next week and run an errand later tonight and go to work in the morning and talk to my wife and so on. This is pretty normal and this is who we think we are. It is satisfying as it lets us know in a way who and what we are in the world. It is not however completely satisfying as we are still uncertain of our essential nature and often leaves us with a nagging feeling of uncertainty and doubt of who we really are. It is precisely this nagging undercurrent of doubt that is to be cultivated in the hua-t’ou method. Many people learn to cover over pretty well this nagging undercurrent of doubt by many means, even with meditation, but that is to be absolutely avoided. Again, it is this feeling of uncertainty, of not knowing with certainty who we really are that must be cultivated in the hua-t’ou method. It is necessary to make this “Who?” or “What?” into a living word, so that a small, often only an occasional nagging doubt becomes a living Great Doubt to destroy all our doubts. As the mind quiets and wandering thoughts cease or lose their power to attract, this can be scary as one feels lost, even losing a sense of being a person. Depending on how strong a sense of self we have and how much and how quickly the hua-t’ou has become alive and thoughts have dropped away will determine how we react to this state. This happens at different places in the process with different people. With some people it happens very quickly, before the doubt has any real power. It seems these people become too rattled or unsettled, becoming psychologically troubled. The hua-tou may not be the best practice for these people. With others, it happens only well along in the process, but it is something that most, if not all, people will have to encounter. We enter a situation where the wandering thoughts have lost their power or have slowed almost completely, or have ceased. The hua-t’ou becomes alive and is going by itself, while the Doubt is rising quite spontaneously and quickly, but now we no longer have the mental markers mentioned above telling us of our place in the world. All the planning for tomorrow or thoughts about what we did last week, that is, our ordinary thinking processes that also gives us our mentally constructed sense of who we are, are gone. Our ordinary ideas of who and what we are no longer clearly present or they are there only in a very faint form. The mind of rational thought and of distinctions is no longer functioning. At the same time, the Doubt is alive and going by itself, often with much force. This can be very frightening indeed - the feeling being that you will just go ZAPP!, drop into a black hole or fall into emptiness and be no more, never to return. A great fear of falling into emptiness can arise with the feeling that you will just disappear. It is common I think for most people to stop the process at this point because they are scared. There are many ways to do this: just raising a thought of any kind or entertaining the idea that you are going to take a short break and will continue shortly, or laughing, or thinking some very compassionate or other elevated thought, or some thought of gratefulness towards someone or situation, or crying for whatever reason and so on. Often these thoughts will be or sound elevated or spiritual, but in the end their purpose is to stop the fear. Unfortunately it always works! That is, it brings back a sense of the self. However, it is rare that you will immediately be able to return to the concentrated state you were in when the fear got the best of you. The power and energy gained through continual and lively practice will be lost at this time. However, going through this process a number of times, maybe many times, can make us more determined not to stop next time, more determined to get past the fright when it arises again, more frustrated or angry with ourself for stopping short of realizing who we really are. We mustn’t give up or stop because of fear getting the best of us. To maintain the practice and to actually increase our determination in spite of stopping because of fear, I think is one of the reasons why it is so important to cultivate great faith. Great faith being belief in our original Buddha-nature, belief in the efficacy of the hua-t’ou method and belief in and confidence that we too can awaken to our nature. On the other hand, it should be pointed out that we can be satisfied too easily. After gaining some power and sense of well being, we can become satisfied with ourself. We lose the drive, the vigor or need to really see who we are. Perhaps we lose the determination necessary to confront and once again go through the fear of falling into emptiness. It is similar to being satisfied with a car running on three cylinders when it really has six cylinders. Another possibility is as the mind quiets and thoughts lose their power to attract and pretty much stop, then one can enter very pleasurable states, states of calm and a sense of purity, or slip into a state of stillness, peace with an accompanying sense of control. Though often we hear that in Buddhist meditation peaceful, still, and pleasurable states are desired, in the context of hua-t’ou practice we should not let ourselves be side-tracked by these satisfying states where the hua-t’ou is lost; be aware that these pleasures can be extremely enchanting and enjoyable. These pleasurable states and silent and peaceful states can be very captivating and in fact, be very difficult to leave once entered. Though these states show that the mind has settled and is stable, we must not forget that the hua-t’ou method is based on raising doubt. Resting in inviting or pure feeling states are not a condition of doubt, or useful for raising doubt. These states should be recognized as they arise, but not lingered in, because they are very seductive, but they do not allow for raising the doubt. Hence, it is best for these states