Traduzioni di Dharma

Ma lo Zen è davvero buddhismo?

tratto da: http://www.angelfire.com/electronic/awakening101/iszen.html

 

 <Coloro che concepiscono l'identità del Ch'an come indipendente dall’ insegnamento buddhista non comprendono che le "Scritture" (ching), sono le parole del Buddha, e la meditazione (ch'an) è la stessa mente del Buddha, e non vi è alcuna differenza di sorta tra ciò che il Buddha concepisce nella sua mente e ciò che egli esprime con la sua bocca>.
Tsan-ning (919-1001).
 

Sebbene lo Zen sia riconosciuto come una legittima denominazione del buddhismo, molti pensano che esso cerchi di trasmettere lo spirito del buddhismo senza prescrivere la fedeltà agli insegnamenti del Buddha. Il suo stimolo richiesto è ‘oltre-le-dottrine’, spesso non utilizzando le Scritture del Buddha, ma usando quelli che sono chiamati ‘mondo’ e ‘koan’ per rivelare la verità dall’interno che, a sua volta, svelerà il Bodhi (Illuminazione). Alcuni addirittura vanno oltre. In entrambi i casi, lo Zen è un tentativo per la diretta Trasmissione della Luce al di fuori delle Scritture.

Molti critici vedono il buddhismo Zen come non religioso e non-buddhista. Gli aderenti-Zen lo vedono come un modo veloce di "raggiungere" l’Illuminazione senza andare in giro con campane e fischietti, essendo l’Illuminazione l'unico vero e reale obiettivo di tutti i precetti buddhisti. Come si sarà potuto vedere dalla lista del lignaggio, tuttavia, e indipendentemente da ciò che si dice, se presa per essere un’indicazione accurata, c’è una linea diretta dal Buddha ai patriarchi Zen. Tuttavia, dicendo questo, il concetto di lignaggio non è totalmente senza controversie. Lo stesso Bodhidharma a volte è indicato come non più che un semplice mito o una leggenda. Questo "mito" è l’argomento esplorato in ‘T'ang Ch'an e il Mito di Bodhidharma’…

Il Buddhismo Ch'an, o Zen, all'interno della religione buddhista, è un metodo che sottolinea la pratica della meditazione come mezzo per l’Illuminazione. I termini Ch'an e Zen sono cinese e giapponese, rispettivamente, e cercano di tradurre il termine sanscrito ‘dhyana’ che significa proprio meditazione.
Le radici dello Zen possono essere rintracciate in India, ma è in Asia Orientale, cioè, in Cina e, infine, in Giappone, che il movimento fiorì e si distinse. Come per gli altri ordini buddhisti Cinesi, il Ch'an si affermò prima come un lignaggio di maestri che sottolineavano gli insegnamenti di un determinato testo, in questo caso il Lankavatara Sutra. Bodhidharma, il primo Patriarca Ch'an in Cina, che si dice sia arrivato dall’India circa nel 470 d.C., fu un maestro che dava valore a questo testo. Egli anche sottolineò la pratica contemplativa della seduta (tso-chan=zazen), e la leggenda vuole che egli stesso trascorse 9 anni in meditazione di fronte ad un muro.

Con l'importanza dei lignaggi, il Ch'an sottolineava la relazione maestro-discepolo, ed a Bodhidharma fece seguito una serie di patriarchi, ognuno dei quali ricevette la Trasmissione del Dharma (verità religiosa) direttamente dal suo predecessore e maestro. Tuttavia, dal 7°secolo cominciò a svilupparsi una divisione nella linea di trasmissione, di cui la più importante fu quella tra Shen-hsiu (606-706) e Hui-neng (638-713), entrambi discepoli del Quinto Patriarca, Hung-jen. Secondo la leggenda, Hui-neng sconfisse Hung-jen con una strofa in una competizione, dimostrando così la sua Illuminazione. Egli fu quindi segretamente nominato ‘Sesto Patriarca’, ma dovette poi fuggire a sud, per timore della gelosia del suo rivale.

La separazione tra Shen-hsiu e Hui-neng contò per i rami meridionale e settentrionale del Ch'an, che erano con determinazione in concorrenza per il prestigio e per il sostegno statale. Il ramo di Hui-neng dominò a lungo, e un postumo decreto imperiale della dinastia T'ang risolse la questione a suo favore nel 796. Da allora, tuttavia, il ramo di Hui-neng prese a sua volta a suddividersi in diverse scuole. La successiva storia del Ch'an in Cina si mescolò. Essa nel 845 soffrì la grande persecuzione del buddhismo. Tuttavia, in parte recuperò meglio di altre scuole buddhiste, perché, a differenza delle altre comunità monastiche, i monaci Ch'an si impegnarono nel lavoro fisico, che li rese indipendenti dal sostegno dello stato e dei laici. Durante la dinastia Sung (960-1279), il Ch'an prosperò di nuovo ed ebbe una notevole influenza sullo sviluppo dell’arte Cinese e della neo-cultura Confuciana.

