Traduzioni di Dharma

LO ZEN e l’ARTE
di diventare BAMBINI….
di Rossana Campo
@-2008- Newton Compton ed.
 

 
Venendo, andando, l’uccello non lascia tracce, né ha bisogno di una guida”
“I pensieri sorgono senza sosta, e breve è la durata di ogni vita. Cento anni sono trentaseimila giorni: la primavera passa, la farfalla sogna…”
“Vento forte, luna fredda. Un lungo torrente attraverso il cielo. Nessuna ombra oltre il cancello. Quattro lati, otto direzioni…”
“Finalmente, oltre il limite. Non più legami, né dipendenza. Com’è calmo l’oceano, che sovrasta il Nulla!”

 

      Una volta, diversi anni fa, ho letto qualcosa che parlava del come vivere e come morire. Del come mangiare e come camminare. E’ qualcosa che molti conoscono, almeno le persone che hanno letto, cercato, trovato, che si sono interessate al pensiero del buddhismo Zen. Questa frase diceva: “Quando cammini, cammina; quando mangi, mangia; quando muori, muori!”

Io non sono certo un’esperta di Zen. Non aspettatevi quindi lunghe e complicate dissertazioni sullo Zen, o sulla poesia Zen. Voglio solo tentare di portarvi un po’ più vicino a quello che io ho percepito come lo spirito zen. Un famoso maestro giapponese diceva: “Se sei in riva al fiume, e se senti la bellezza del fiume, se riesci ad essere tutt’uno col fiume, allora stai agendo intuitivamente con il tuo spirito zen, con il tuo spirito illuminato”. E fare questo non è niente di straordinario, è nella nostra natura poterlo fare. Il fatto è che spesso la nostra vera natura è ricoperta da idee ricevute e preconcette, paure, pensieri di guadagno e perdita, aspettative, veri e propri film mentali. Siamo riempiti dall’idea che si debba essere efficaci, belli, perfetti. Quando siamo staccati dalla nostra vera natura, diceva il maestro Zen, allora noi abbiamo paura. Quando invece intuiamo che noi siamo una cosa sola col fiume, col cielo, con l’universo, allora siamo in pace.

Un po’ di tempo fa, anch’io ho provato a praticare la meditazione Zen. Ho provato diverse volte a stare seduta in zazen per qualche ora. Ci ho provato, anche se non è stato un successo. Ma non importa, l’importante è che ci ho provato. Questo importa tantissimo. Il fatto che ci sono andata, un pomeriggio di febbraio di quasi quindici anni fa, in un centro Zen di Parigi, la città dove allora vivevo. Si trovava in Rue Keller, se ricordo bene, XI° arrondissement, nel quartiere Bastille. Una zona di Parigi che io bazzicavo soprattutto per i suoi bar, o per girovagare e andare al cinema. Ma proprio in quel periodo, avevo letto un interessante e incredibile poetico libretto di Shunryu Suzuki, maestro giapponese della scuola Zen Soto che viveva negli USA da molti anni. Il libro era una raccolta-trascrizione dei suoi discorsi e si intitolava ‘Esprit Zen, esprit neuf’ (tradotto in Italiano col titolo ‘Mente Zen, mente di principiante’).

Secondo me, la cosa importante, è che quando noi diciamo ‘mente’, parlando di buddhismo e soprattutto di Zen, dobbiamo cercare di non pensare alla mente come al nostro cervello raziocinante, quella mente che fa calcoli, che guida l’auto o che controlla se abbiamo pagato le bollette. La mente, per le filosofie orientali, è sempre una questione di ‘mente-cuore-vita’.

E’ anche testa, sì, ma unita ad una forma di ‘percezione-intuizione-emozione’. E poi, ancora, respiro e poesia. E’ ‘sentire’ con la mente. Volare con la mente. Vibrare con il cuore, stando radicati nella terra. Percepire il miracolo ‘ordinario’ dell’esistenza, con l’innocenza meravigliata delle prime domande. Dentro la nostra piccola vita, con le bollette da pagare, la spesa da fare al supermercato, la persona che mi piace o quella che mi snobba. Tutto questo e, allo stesso tempo, qualcosa di più vasto che tutto ciò comprende, che è ed esiste forse proprio a partire da ‘tutto questo’.

Questo è il miracolo ‘normale’ della vita… La vita, non intesa solo come il mio nome e cognome. Proprio la ‘grande’ vita che impregna tutte le cose, la vita che sta dentro di me piccolo essere umano, piccola donna o piccolo uomo, ed anche dentro il cielo, le stelle, il mare, i fili d’erba, la mucca, il mio gatto, la mia vecchia vicina di casa ed il cibo che mangio. Mio padre, mia madre e mio fratello. L’esistenza che pervade tutti, il Duomo, il Presidente della Repubblica, Michelangelo, i quadri, le opere dell’uomo e della natura.

La cosa più esplosiva che trovo negli insegnamenti zen è questo fatto del richiamarsi sempre, costantemente, allo spirito (o mente) del principiante. L’innocenza delle prime domande che facciamo da bambini. L’innocenza del cuore aperto, della mente che si meraviglia. La mente, il cuore, l’occhio del principiante. Questo è il punto a cui mirare e questo è quello a cui tendono i maestri zen (che per motivi che ora mi sono difficili da spiegare, sento sempre molto vicini ai pugili. I grandi ‘mitici’ pugili del passato).

Per esempio, prendiamo la calligrafia zen. Essa consiste nello scrivere in un modo più diretto possibile, così, giù, senza abilità, proprio come farebbe un principiante asso-luto (absolute beginner). Oppure, un bambino, o un matto.