to be avoided for one using the hua-t’ou method. However pleasurable and stable these conditions are, from the point of view of huat’ou practice, they are a waste of time. In addition, since many practitioners are laypeople living active lives, there may be a desire to escape the daily pressures of worldly life and retreat into silence and stillness, really withdrawal from the world. But stillness that is the opposite of motion, quietness understood as the opposite of disturbance, is merely an illusion of quietness, it is not a truly peaceful mind. A practice seeking quietness is actually a form of attachment to the present moment and state of mind. This is sometimes referred to as entering the ghost cave. Ta-Hui, in a letter to a student, mentions that the problem with quiet sitting is not the practice itself, but that the stillness of mind may be taken for the ultimate Principle itself.33 Ta-Hui saw a retreat into silence and stillness as a particular problem for people busy and under pressure in the world. He feared that when they “obtain a state of having no trouble in their breasts, they grasp onto this state and think it is the highest final peace and joy…”34 In fact, I knew a man who had a demanding technical job in the computer field. He also had the ability to go into silent and still states for hours at a time. In a way that is similar to the situation that Ta-Hui warned about, this fellow wrongly insisted this was Zen enlightenment. Another point worth mentioning here is that when doing hua-t’ou practice from moment to moment we do not know what will be next. I think it is important to be comfortable with that thought. When meditating, if things are not going well, or if we feel tired or agitated or whatever, we should not think this is a waste of time, maybe I’ll stop now and try again later or tomorrow. Just come back to the method, whatever the method. In a flash, that state can change. It is impossible to know what the next moment will be! We can begin being tired or foggy or agitated or feeling sick or ordinary and a moment later the mind we will be focused and clear and vice versa. In accepting that we do not know what the next moment will bring, we will feel less pressure to judge our meditation, we will get used to uncertainty which is an aspect of life, we will continue to stay with the hua-t’ou though there is no clear roadmap, and will to a degree short- circuit the logical problem solving mind. Though we look at the “Who?” or “What?” with a questioning mind, we should also want to know - be determined to resolve the doubt raised by the hua-t’ou. Ta-Hui in fact reminded his students of their impending death and their not knowing who they are in order to make them feel the need to break through their hua-t’ou. It can, however, not be figured out by the rational mind – unlike knowing what X is in the equation XY + Y =124 if Y=6. As mentioned above, early in the process, seemingly rational answers will often appear, however, they must be rejected. Nevertheless, we must have faith that the hua-t’ou is a question that can be resolved and that it is important to solve it. We should think that it is the hua-t’ou that will answer us, not us answering it.35 There is really no secret trick to the practice. We just keep probing deeper and deeper, giving up “discussion and thought,” asking and asking and we will reach a place that Ta-Hui describes as a place “with no place to put one’s foot or hand.” He says, people “won’t believe that where there is no place to put one’s hands and feet is really a good situation.”36 We must keep probing, do not be satisfied until the doubt grows into Great Doubt and until that doubt consumes all of us, until there is nothing but Doubt. The faintest or subtlest clinging to a self must be dropped. Everything aside from Doubt must be dropped completely, totally abandoned. Ta-Hui says, ”all at once, annihilate every splendid thing.”37 If one can stay with this great Doubt, this all consuming Doubt, in time, in an instant it may finally break apart and collapse and open to the world of Zen. Most importantly, we must put away any thought which waits for or anticipates awakening or a breakthrough to occur. All we need to do is keep coming back to the hua-t’ou. After all, any such thought that anticipates awakening is based on a thought of the self. If we hold onto a thought that waits for an awakening, that awakening will never come! We need to put down all thoughts, all logical discriminations, all thoughts of good and evil, love and hate, liking life and fearing death, all thoughts of “I” no matter how subtle that thought may be, of understanding, of views, and of knowledge, all pleasure in stillness or clinging to purity or turning away from disturbance. Absolutely everything must be put away until only doubt remains. As was stated earlier, hua-t’ou practice is not only about seated meditation. We should keep or examine the doubt as much as is possible. But I would like to add a strong caveat, that is, as most people live in cities with cars and traffic and other elements that call for alertness, we also have to be sensible and responsible when practicing. This caveat cannot be stated too strongly. We should NOT investigate our hua-t’ou when driving a car or any vehicle, when walking in a busy traffic situation or when riding a bicycle or using a dangerous machine or anything similar to that. I know someone who did not take this caveat seriously and rode her bicycle into the side of a car while looking into her hua-t’ou. Luckily she did not get hurt too badly, but badly enough. In fact, this woman was lucky she did not get killed. Please, if we decide to do this practice, do it wisely. Yes, as our environment allows it, we should keep investigating the hua-t’ou as constantly as our situation permits. I have found there is a certain power to the investigation when done during eating