Fu durante questo periodo che il Ch'an si stabilì per la prima volta in Giappone. A distanza di 30 anni l’uno dall’altro due monaci Giapponesi, Eisai (1141-1215) e Dogen (1200-53), si recarono in Cina, dove si formarono rispettivamente nelle scuole Ch'an di Lin-chi (Rinzai) e Dong-shan (Soto), che poi introdussero in Giappone. Il Rinzai enfatizza l'uso dei Koan, enigmi o ostacoli mentali che il meditante deve risolvere per la soddisfazione del suo maestro. Il Soto mette più enfasi sulla meditazione seduta tramite Zazen senza lo sforzo consapevole per uno scopo, benché il metodo di meditazione di Dogen "solo-sedere" (Shikantaza) sia in una classe a sé stante. Entrambe le scuole favorivano buoni rapporti con gli shoguns e divennero strettamente associate con la classe militare Giapponese. Il Rinzai, in particolare, fu molto influente durante il periodo Ashikaga (1338-1573), quando lo Zen svolse un vero importante ruolo nella propagazione del Neo-Confucianesimo e infondendo il proprio spirito unico nell’arte e nella cultura Giapponese.

Al cuore del monachesimo Zen c’è la pratica della meditazione, ed è questa funzione che è stata la più popolare nella diffusione dello Zen in Occidente. La Meditazione Zen enfatizza l'esperienza della Illuminazione, o Satori (cinese: Wu), e la possibilità di poterla raggiungere in questa vita. La rigorosa formazione dei monaci Zen, le faccende fisiche quotidiane, la costante lotta con i koan, le lunghe ore di seduta in meditazione, e la particolare intensità dei periodi di pratica (sesshin) sono tutte dirette verso questo scopo.

Al tempo stesso, l’Illuminazione è generalmente pensata come ‘improvvisa’. Il meditante necessita di un sobbalzo per risvegliarsi, e quello che di solito inizia così è un maestro dei ricercatori, anche se vi sono diversi esempi di Illuminazione verificatasi "a cielo aperto" quando "la mente è matura", e cioè, percependo un suono o un rumore, sentendo il vento, vedendo una stella, ecc. Il rapporto maestro-discepolo spesso richiede interviste private (dokusan) in cui il tratto di non-convenzionalità Zen viene talvolta a mostrarsi. Il maestro non rilascia il rifugio in Budda o un sutra, ma esige dal suo discepolo la risposta diretta al koan da lui assegnato. Per contro, il maestro può pungolare il discepolo proprio col rimanere in silenzio o aiutandolo con la compassione, ma sempre con l’obiettivo mirato di cercare di provocare una rottura della sua visione convenzionale verso la Verità Assoluta.

Allora ora si pone la questione: ‘La pratica dello Zen, che per sua stessa natura esplora o professa la esperienza di Illuminazione raggiunta dal Buddha e dagli antichi Maestri ‘oltre la Dottrina’, è forse in diretto contrasto o viola le premesse del concetto buddhista di silabbata paramasa ( Pratica-erronea)’?

La mia tesi è che, anche se lo Zen può o non può "essere" buddhismo perché il buddhismo è buddhismo, storicamente lo Zen è strettamente collegato con il buddhismo, anche se l’essenza-di-partenza dello Zen può stare in sé-stesso senza un sostegno esteriore. Nonostante ciò che ognuno dice o pensa, il cuore del buddhismo è l’Illuminazione. Se non c’è Illuminazione, non c’è buddhismo. Il cuore dello Zen è L’Illuminazione. Se Shakyamuni non avesse sperimentato l’Illuminazione sarebbe rimasto chiunque o qualunque cosa fosse prima della sua esperienza e, quindi, non sarebbe potuto diventare Buddha. Pensate, si dichiara che Shakyamuni Buddha sia stato un essere Illuminato. Se noi eliminiamo la sua Illuminazione a livello di come la sperimentò, che cosa avremo? Senza uno Shakyamuni Illuminato non ci sarebbe il Buddha, il che a sua volta implica che non ci sarebbe il buddhismo. L’Illuminazione, tuttavia, c’è di per sé. E’ un concetto abbastanza semplice.

Il Maestro Zen Cinese Te-Shan quando era giovane sentì di un "corrotto insegnamento nel Sud" che insegnava il buddhismo "al di fuori delle Scritture". Egli quindi viaggiò fin là per screditare questo modo di pensare. Quando fu giunto, egli ottenne la Realizzazione degli Antichi, grazie ai loro metodi, ed, a sua volta, bruciò tutti i suoi libri e commentari sullo Zen che si portava dietro ovunque andasse:

La famosa immagine di Te-shan che strappa i sutra, in un’estasi liberata, è l'immagine di Te-shan nel momento in cui si appropriò ed interiorizzò i sutra. Forse che Te-shan distrusse i testi sovvertendone l’autorità perché la sua Realizzazione era in conflitto con quella prescritta dai testi? Assolutamente no! La Realizzazione di Te-shan deve essere intesa come attualizzazione della stessa 'Via' che dette luogo alla realizzazione del Buddha, che è descritta nei sutra, così come la realizzazione di Te-shan è impressa nel resoconto testuale del suo agire iconoclasta.