Scrivere così, senza nel modo più assoluto mirare a dar prova di abilità, a mostrare la bellezza, la grazia, l’accortezza del tracciato. Senza voler ricercare la nostra piccola gloria. Ma standoci semplicemente dentro, completamente dentro Essendo totalmente immersi nell’atto, in quel gesto. Stando lì, pieni di attenzione, come se quella fosse la prima volta che prendiamo in mano il pennello (o la penna) e scriviamo la parola. Uva, oca, bello. Se riusciamo a metterci in questo stato d’animo, allora la nostra natura profonda si esprimerà completamente in quell’atto. Vien da pensare alla pittura di Jean Dubuffet.

Lo scopo della pratica zen è proprio questo, mi sembra, e cioè conservare, allenare, lucidare ogni giorno la nostra ‘mente da principiante’. Mente, spirito e cuore da debuttante, stando aperti, fragili e vulnerabili… absolute beginners. La cosa che più profondamente mi tocca, è questa. Ed il pensiero ‘Sono arrivato da qualche parte’, o peggio, ‘Ecco, ora sono arrivato’, proprio non mi interessa più. Quando non coltiviamo più questa idea dell’arrivare da qualche parte, dell’ottenere un certo effetto, del dover dimostrare qualcosa a qualcuno, allora, ecco, sì che siamo dei veri principianti. Grandi dilettanti, nel senso più bello del termine. E, quando siamo aperti e debuttanti, allora quello è il momento che stiamo imparando qualcosa sul serio. Lo spirito del debuttante è anche uno spirito pieno di poesia e di compassione. E, quando siamo nella poesia, cioè nella compassione, siamo diventati illimitati.

Il maestro Suzuki nei suoi discorsi lo ripete spesso: Un tale spirito è anche il grande segreto in tutte le arti. Bisogna essere sempre dei debuttanti, come un poeta alla sua prima opeera. Un cantante che si esprime fuori la prima volta. Uno scrittore al suo primo libro che è ancora senza editore, un regista senza produttore. Così, tornando all’incredibile libretto di Suzuki, ‘Esprit zen’ che dice: “Lo zen è un modo di farvi prendere coscienza di voi stessi, per superare le parole (il termine francese, molto significativo, è ‘depasser les mots’. In quel ‘depasser’ ci vedevo molto proprio il salto che deve fare la nostra mente, la nostra vita, il nostro cuore, non più incatenati al pensiero quotidiano, al sentire comune di tutti i giorni, all’opacità delle percezioni che ci portiamo dietro abitualmente). Per andare a caccia di quella che è la nostra mente originaria, la nostra natura autentica”. Quella che, mi pare, gli psicanalisti chiamano il ‘Sé profondo’. Anche se non si tratta solo di questo.

E’ lo scopo di tutti gli insegnamenti zen, quello di portarci lì. Lì dove si possa arrivare ad indagare, ad interrogarci, a provare a fare questo salto e percepire la nostra ‘vera-natura’. La natura più profonda, la Natura-di-Buddha, che tutti quanti abbiamo e che è rinchiusa come un gioiello nel risvolto della nostra anima. Così dicono i Sutra. Quella natura che in altre scuole buddhiste è chiamata ‘Chiara Luce’ (Og-sel, nel buddhismo Tibetano), oppure ‘Nam-myoho-renge-kyo’ (nel buddhismo di Nichiren Daishonin), ecc.

La natura profonda contiene la nostra storia, proprio la nostra scalcinata storia umana, come figli dei nostri genitori, che erano a loro volta figli dei loro genitori. Con i nostri difetti, i nostri slanci, il dolore, le gioie, e quel qualcosa in più che c’è in tutti, che ci appartiene ed è infinita. Appartiene a noi, ma non solo a noi esseri umani, ma a tutti gli ‘esseri-senzienti’, cioè dotati di senzienza. La nostra natura profonda è anche quelal di tutto l’universo, delle cose sensibili e non-sensibili, come gli ucceli, gli insetti, i pesci, le rocce, le onde dell’oceano. I maestri dicono che essa è una natura luminosa, fatta di luce e di pura compassione. Ma come possiamo arrivarci, noi? Come percepirla?

Ecco, qui sta il percorso, il Sentiero, la Via. Tutta la fatica del percorso, ma anche il vero senso delle nostre piccole vite, immerse però nella infinita ‘vita universale’. Mi ricordo che a suola, alle elementari, io non ero in grado di capire la matematica. Non sapevo come fare la ‘prova del nove’. Così, mi ero inventata un modo tutto mio per farla. Infilavo dei numeri a caso, o secondo un ragionamento tutto mio e poi, come tutti gli altri, esclamavo: “Giusto!”, tentando con tutta me stessa di credere di essere come gli altri che ci riuscivano. Diverse volte mi andò bene, finché una volta la maestra, dando una controllata al mio quaderno, rimase lì a fissarmi, guardandomi con la bocca aperta e dicendomi poi: “Beh, e questo che significa?”.

Bene, per me, questo spirito di principiante, questo spirito zen, passa un po’ da queste esperienze, nell’accogliere quella me-stessa bambina, che si inventava un suo modo per fare la prova del nove. Che soffriva terribilmente nel non capire la matematica, nel non venire lodata dalla maestra e per tutto il resto che allora succedeva nella mia vita. In quella ragazzina incasinata, col tempo, io poi ho scoperto la parte migliore di me. E l’ho scoperto, camminando, scrivendo, dipingendo, amando, soffrendo, godendo e pensando. Questa è la parte di me che non si sente ‘arrivata’, che sa di avere una bella dose di limiti e che, proprio a partire da questi limiti, incapacità, paure, trucchi e invenzioni mentali, sa di essere viva. Ed anche un po’ ‘infinita’.