or going to the bathroom. Another time that can be particularly fruitful is to keep investigating the hua-t’ou while lying in bed going to sleep. It was not uncommon then to wake in the morning with the hua-t’ou running in my mind. At times this has made me feel uneasy, to wake from sleep in a state of doubt with the hua-t’ou running on its own. Personal Experience Practicing the Hua-T’ou Another state of mind that may arise is anger. In my own case I can think of times of anger arising. One example was on a group retreat - probably the fifth night of a seven day retreat. At this place the teacher, Shifu Sheng Yen gave a talk each night for about 45 minutes. On this particular night, he mentioned the word “ego” and then he kept on talking. About fifteen or so minutes later he ended his talk and we began to meditate for the night period. As soon as I started to sit, the word “ego” popped into my mind and I thought something like, “What a crock of shit that word is. It doesn’t mean anything!” I was literally furious at the word or idea and kept repeating it and silently screaming, ”it is bullshit, it is bullshit.” Somehow, I then switched to the hua-t’ou and all the energy and anger moved over to the hua-t’ou. I was totally concentrated and energized then on the hua-t’ou, the anger and energy focused in the doubt. Immediately there was nothing but doubt, everything else fell away but this driving, forceful Doubt. At some point it just broke open. I don’t know how long I stayed in that state. At some point the thought appeared, “I have to leave this now.” Just then the bell rang to end the last meditation period of the night. This state continued after the bell rang although I recognized people and the meditation hall itself. It was just that everything felt easy and appeared clear and also a bit funny or amusing. We then had a short closing service which is done at the end of each night. I went to Shifu and told him I wanted to see him in private. We went into a separate room and he asked me what happened, I told him, upon which he asked me a few questions which I don’t remember now except that they were easy to answer. They were easy to answer because it was clear, there was no figuring, just answering.38 He confirmed my experience. This is called “seeing the nature” in Shifu Sheng Yen’s tradition. On another occasion, I was doing a seven day retreat alone in my apartment. During the afternoon sitting of the fifth or sixth day things seemed to be quite stable. About an hour into the afternoon somewhat quickly a driving anger arose into the hua-t’ou. I was angry, really furious at not knowing, at the doubt about the hua-t’ou. It got progressively stronger and energetic and driving. Everything but doubt was completely gone – there was only raging doubt. I don’t know how long that lasted but sometime late in the day it just exploded open. What was this experience of the hua-t’ou breaking open? The experience was of emptiness, emptiness of what or who I considered myself to be and emptiness of others and things. At some point it seemed very funny to have taken myself as all that I thought I was. The same view applied for others. It seemed completely ridiculous or comically foolish that I had done so. It was exactly as the Heart Sutra states, “form is emptiness and emptiness is form.” It was a stark realization that the Heart Sutra was really describing things just as they are. It was also clear that there was nothing to attain, so what had been the big struggle? This also seemed amusing. It seemed like an ever abiding present - there was no time. The first state of anger I described above happened many years ago so I would not like to go into too much detail. In the Zen tradition these states are not described in detail and definitely not clung to. I’ve had experiences before this that are essentially completely forgotten. Clinging to the experience and remembering it is a form of living in the past instead of moving with life. We can also fall into trying to repeat the experience again, recreate it, but that also is trying to relive the past. Some of the experience remains though in most cases, in time it is not what it originally was. What seemed to remain the most in this case was a connection to the world - a sense of intimacy or being in the world. However, in some sense it becomes memory. This was a minor experience on the Zen path, though it is important to have direct experiences. Besides having a direct experience of what Zen is about, these experiences are important because they strengthen our faith in the teaching (the Dharma) and faith in the practice. After having direct experiences, Zen is no longer blind faith or based on something that seems correct or reasonable. Nor is it the philosophy or the teachings and catchy stories. Rather, Zen is now digested. It is in our bones and Zen has taken root. We know that what the Zen tradition is talking about and pointing at is real. This is faith itself as the Dharma manifests in us, the awareness of Mind itself. After a Zen awakening, the hua-t’ou will lose all its power, at least for a time. That is a common experience. It was impossible to raise any sense of doubt, so when I sat I did shikantaza (just sitting). I would try the hua-t’ou periodically but I think it was a week or two before any sense of the doubt sensation arose. I am pretty sure that after two weeks I was working on the same hua-t’ou again. I believe this is common in Chinese and Korean Zen, that is, to stay with the same hua-t’ou after having a Zen experience.39 The hope is that one will have a deeper experience at a later date. From this perspective one hua-t’ou is as good as another. This is different from Japanese Rinzai Zen and the new Sanbokyodan Zen sect popular in the West where students go through a koan course or curriculum composed of maybe 200 or 300 or more koans as well as other