Quell’atto iconoclasta non è la denuncia di un'autorità che è stata spezzata e superata, e si trova pari pari anche nella vita di Lin-chi, che, dopo aver dato uno schiaffo al suo maestro Huang-po, e quindi ostentando la sua libertà dall’autorità buddhista, si stabilì poi nel monastero a studiare proprio sotto il Maestro, addirittura per più di due decenni. L'atto liberatorio di 'gettar via' fu incorporato in una più comprensiva intenzione diretta verso la comune pratica che includeva l'obbedienza, la lealtà e l'apprendimento.
Chiunque legga i miei articoli può capire che io sono un forte sostenitore dello “Zen al di fuori delle Scritture”. Io ho le mie ragioni, ma non è certo per un pregiudizio anti-buddhismo. Anzi, è proprio il contrario. Come attestato sopra con le storie di Te Shan e Lin-chi, è mia convinzione che chiunque può venire a comprendere le Scritture ed afferrare i Koan in modo assai più semplice e molto meglio dopo il fatto, e quindi essere ancor più propagandista della Verità. Ad esempio, nei ‘Quattro Tipi di Arahat’, il quarto tipo, cioè quello più alto tra gli Illuminati, è chiamato Patisambhidhapatta Arahat. Tra i principali attributi di un Patisambhidhapatta Arahat vi è la conoscenza e la comprensione di testi sacri e la capacità di spiegare semplicemente qualsiasi difficoltà e problema e rendere più facile alle altre persone poter comprendere la super-conoscenza di tutti gli insegnamenti del Buddha --- un aspetto della Realizzazione degli Arahat sul lato Illuminato delle cose. E qui stiamo parlando (e so che è una linea sottile) di Arahat, non di Pratyekabuddha, Bodhisattva, o Buddha. Meglio essere illuminati e cogliere innatamente la piena comprensione delle Scritture - che essere laici che per anni lottano cercando di dare un significato a tutti i testi semplicemente studiandoli o leggendoli. Sebbene non del tutto inutili come la storia sembrerebbe suggerire, perché tutte le campane, fischietti, e rituali proprio sono solo bardature che pesano e aumentano la confusione, anziché uno che si occupa di ciò tramite i tradizionali servizi buddhisti, come templi Zen, sangha, o sesshin. L'idea è di tagliarli al più presto. Avete apprensioni? Pensate che non funzionerà? Dopotutto voi non sarete neanche un Sotapanna, tanto meno un maestro Zen, Arhahat, Pratyekabuddha o Bodhisattva. Ricordate che…

"Il Buddha disse che né la ripetizione delle sacre scritture, né l’auto-tortura, né il dormire per terra, né la ripetizione di preghiere, penitenze, canti, mantra, incantesimi e invocazioni può portarci la vera felicità del Nirvana. Invece il Buddha sottolineò l'importanza dello sforzo individuale, per poter riuscire a raggiungere i nostri obiettivi spirituale". Vedi nota (a)

Nel precedente paragrafo ho detto che ho le mie ragioni. Il fatto è che lo Zen non ha ancora i diritti esclusivi per l'Illuminazione. Il mio mentore ha studiato sotto Sri Ramana Maharshi in India, lontano dalla tradizione Zen. Sri Ramana si risvegliò assai giovane praticamente dal nulla, senza una formale preparazione e senza un maestro. A sua volta, il mio mentore si è risvegliato dopo due anni sotto la grazia e la luce del Maharshi. Vero è che egli si è anche recato in Giappone, fu ben istruito nello Zen, e conobbe anche Yasutani Hakuun Roshi, ma la sua esperienza di Illuminazione trapelò sotto l'egida di influenze Indiane. Fu grazie alla connessione del mio mentore con Yasutani, che io alla fine studiai per un po’ di tempo, potrei aggiungere con poco successo, sotto l'egida del Roshi (vedi).

D.T.Suzuki ha scritto nel suo libro "Zen Buddhism: Selected Writings": “Il buddhismo è una struttura costruita intorno alla coscienza interiore del suo fondatore. Lo stile e il materiale della struttura este-riore può variare quando la storia si muove avanti, ma il significato interiore dello Stato di Buddha, che sostiene l'intero edificio, rimane lo stesso ed è sempre vivo. Mentre sulla terra, il Buddha cercò di renderlo intelligibile in accordo alla capacità dei suoi immediati seguaci, e cioè, questi ultimi fecero del loro meglio per comprendere il profondo significato dei diversi discorsi del loro Maestro, in cui egli indicò la Via per la Liberazione finale. Come ci è stato detto, il Buddha parlò "con una sola voce", ma ciò fu interpretato e compreso dai suoi devoti nelle più svariate maniere possibili(1)”.