material. However, going through a koan course does not mean someone actually has an awakening while working on each koan. There is a certain being moved along in the curriculum, learning to talk in a Zen way, gaining an intellectual view of the koans, and keeping a written notebook about the koans containing material mostly coming from the private interviews (Jp., sanzen or dokusan) with the teacher, no doubt for future reference. Hakuin, the famous 18th century reviver of Japanese Rinzai Zen is said to have had fifteen major experiences and something like seventy minor experience before he “put the rhinoceros to rest.” The Chinese master Ta-Hui also had many experiences and was asked to take over a large monastery but refused because he still had some questions about his practice. We should not make too much of small openings or even many openings. The important point is how well the practice and awakening becomes integrated into our life and becomes living Zen. All too often we have seen how that has not been the case with Zen in the West over the last fortyfive years, instead it is often seen mostly as an activity while ”sitting on a cushion” with little attention paid to integrating it into daily life or what that means. Meaning of Zen Awakening With “seeing the nature” Zen writings refer to having a “no-self” experience, which is the experience that I had talked about above. Previously, I described it in terms of seeing clearly that “form is emptiness” and so on. Those ideas came to me quickly after the bell. They seemed funny and amusing because it seemed so simple and so very obvious. It was a joy of recognizing something that had always been there but not seen so clearly. From one point of view, this is considered the beginning of practice. It should definitely not be considered the culmination of practice! The second example given above of the energy from rising anger during meditation leading to the hua-t’ou breaking open was not so much a “no-self” experience, though that was there, but rather, as seeing the world as a totally interconnected dynamic web of all phenomena. It was seeing the world of people and objects and emptiness as interconnected and interpenetrating each other. I also remember with this experience that physically much heat and sweat was generated leading up to the breaking open the hua-t’ou. I also feel this experience was a deeper realization than just realizing the emptiness of self and others and things. Interestingly, some people mistake a “oneness” experience for “seeing the nature.” This is a very big mistake though not uncommon, especially so for those people who then cling to this experience. “Oneness” is actually a step away from “no-self,” though it is a big step to take. In “oneness” there is a sense that we are one with the universe. There is usually a wonderful feeling accompanying this experience and it is easy to get very taken with it. However, no matter how subtle the self or sense of “I” may be at this time, and that can be quite subtle, there is still a self, and a universe to be one with. The next and important step of letting go of a subtle self can be very difficult. In Zen parlance this is sometimes referred to as taking a step off the top of a hundred foot pole. Ta-Hui’s Ten Defects of Hua-t’ou Practice Above I mentioned a number of states that arise and instructions on how to examine a hua-t’ou. Ta-Hui at one point condensed his instructions for working on the hua-t’ou by giving what we call the Ten Defects in working on the “Mu” hua-t’ou:40 “As long as the affective consciousnesses have not been destroyed, the fire in the heart will continue to rage. Keep your attention of the hua-t’ou at all times and deepen the doubt toward it. You should always be concerned with keeping this question [the hua-t’ou] before you and your attention always focused. From the left you cannot get to it; from the right you cannot get to it.” Ta-Hui then went on to list the Ten Defects related to working with the “Mu” hua-t’ou, which apply to practicing with all hua-t’ou. 1. You should not understand it to mean yes or no. 2. You should not take it to be the no of true nonexistence. 3. You should not consider it in relation to doctrine. 4. You should not ponder over it logically at the mind consciousness base. 5. You should not think the master is explaining the hua-t’ou when he raises his eyebrows or twinkles his eyes. 6. You should not devise stratagems for resolving the hua-t’ou through the use of speech. 7. You should not busy yourself inside the tent of unconcern. 8. You should not consider the hua-t’ou at the place where you raise it to your attention. 9. You should not look for evidence in the wording. 10. You should not grasp at a deluded state, simply waiting for enlightenment. ”Once the mind is without any abiding place, do not fear falling into emptiness. It is certain to be a good place there” says Ta-Hui.41 Chinul, the 12th century revitalizer of Korean Zen and Korea’s first great proponent of hua-t’ou practice comments on the above adding that “once a student has been given this sort of explanation and has been given his hua-t’ou, he should then merely raise it to his attention and investigate it during the twelve periods of the day and in all four postures … If there is even one thought left of knowledge or conceptual understanding regarding the Buddha-dharma, he is enmeshed in the ten defects of understanding.”42 Chinul refers to defect # 3 as creating “the obstacle of understanding.”43 This is exactly what I have been saying earlier in the paper, that any kind of rational thought or conceptual understanding has to be put aside and one should only be concerned with examining the hua-t’ou, examining the word and raising the doubt. Chinul later adds advice for Zen practitioners of hua-t’ou, “Straight off, they take up a tasteless hua-t’ou and be concerned only with raising it to their