Questo non poté essere evitabile, perché ciascuno di noi ha la sua propria esperienza interiore che si spiega in termini della nostra stessa creazione, e naturalmente varia in profondità e ampiezza. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, queste cosiddette esperienze interiori singole non possono essere così profonde e forti, come a chiedere un’originale fraseologia assoluta, ma rimangono soddisfatte con nuove interpretazioni dei vecchi termini - una volta rimessi in uso da un antico originale leader spirituale. E questo è il modo in cui ogni religione storica cresce arricchita nei suoi contenuti o idee. In alcuni casi, questo arricchimento può significare l'eccesso di sovrastrutture che finiscono in una totale sepoltura dello spirito originario. Qui è dove necessita il giudizio critico, ma noi non dobbiamo dimenticare di riconoscere il principio vivente che è ancora in attività. Nel caso del buddhismo, non dobbiamo trascurare di leggere la vita interiore del Buddha, che riafferma se stesso nella storia di un sistema religioso designato con il suo nome. La pretesa dei seguaci dello Zen che proprio essi stanno trasmettendo l'essenza del buddhismo si basa sulla loro convinzione che lo Zen sostiene di incarnare lo spirito del Buddha, spogliato di tutti i suoi orpelli storici e dottrinali.

Secondo Tsan-ning (919-1001): “Coloro che concepiscono l'identità di un Ch'an indipendente dall’ insegnamento buddhista non comprendono che "le Scritture (ching), sono le parole del Buddha, e la meditazione (ch'an) è il pensiero del Buddha", e che non vi è alcuna differenza di sorta tra tutto ciò che il Buddha concepisce nella sua mente e ciò che egli esprime con la sua bocca”.

Nota:(a) ‘Fundamentals of Buddhism, Nyanatiloka Mahathera, Buddhist Publications Society (1949, 1956, 1968).


SILABBATA PARAMASA DITTHI (http://www.angelfire.com/indie/anna_jones1/silabbata.html )

SILABBATA PARAMASA è generalmente tradotto nel senso di adesione a riti, rituali e cerimonie non proprio lecite. Il credere che una pratica sbagliata sia una pratica corretta, è chimato Silabbata-paramasa, che è appunto il credere, sostenere e supportare un forma di convinzione errata nella pratica. Conformemente all'insegnamento del Buddha, a parte l’Ottuplice Nobile Sentiero, tutte le altre pratiche sono pratiche errate e ritenerle pratiche corrette comporta una convinzione sbagliata nella pratica.

Tutto ciò che appare nelle sei porte dei sensi costituisce i Cinque Aggregati dell’Attaccamento, e cioè, Nama, Rupa (nome e forma), la Verità della Sofferenza. Meditare su nama/rupa vuol dire praticare il Sentiero attraverso il quale le Quattro Nobili Verità potranno essere comprese. Credere e praticare in qualsiasi altro metodo che metta da parte il Sentiero (Magga) e che non porti alla comprensione delle Quattro Nobili Verità, è una credenza in una pratica erronea (silabbata paramasa ditthi).

Ci sono persone che vanno predicando che "Non è necessario praticare la meditazione, e neanche osservare i precetti (sila)". Cioè, esse dicono che "è sufficiente semplicemente ascoltare i sermoni e imparare a memoria la natura di nama/rupa ". Bisognerà esaminare se tali visioni possano portare a silabbata paramasa. Secondo il parere di alcuni, tali ingiunzioni portano ad insegnare visioni erronee nella pratica, in quanto questo metodo esclude le tre discipline di:

Samadhi

Sila

Vipassana

Anche se una persona che è al minor livello di conoscenza può partecipare ad una pratica erronea ed anche se non è consapevole di ciò, un Sotapanna, persona che è al primo dei Quattro Livelli della Santità e in quelli superiori, essendo ben stabilito nella conoscenza della Retta Pratica, non è capace di mantenere la visione errata di silabbata paramasa(1).

Quindi, torniamo ora alla domanda iniziale, "La pratica dello Zen, che per sua stessa natura esplora o professa l'esperienza dell’Illuminazione raggiunta dal Buddha e dagli antichi maestri Oltre la Dottrina, è forse in diretto contrasto con, o viola, le premesse implicite o radicate nella silabbata paramasa?"

SOTAPANNA: una persona che è ‘entrata-nel-flusso’, perché ha vinto il Samsara ed è entrata nella Via che conduce al Nirvana. Il flusso rappresenta il Nobile Ottuplice Sentiero. Un Sotapanna non è più un essere ‘mondano’, ma uno di Quelli del Nobile buddhismo.

Un Sotapanna ha sradicato le due peggiori oscurazioni - Ditthi (false visioni della mente e del corpo) e Vicikiccha (dubbi circa il Buddha, Dhamma e Sangha) - e tre dei legami di base - ossia, Sakkaya-ditthi, Vicikiccha e Silabbataparamasa, dai Dieci Incatenamenti del buddhismo. Egli ha anche eliminato le proprietà grossolane delle restanti oscurazioni - proprietà che possono gettare una persona nello stato di Apaya. Per il Sotapanna, le porte dell’Apaya saranno chiuse per sempre, né egli potrà mai più ritornare ad essere nuovamente una persona ‘mondana’.