attention and focusing on it. He importantly notes that they should “stay clear of any idea of a time sequence in which views, learning, understanding or conduct are to be developed.”44 Hua-t’ou is a sudden practice meaning one does not understand or awake to it half or three quarters. Awakening to the hua-t’ou happens in an instant. However, there are depths to the awakening and certainly levels of integration into our life. Ta-Hui, Chinul and more recently, the famous modern Chinese master, Hsu-Yun45 instructed their students in very much the same way, which is the way I have practiced and described it in this paper. Take up the hua-t’ou and raise it to your attention as much as is possible throughout the day, while dropping all ideas we have about knowledge and truth and conceptual understanding. In a sense, we must give up our intelligence and embrace not knowing, ignorance. We must forget or lay aside all our ideas of truth, all our external knowledge and search inside for our own minds. It is also mandatory to “stay clear” of any ideas of development in time of understanding, etc. as stated above. There is nothing left to do but focus on the hua-t’ou, to investigate the word. This is the way to the “truthless ultimate truth.”46 Some Concluding Remarks and Cautions Early in this paper I discussed Ta-Hui, the leading exponent of hua-t’ou practice in Sung dynasty China and his lay students, referred to as literati. I also mentioned that the literati did not have much contact with Ta-Hui and the contact they did have was through mail, probably fairly slow in China at that time. I also mentioned that I thought hua-t’ou practice was very well suited today to certain western lay practitioners of Zen. In particular, though not limited to, it is well suited to certain experienced meditators who for whatever reason are not part of a Zen center. This is a growing but largely unknown group of people. I think it is a practice well suited to people who are part of a Zen or Zen center as well, but that must be worked out in the context of the center and its teacher. For those working on their own it would be good to have some contact with someone familiar with the practice to discuss whatever aspect that comes up that is perplexing for you or which you would like to discuss with someone. Finding a good spiritual friend, a kalyanamitra can very helpful. Hua-t’ou practice for the most part doesn’t really take much discussion, once one understands the basics. Nevertheless, I think it is good to have another person to speak with. However, for people new or newer to meditation having someone to talk with is more important. In either case, books are also a good place to look, again especially so for beginners. Below, I list a few books I recommend specifically in relation to hua-t’ou practice. Again, this practice is suited for the person who believes strongly in their innate true-nature or Buddha-nature, is determined to realize this innate nature at a given time in this very life, believes in his or her ability to do so, that the hua-t’ou is a good method for doing so, and finally, is determined to actually work towards this goal. To this end, a few words are needed to place actual awakening in a bigger context. For instance, is awakening to your innate nature the end of practice? How does one judge the maturity or immaturity of one’s insight? These are just two of many questions that arise in Zen practice. Many of us in the West have been attracted to Zen first, because we desired an end to suffering, and secondly, as our suffering lessened, because of a wish or desire for freedom and independence that practice and awakening promises. And indeed, Zen practice and awakening can alleviate our suffering and deliver this freedom and independence, to one degree or another. However, it is not as simple as many of us originally may have thought or wished. Zen stories are filled with an encounter between a master and a disciple which in an instant the disciple is enlightened or awakened. That is often presented as the end of the story. We also know and hear of Dharma transmission and people being given the title roshi or Zen master, empowering these sanctioned people by their participation in a Zen lineage and the mythology accompanying it. This leads others to think that institutional sanctioning implies a complete or near complete enlightenment. This virtually is never the case, but rather to a large extent, Zen sanctioning is an institutional necessity to keep the lineage alive, to spread a lineage, to fulfill the need for a teacher and so on. These teachers may be able to help people with their hua-t’ou practice, but maybe not. But certainly they have not finished the path.47 This is to say, for all practitioners, there needs to be vigilance with our practice, almost more so after an awakening, when inflated thoughts of self and our attainment have a way of creeping in. Fortunately, many teachers from the past were well aware of this need. Ta-Hui in China and Chinul in Korea were also concerned with these postawakening problems and questions, as were other well-known teachers of the time. Without going into a long discussion of different ideas of practice, Zen mostly follows a scheme known as “sudden awakening/gradual cultivation.”48 That is, though awakening happens suddenly, there still remain strong habit energies or selfish tendencies or karma or however one chooses to label tendencies that do not disappear because of one awakening or even many awakenings. Chinul names these initial awakenings as “understanding-awakening” where there is a clear comprehension of nature and characteristics in which one has clearly comprehended the mind-nature. So while the student may have the correct understanding, his practice would be too immature to act consistently enlightened. He would need gradual cultivation to counter his defiled tendencies and to cultivate wholesome qualities.49 This calls for focusing on integrating the awakening insight into each aspect of one’s daily life. But some people think otherwise, become infatuated with the level of their awakening or think they are above everyone else because of their awakening experience or with the power imputed to them by Zen institutional titles and authority, and they let the power and authority go to their heads. Some think because they have seen their nature they are free to act as they please. However, this can cause suffering for one’s self and for others. It has led to many unfortunate problems for individuals and for Zen centers in western Zen over a period of forty-five years. I think more emphasis on embodying and integrating the insight is called for. Perhaps the most direct clear warning discussing the level of one’s maturity in the practice is seen in Chinul quoting the famous Zen and Hua-Yen teacher Tsung-Mi (780-841): “If the manifesting formations are not yet severed and the defilements and habit-energies persist, or whatever you see leads to passion and whatever you encounter produces impediments, then although you have understood the meaning of the nonarising state, your power is still insufficient. You should not grasp at that understanding and say, “I have already awakened to the fact that the nature of the defilements is void,” for later when you decide to cultivate, your practice will, on the contrary, become inverted. Of course, the nature of defilements is void, but they can still cause you to feel the results of karma. That karmic result might have no nature, but still it acts as the cause of suffering. Although the pain of suffering is empty, how difficult it is to bear! Hence it should be clear that if words and actions are contradictory, the correctness or incorrectness of one’s practice can be verified [emphasis mine]. Measure the strength of your faculties; you cannot afford to deceive yourself. Examine your thoughts and guard against error; you must be absolutely thorough in this!“50 This warning not to cling to some awakening experience as the end of practice is very clear and straightforward. We must measure our actions, be aware of our habit energies, and be clear with ourselves as to how we act and think as we encounter the world. This is our practice so of course we must examine our thoughts and actions and must be “absolutely thorough in this!” In simple terms, to repeat Tsung-Mi’s words “if words and actions are contradictory, the correctness or incorrectness of one’s practice can be verified.” With this simple line, we can clearly tell the maturity of our practice.51 Chinul goes on to add the need for a vow of compassion. “After the understanding gained through awakening is achieved, one should contemplate the sufferings of sentient beings through discriminative wisdom and make the vow of compassion.”52 In Mahayana, for wisdom to be liberating it must also be compassionate. In a sense then, our practice becomes a practice not for ourselves, but for others. Chinul chides those who after having an awakening declare the nature of the defilements are void and then fall into a carefree attitude. He talks of these people not having “shame” when they make karma producing acts. He calls this the “contamination of conceit” and that their “vigor and willpower are entirely lacking.”53 Later he adds, “although the approaches to cultivation are incalculable, loving-kindness and forbearance are their origin.” Chinul mentions cultivating compassion, loving-kindness and forbearance as wholesome qualities. We can add generosity, morality and diligence to the list.54 I think by taking seriously the words of these teachers from earlier times quoted above and applying them thoroughly, we can tell the maturity or immaturity of our practice, whether it is hua-t’ou or any other practice. By taking the words of these long dead Zen teachers to heart, we can avoid the “contamination of conceit.” Recommended Reading Buswell, Robert, The Collected Works of Chinul, University of Hawaii Press, 1983. Especially relevant are pages 238 – 261, ”Resolving Doubts About Observing the Hwadu” and pages 262- 374, ”Excerpts From the Dharma Collection and Special Practice Record with Personal Notes.” The book is a treasure for Zen practitioners. Buswell’s ”Introduction” and extensive notes to each chapter are especially rewarding. Sadly, the book is out of print but available from libraries. Swampland Flowers: The Letters and Lectures of Zen Master Ta-Hui, tran. by J.C. Cleary, Shambala, 2006. This is a collection mostly of Ta-Hui’s letters to his literati students. Unfortunately, the book only contains Ta-Hui’s replies without the letters he is replying to. Nevertheless, there is much to be gained by reading his replies. The letter exchanges of Ta-Hui and his students are studied to this day in Korean monasteries. Luk, Charles, Chan and Zen Teaching, First Series, Rider and Company, 1969, see pp. 19 – 48 for a discussion of hua-t’ou practice. See pp. 49 – 109 for Hsu-yun’s daily lecture given at two one week retreats in Shanghai, in 1953. Batchelor, Stephen, The Faith to Doubt: Glimpses of Buddhist Uncertainty, Parallax Press, 1990. I recommend the whole book but especially see pp.19 – 36 for a discussion of the hua-t’ou, ”What is it” and pp. 37- 58, ”Questioning.” Kusan Sunim, The Way of Korean Zen, translated by Martine Fages, Weatherhill, 1985. Especially relevant are pp. 59 – 72, ”Instructions for meditation.” This section includes Kusan’s short commentary on the Ten Diseases (Defects) of Ta-Hui. Sung Bae Park, Buddhist Faith and Sudden Enlightenment, Suny University of New York Press, 1983. Sheng Yen, Shattering the Great Doubt: The Chan Practice of Huatou, Shambala. 2009. There is some good advice here, but there is also much repeating of Chan sectarian mythology as fact. He also presents stages in the practice which for analytic type people can cause problems as they try to figure where they are in his stage scheme. Levering, Miriam, Ch’an Enlightenment for Laymen: Ta-Hui And The New Religious Culture Of The Sung, Phd. Dissertation, Harvard University, 1978, available from UMI Dissertation Publishing. For those with a scholarly bent, this dissertation gives a background of Ta-Hui’s thought in the context of Chinese religious, social, and political ideas and environment of his times. See pp. 207 – 239 ”Hua-yen Thought and Lay Practice.” There is also much material about the hua-t’ou and why and how to practice it, see pp. 240 – 282, ”Hua-tou Practice: The Need For The Hua-t’ou, and pp. 283 – 311, ”Faith, Doubt, and the Hua-tou.”