APAYA: Le nove dimore degli esseri viventi: I reami degli esseri celesti, il regno umano e il regno dell’indigenza (apaya) sono classificati come i reami dei sensi, la condizione degli esseri viventi che indulgono nella sensualità. Nel loro insieme, essi contano come uno. I Reami della Forma, sono quelli degli esseri viventi che hanno raggiunto Rupa-jhana e sono quattro. I Reami del Senza-Forma, sono quelli degli esseri viventi che hanno raggiunto arupa-jhana, e sono anche quattro. Così, in tutto, ci sono nove dimore per gli esseri viventi. Gli Arahat - che sono i saggi nei Nove Reami – li lasciano e non devono più vivere in uno di essi (cfr. anche Pratyeka-Buddha).

Le nove dimore per gli esseri [sette stati di coscienza e due sfere]:

1. Ci sono esseri con diversità di corpo e diversità di percezione. Questo è il Primo Stato di Coscienza.
2. Ci sono esseri con diversità di corpo e singolarità di percezione generata dal Primo Jhana. Questo è il Secondo Stato di Coscienza.

3. Ci sono esseri con la singolarità del corpo e diversità della percezione. Questo è il Terzo Stato di Coscienza.
4. Ci sono esseri con singolarità del corpo e singolarità della percezione. Questo è il Quarto Stato di Coscienza.
5. Ci sono esseri che trascendono completamente la percezione della forma [fisica], con la sparizione di percezioni della resistenza, e non mantengono la percezione della diversità, del pensiero, di 'spazio infinito,' arrivano alla dimensione dell’infinitezza dello spazio. Questo è il Quinto Stato di Coscienza.
6. Ci sono esseri che, con il completo trascendere della dimensione di spazio infinito, di pensiero, di 'Infinita Coscienza', arrivano alla dimensione della Coscienza Infinita. Questo è il Sesto Stato di Coscienza.
7. Ci sono esseri che, con il completo trascendere della dimensione di Coscienza Infinita, di pensiero, di 'Non esiste nulla', arrivano alla dimensione del Vuoto o Nulla. Questa è il Settimo Stato di Coscienza.
Le due sfere sono:

8. La dimensione degli esseri non-percipienti;

9. La dimensione di né percezione né non-percezione.

(Maha-Nidana Suttanta, DN 15)

JHANAS: Quando uno ha raggiunto il primo Jhana, in lui cessa la necessità di parlare. Quando poi ha raggiunto il secondo Jhana, cessa la necessità di pensiero e valutazione diretti. Quando si raggiunge il terzo Jhana, cessa la necessità dell’estasi. Quando si raggiunge il quarto Jhana, cessa la necessità della respirazione dentro-fuori (cfr.:Trailanga Swami, ‘Pranayama’. e anche lo stato percettivo super-normale Haadi Vidya Siddhi). Quando uno ha raggiunto la dimensione dello spazio infinito, cessa la percezione delle forme. Quando si raggiunge la dimensione di coscienza infinita, cessa la percezione della dimensione di infinitezza dello spazio. Quando si raggiunge la dimensione del Vuoto o Nulla, cessa la percezione della dimensione di infinitezza della coscienza.

La prima delle due sfere, chiamata dimensione degli esseri non-percipienti, n. 8 sopra, è raggiunta da coloro che, dopo il raggiungimento del quarto Jhána, utilizzano poi il potere della loro meditazione per prendere rinascita SOLO con corpi materiali, essi non acquisiscono di nuovo coscienza finché non se ne vanno da questo reame. Quando uno raggiunge la seconda sfera, n. 9, cioè la dimensione della non-percezione né non-percezione, cessa la percezione di dimensione del Vuoto o Nulla. Quando uno raggiunge la cessazione di percezione e sensazione, cessano sia percezione che sensazione.

Vedi Kaivalya (The Five Aggregates of Grasping – Panca Upadana (S)Kandha): "In breve, quali sono i Cinque Aggregati soggetti ad aggrapparsi e che fanno soffrire? Essi sono l’aggregato della forma materiale soggetto ad afferrare, l’aggregato di sensazione..., l'aggregato di percezione..., l’aggregato delle formazioni mentali..., l'aggregato della coscienza soggetta ad afferrare. Questi sono chiamati, in breve, i Cinque Aggregati soggetti ad afferrare e che fanno soffrire".


I CINQUE (S)KANDHA

SaccavibhangaSutra, Majjhima Nikaya, 141, http://www.accesstoinsight.org/tipitaka/mn/mn.141.piya.html

Forma/corpo

L'immagine mentale che si ha del proprio corpo, non è proprio il vero corpo fisico stesso.

Sensazioni
Rappresentano la pura sensazione, fisica o mentale, piacevole, dolorosa o neutra.

Percezione
La registrazione dei dati sensoriali, non solo per percezione, ma per mantenere la percezione come base per la memoria; la facoltà di 'distinguere una cosa dai suoi segni' come il vedere un oggetto ed identificarlo come un tavolo.

Impulsi volizionali

La traduzione popolare è letteralmente 'fabbricazione' o composizione, con cui la parte condizionata della mente distorce i dati sensoriali neutri in 'io-vedo', 'io-sento', ecc. E quindi essi sono volizionali, perché l’'Io' ne è influenzato e così lo sono gli agenti che producono Karma. Un'altra traduzione è
'Configurazioni Mentali'.

Coscienza
Sorge e muore momento per momento, dipendendo dalle condizioni. È quindi importante notare che, mentre a volte può essere una ‘completa consapevolezza’, per la maggior parte del tempo essa è discriminativa, perché una volta che i dati sensoriali sono stati ricevuti e consapevolzzati, essi sono già stati contaminati nei Sankhara dal pensiero 'Io'.

La coscienza sorge sulla base dei dati sensoriali e quindi a causa dell'erronea idea dell’'Io-sono' c’è un aggrapparsi a quelle impressioni sensoriali pensate come desiderabili a 'me', ed il rifiuto di quelle pensate come indesiderabili. Tutto ciò si traduce in Dukkha (sofferenza). Se i dati sensoriali venissero visti per quello che sono, cioè impermanenti, potrebbero arrivarne risposte corrette, se necessario, ma senza attaccarvisi.

Riferimento: Samyutta Nikaya (Khandha-vagga, Last Fifty, par. 122, Virtue)



Vipassana
Mentre il cuore della tradizione Theravada consiste di una non-religiosa tecnica di meditazione detta ‘Vipassana’, il cuore della tradizione Mahayana si compone di devozione al Buddha ed ai Bodhisattva, che sono percepiti quasi come divinità. Il buddhismo Zen è un esperimento di rottura all'interno della tradizione Mahayana, e che di nuovo utilizza la meditazione non-religiosa per comprendere la vacuità del ‘sé’. Vale a dire che lo Zen torna alle radici originali della meditazione Vipassana, mentre altre tradizioni sembrano essersene allontanate. (fonte)

Prima di raggiungere la Buddhità, Siddharta Gautama sviluppò poteri sovrannaturali sulla base delle pratiche yogiche. Questo tipo di meditazione è noto come samatha, perché calmando tutti i pensieri e coltivando il potere della concentrazione, la propria mente raggiunge stati percettivi supernormali noti come Siddhi. Quindi, la meditazione samatha ha origine da pratiche pre-Buddhiste. Ciò che portò realmente Siddharta alla Buddhità fu proprio il suo sperimentare la meditazione. Questo nuovo tipo di meditazione è conosciuto come la Vipassana. Vipassana è un termine Pali che significa intuizione profonda, ‘insight’, o penetrazione nella realtà. E' attraverso la Vipassana che si può raggiungere il Nirvana, l'Obiettivo del buddhismo. Perfino chi ha imparato samatha non raggiunge subito il Nirvana, ma deve sviluppare Vipassana per poter poi arrivare al Nirvana. Un passo essenziale della Vipassana è satipatthana (cioè consapevolezza o attenzione continua). Attraverso satipatthana il meditante diventa consapevole del momento presente di vita, di ogni e ciascun movimento della sua esistenza fisica e mentale. Questo tipo di consapevolezza è essenziale per avere una penetrante visione fisica e mentale dei fenomeni, che abbraccia il mondo intero. Essere consapevoli delle proprie sensazioni è tradizionalmente noto come vedanaanupassana-satipatthana. Quando il processo della sensazione è visto chiaramente con satipatthana, il soggetto della sensazione scompare. In assenza del soggetto che osserva, cioè l’ego, il meditante viene in contatto con il flusso della vita o il fluire dell’esistenza. Normalmente, i dettagli della propria attività non si notano. Soltanto quando si diventa consapevoli si potranno vedere i minuti dettagli della propria attività. Similmente, essendo totalmente consapevoli ed attenti, si può prendere nota di tutti i movimenti che si svolgono nella vita quotidiana. Un passo oltre i movimenti fisici c’è il pensiero. Il meditante comincia a vedere i suoi pensieri, egli comincia a riconoscere il sorgere, il permanere, e lo svanire di ogni pensiero. Quindi, le caratteristiche effimere e impermanenti delle entità fisiche e mentali diventano palesemente rivelate al meditante. Il vedere queste caratteristiche è Vipassana. Questo modo satipatthana porta a Vipassana. Il proprio progresso verso l'Illuminazione dipende dalla meditazione Vipassana, specialmente nella tradizione Zen. (fonte)
Praticamente ogni libro sull’antica meditazione buddhista vi dirà che il Buddha ha insegnato entrambe queste meditazione: Samatha e Vipassana. Samatha, che significa tranquillità, è detta essere un forte metodo per promuovere gli stati di assorbimento mentale, chiamati Jhana. Vipassana - letteralmente "chiara-visione", ma più spesso tradotto come Insight-Meditation (meditazione profonda) - è detta essere un metodo che utilizza la tranquillità per produrre momento per momento la consapevolezza dell’incostanza degli eventi come essi sono direttamente sperimentati nel presente. Questa forma di consapevolezza crea un senso di distacco (dispassion) verso tutti gli eventi, portando così a liberare la mente dalla sofferenza. Questi due metodi sono alquanto divisi. Dei due, Vipassana è il distintivo contributo buddhista alla scienza meditativa. Anche altri sistemi di pratica precedenti al Buddha hanno insegnato Samatha, ma il Buddha fu il primo a scoprire e ad insegnare Vipassana. Sebbene diversi meditanti buddhisti possano praticare la meditazione Samatha prima di passare a Vipassana, la pratica di Samatha non è realmente necessaria per perseguire il Risveglio. Come strumento di meditazione, il metodo della Vipassana è sufficiente per raggiungere l'obiettivo. O almeno, così ci viene detto.