Notes 1 A shortened version of this paper will delivered at the Oslo Buddhist Studies Forum, Feb. 28th, 2012. I would like to thank Meredith Churchil, Ute Huesken, Jeff Larko, and Chuan Zhi of the Hsu Yun Temple for help and support. I welcome comments to the paper: slachs@att.net 2 Miriam Levering, PhD. Dissertation, Ch’an Enlightenment For Laymen: Ta-Hui And The New Religious Culture Of The Sung, Harvard University, 1978, p. 240. Throughout this article, I will use the better known word Zen even when referring to Chinese Ch’an or to Korean Seon. 3 Besides practicing the hua-t’ou method for roughly thirty years, for roughly ten years, while at the Ch’an Meditation Center of Shifu Sheng-Yen in NYC, I conducted private interviews with mostly western students during seven-day meditation retreats. A good percentage of those students were doing hua-t’ou practice. 4 The Collected Works of Chinul, trans. by Robert Buswell, University of Hawaii Press, 1983, p. 67. 5 In the context of koan literature, a Zen master is someone in a Zen lineage who was given the title Zen master by his master. 6 The practice is not widely done in Japanese Zen where going through a koan curriculum is the favored form of practice for Rinzai and the modern Sanbokyodan sect practitioners. Soto Zen pracitioners as a rule do not use koans or hua-t’ou as a meditation practice, but practice shikantaza (just sitting). 7 Levering, p. 246. 8 He also feared the literati would be attracted to the growing popularity of the Tsao-Tung tradition and their ”still form” of meditation. See Schlutter, Morten, How Zen Became Zen, University of Hawaii Press, 2008, p. 180). 9 Levering, p. 273. 10 Levering, p. 274. 11 There are others who have had success with the method who did not require this as a prerequisite, though I believe this is a minority view. 12 Schlutter, p. 109 13 Levering, p. 240. 14 Levering does not translate the Chinese characters, which are pronounced shi-tai-fu. However, in this paper I will use the common translation ‘literati’. In a private email, Levering said the term was formerly translated as ‘scholar official’. 15 Schlutter, p. 180. 16 I spent three months in Songgwangsa monastery in South Korea in the 1990’s and was informed that Ta-Hui’s letters were part of the curriculum studied by new monks during their first few three month training periods. This seems to be different in Japan. In the late 1980’s I spent time at Dai Shuin, the temple of Morinaga roshi located in Kyoto. None of his monks I spoke with knew of Ta-Hui or Daie, his Japanese name. Morinaga roshi offered me a beautiful bound version of the complete works of Ta-Hui, which I refused because I do not read Japanese. He said “take it, none of the monks have any interest.” 17 See Levering, pp. 246–260 for a discussion of Ta-Hui’s view of the misguided education of the literati and the need for Zen practice. 18 Leighton, Dan, “Zazen as an Enactment of Ritual,“ in Zen Ritual, ed. by Steven Heine and Dale S. Wright, Oxford University Press, 2008, p.183. This article, based on Dogen’s understanding of Zen, presents a very different understanding of Zen practice than Ta-Hui. 19 Though silent illumination and shikantaza are seemingly similar practices, I have heard Chinese affiliated people say they are different. 20 See Empty Cloud: The Autobiography of the Chinese Zen Master Xu Yun, trans. by Charles Luk, revised and ed. by Richard Hunn, 1988, Element Books Limited, pp.7,8. My thanks to Chuan Zhi of the Hsu-yun Temple for this reference and for many helpful suggestions. 21 See ”Gradual Experiences of Sudden Enlightenment: The Varieties of Ganhwa Seon Teachings in Contemporary Korea,” Ryan Bongseok Joo, paper delivered at the 2011 AAS conference in Honolulu, Hawaii. http://international.uiowa.edu/centers/caps/documents/RyanJooAAS2011.pdf. This is an extremely interesting and unique paper discussing the understanding and practice of ganhwa (hua-t’ou) practice by three leading Korean teachers. Each of the three teachers discussed has views different from the other teachers and different from the Chinese way of practicing the hua-t’ou. 22 Sung Bae Park, Buddhist Faith and Sudden Enlightenment, State University of New York Press, 1983, p. 67. The Three Greats were introduced in the 14th century by Ch’an master Kao-feng as the “three essentials of questioning practice” in his book, Ch’an-yao or The Essential of Ch’an Meditation. 23 Levering, p. 283. 24 Hsu Yun, perhaps the most famous Zen master in China since the 19th century, favored hua-t’ou practice and also stressed the need for great faith in the method. See http://www.hsuyun.org/chan/en/essays/bychuanzhi/759-huatoupractice.html (date of last access: 2.6.2012). The Hsu Yun Temple website, http://www. hsuyun.org (date of last access: 2.6.2012) has much material from Hsu Yun and a wide assortment of articles related to practice. Of particular interest are the articles by Chuan Zhi. 25 Levering, p. 288. The full quote is, “Unwilling to have faith in the possession within your own house, you do nothing but seek outside.” 