Ma se si guarda direttamente ai discorsi Pali - la più antica delle fonti esistenti per la conoscenza degli insegnamenti del Buddha – si troverà che anche se essi usano la parola Samatha per voler dire tranquillità, e Vipassana per significare ‘vedere chiaramente’, per il resto essi non affermano alcuna saggezza ricevuta con questi termini. Solo raramente essi si avvalgono della parola Vipassana - un netto contrasto con il loro frequente uso della parola Jhana. Quando essi raffigurano il Buddha che ai suoi discepoli dice di andare a meditare, non lo citano mai mentre dice "andate a fare Vipassana", ma sempre "andate a fare Jhana". Ed essi non equiparano mai il termine Vipassana con una qualche tecnica di consapevolezza. Nei rari casi in cui menzionano Vipassana, essi quasi sempre l’accoppiano con Samatha - non come due metodi alternativi, ma come due qualità di mente che una persona può "ottenere" o "esserne dotato", e che dovrebbero essere sviluppate assieme. Una similitudine, per esempio (S.XXXV.204), paragona Samatha e Vipassana a un paio di veloci messaggeri che entrano nella cittadella del corpo tramite il Nobile Ottuplice Sentiero e presentano le loro accurate relazioni – l’Inattaccabile Nirvana - alla coscienza che agisce da comandante della cittadella. Un altro passaggio (AX71) raccomanda che chiunque voglia porre fine alle oscurazioni mentali dovrebbe - in aggiunta al perfezionare i principi di comportamento morale e coltivare l’isolamento - essere interessato nella Samatha e dotato di Vipassana. Questa ultima affermazione è di per sé banale, ma lo stesso discorso dà lo stesso consiglio anche a chi vuole padroneggiare i Jhana: cioè, essere impegnato in Samatha e dotato di Vipassana. Ciò suggerisce che, agli occhi di coloro che hanno assemblato i ‘discorsi Pali’, Samatha, Jhana, e Vipassana erano tutti parte di un unico percorso. Samatha e Vipassana venivano utilizzati insieme per padroneggiare Jhana e quindi - sulla base di Jhana - venivano ulteriormente sviluppate per far finalmente cessare le impurità e mentali e per portare liberazione dalla sofferenza. Questa è una lettura che trova sostegno anche in altri discorsi (fonte)

Vedi anche Shikantaza, nonché Zazen.



ZEN: L’ILLUMINAZIONE AL DI FUORI DELLA DOTTRINA

NOTA: Occorre osservare, in quello che forse potrebbe essere visto da alcuni come un contrasto con la sintesi del contenuto e della tesi di silabbata paramasa (Pratica Erronea), che il perseguimento dell’Illuminazione al di fuori della dottrina, come dato da Hui-neng, il Wanderling e altri, e presentato tramite i vari articoli qui offerti, e che coincide più strettamente con le quattro citazioni che seguono sotto, NON è in alcun modo in diretta violazione di silabbata-paramasa.

Ci sono alcuni che dicono che lo Zen sia una pratica erronea, perché il concetto di essere "al di fuori della dottrina" è di per sé, Pratica Erronea. Non è vero. Primo, se siete andati ai tre link di cui sopra (Samadhi, Sila, e Vipassana) avrete visto che lo Zen non esclude le tre discipline indicate, e di fatto lo Zen le abbraccia nella loro forma pura. Secondo, in nessun luogo viene ufficialmente raccomandato o detto sul serio che (1) "Non è necessario praticare la meditazione, né osservare i precetti" (dato che per la sola prima parte, la parola ZEN significa meditazione. Esso deriva dalla parola cinese "Ch'an", che è una forma breve per "Ch'anna", e che a sua volta deriva dalla parola sanscrita dhyana, che significa appunto meditazione), e quindi (2) intrinsecamente, lo Zen non blocca né inibisce nessuno dal perseguire una "comprensione delle Quattro Nobili Verità" in qualsiasi modo, essendo i punti (1) e (2) spinte principali della filosofia ‘silabbata-paramasa’. Ci sono alcune eccezioni, V. Ugghatitannu.
L’Illuminazione del Buddha avvenne molto tempo prima che vi fosse una "dottrina", molto prima che le norme fossero ideate o stabilite dalle tradizioni. Lo Zen fa richiamo a quegli stessi primi giorni di purezza. Come indicato in precedenza: il buddhismo Zen è un esperimento di rottura all'interno della tradizione Mahayana, che di nuovo utilizza la meditazione non-religiosa per comprendere la vacuità del ‘sé’. Vale a dire che lo Zen ritorna alle radici originali della Meditazione Vipassana, mentre altre tradizioni sembrano essersene allontanate…:"Non essere né maestro né guru, e poiché fin dall’inizio nessuna cosa esiste, il massimo che si può fare è di dare uno sguardo e aiutare a indicare la Via. Alla fine Essa risiede dentro di voi" (il Wanderling, Awakening 101).