26 Park, Buddhist Faith and Sudden Enlightenment, p.20. Park, quoting Chinul calls this patriarchal faith, that is, believing that everyone is originally Buddha. This is opposed to doctrinal faith, which encourages people to have faith in the principle of cause and effect (p. 19). 27 Levering, p. 294. 28 Schlutter, p. 109. 29 Levering, p. 301. One’s enlightenment will be in proportion to one’s doubt: “A great doubt must be followed by a great enlightenment.” 30 Levering, p. 302. 31 Sheng Yen, Shattering the Great Doubt, Shambala, 2009, pp. 83-90. 32 Buswell, 1983, p. 68. 33 Levering, p. 270. 34 Levering, p. 264. 35 Shifu Sheng Yen in oral instructions. 36 Cleary, Christopher, Swampland Flowers: The Letters and Lectures of Zen Master Ta Hui, Grove Press, 1977, p. 57. 37 Buswell, 1983, p. 249. 38 See”Gradual Experiences of Sudden Enlightenment: The Varieties of Ganhwa Seon Teachings in Contemporary Korea,” by Ryan Bongseok Joo, paper delivered at the 2011, AAS conference in Honolulu, Hawaii. The three modern Korean Zen teachers discussed in this paper seem concerned with the state of the student before the awakening moment rather than after, as is common with Japanese and Chinese Zen traditions, where the student is given “checking questions” to determine the depth of their experience. 39 Levering, p.310. Though Ta-Hui never recommends changing your hua-t’ou after an awakening to deepen an insight, he in fact changed his hua-t’ou under direction from his teacher Yuan-Wu and had a more profound experience. 40 The “Mu” hua-t’ou is: “Does a dog have Buddha-nature or not? Joshu (Chao-chou, Ch.) replied: Mu! (not!).” 41 Buswell, 1983, p. 246. 42 Buswell, 1983, pp. 245, 246. Chinul being Korea used the word hwadu as did Robert Buswell, the translator, but to keep the discussion consistent, I replaced the Korean hwadu with the Chinese huat’ou. 43 Buswell, 1983, p. 240. 44 Buswell, 1983, p. 250. 45 Luk, Charles, Chan and Zen Teachings, First Series, Rider and Co., 1960. See pp. 19 - 109 for Hsu-yun’s teaching on hua-t’ou practice and talks given at two- one week retreats in Shanghai in 1953. 46 Buswell, 1983, p. 251, Chinul quotes the Korean monk Wonhyo, a famous contemporary of Chinul. Wonhyo was the most prolific Zen writer in history. Wonhyo traveled back and forth to China and was an influential force in Chinese Buddhism. A project is underway to translate all of his extant works into English. Prof. Buswell is in charge of the project. 47 I have a number of papers on the internet that discuss problems related to Zen’s institutional sanctioning and to a large measure, misleading people as to the meaning of Dharma transmission and of the titles Zen master and roshi. <Lachs.inter-link.com>. For an important paper discussing Dharma transmission, especially so as related to Soto Zen, see, Bodiford, William M., “Dharma Transmission in Theory and Practice,” in Zen Rituals, ed. by Steven Heine and Dale S. Wright, Oxford University Press, 2008, pp. 261-279. 48 I think in part the problem of post awakening practice in Zen comes from the Lin-Chi (Rinzai, Jp.) sect’s ideological stance of sudden awakening/sudden cultivation which holds that in the sudden awakening experience, the path is fully completed, hence the term sudden cultivation. I think this is mostly an ideological stance maintaining the superiority of Zen’s sudden approach over the gradual approach of other sects of Buddhism. Hence we see little or no talk of ethics or in developing wholesome qualities. However, Hakuin, Ta-Hui, Chinul, and Hsu-Yun all cultivated after their initial experiences and had other awakening experiences after an initial awakening, as have most every other famous Zen person. Songchol, a recently deceased leading Korean Zen teacher was rare in that he maintained the sudden enlightenment/sudden cultivation view, but he was very demanding in what he considered sudden enlightenment. 49 Buswell, Jr., Robert E., “Pojol Chinul and Kanhwa Son: Reconciling the Language of Moderate and Radical Subitism,” in Zen Buddhist Rhetoric in China, Korea, and Japan, ed. by Christoph Anderl, p. 347, Leiden: Brill, 2012. 50 Buswell, 1983, p. 305. 51 At times what appears to many as self-serving behavior by teachers has been explained away as “crazy wisdom,” the actions of supposed highly enlightened beings that only seem self-serving because ordinary folk cannot understand so highly evolved people. I hazard to say that people this highly enlightened are extremely rare, the proverbial needle in the haystack at best. I find it interesting that virtually all of this supposed behavior labeled “crazy wisdom” seems to bring pleasure to and to serve the needs of the wise one acting so, often to the detriment of others and themselves. Similar behavior displayed by other people would be called self-serving, a weakness or an addiction of some sort. 52 Buswell, 1983, p. 308. 53 Buswell, 1983, p. 310. 54 The Six Paramitas, the perfections to reach the other shore (Buddhahood): giving (dana ), morality (shila ), patience (kshanti ), diligence (virya ), meditation (dhyana ), and wisdom (prajna ) are basic to all of Mahayana Buddhism. Zen however places most importance on wisdom with its emphasis on formal meditating together as a group, seven day or longer meditation retreats, and daily meditation. In addition, the emphasis on wisdom can be seen in the daily morning and evening chanting of the Heart Sutra, a condensation of the vast body of wisdom (Prajna ) literature. In fact, there is little institutional concern with regards to activities not related to meditation and wisdom. The koan collections along with the Collected Sayings (yulu) literature, which so define Zen, are overwhelmingly concerned with wisdom. I think there may be an institutional weakness in Zen, at least as it has come to the west, by and large from Japan, in that developing wholesome qualities are not given enough attention or even valued. The rethoric that idealizes the actions of Zen Masters also clouds the issue. | | |