La vera Illuminazione, come sperimentata dal Buddha e poi trasmessa attraverso i patriarchi, è indipendente dalle spiegazioni verbali, incluse le registrazioni degli insegnamenti del Buddha (cioè, i Sutra, le scritture) e le successive elaborazioni dottrinali. (Albert Welter, T'ang Ch'an and The Myth of Bodhidharma).
”Non attaccatevi a ciò che è stato acquisito in ripetute audizioni, né alla tradizione, né al rumore, né a ciò che è nelle Scritture, né alle supposizioni, né agli assiomi, né ai ragionamenti speciosi, né a una tendenza verso una nozione che è stata più ponderata, né all’apparente abilità di qualcun altro, né alla considerazione che 'Il monaco è il vostro insegnante'.” (Ven. Walpola Rahula, ‘What the Buddha Taught’).
”L’Insegnamento del Buddha fu registrato nel Tipitaka molte centinaia d’anni dopo la scomparsa del Buddha, e questo testo è stato poi copiato e ricopiato per migliaia di anni. Gli insegnamenti sono probabilmente stati registrati molto bene, ma è possibile dubitare che il lettore possa comprendere ora il significato di ciò che questi insegnamenti avevano registrato. Per me, fare tutto il tempo mero riferimento ai testi sarebbe come garantire la veridicità delle affermazioni di un altro, affermazioni di cui io non posso essere certo. Ma le cose che io dico a voi sono in grado di garantirle, perché parlo della mia esperienza diretta. Questo testo è come una mappa: è adatto per chi non conosce la strada da percorrere, o non è ancora arrivato a destinazione. Per uno che è arrivato, la mappa non serve più a niente”. (Luangpor Teean – Insegnamenti Oltre i Testi)

NOTA - (1) Estratto da: THE GREAT DISCOURSE ON THE WHEEL OF DHAMMA PART II -Delivered on the 6th Waxing Day of Thadingyut, 1324, B.E (fonte) - Ciascuno dei capitoli di questa sezione ‘Ch'an/ Zen’ per i contenuti utilizza le proprie fonti indipendenti di esperti esterni ad eccezione proprio di questo capitolo. I punti fondamentali di cui sopra sono tratti da un articolo scritto da Joseph M. Kitagawa e John S. Strong e offerto per usarlo con fede/Ris. L'articolo è stato ripubblicato, modificato ed aggiornato dal Wanderling solo per gli scopi utili qui.



JIJIMUGE (Tutte le Cose sono ZEN) (http://www.geocities.com/the_wanderling/letter.html)

UNA FINESTRA APERTA nella COMPRENSIONE dello ZEN - Il seguente discorso è attribuito al maestro Ch’an Cinese Ch'ing Yuan Wei-Hsin della dinastia T'ang e offre una finestra aperta nella comprensione dello Zen:

“Trenta anni fa, prima che cominciassi lo studio dello Zen, io dicevo, 'Le montagne sono montagne, i fiumi siono fiumi'. Dopo aver ottenuto conoscenza della verità dello Zen attraverso le istruzioni di un buon maestro, ho detto, 'Le montagne NON sono montagne, i fiumi NON sono fiumi'. Ma ora, dopo aver raggiunto la dimora della pace ultima (cioè, l’Illuminazione), dico: 'Le montagne sono realmente montagne, ed i fiumi sono realmente fiumi'… Poi egli chiede: 'Le tre forme di comprensione sono uguali o diverse?'

Sempre di più nel buddhismo e Zen viene presentato qualcosa come 'Tutto è illusione' o 'Il mondo è illusione'. Il problema di tali affermazioni, se presentate come vere o altrimenti rappresentative della realtà in termini assoluti o nel senso ultimo, è che tutte le persone che fanno queste affermazioni e tutte le persone che le ricevono sarebbero esse stesse prodotti immersi in tale stessa auto-illusione o delusione. Offrire o prendere decisioni su un qualcosa da quella posizione illusoria o delusiva sarebbe discutibile, determinando a sua volta una qualsiasi totale credibilità su questo tipo di dichiarazione, comprensione, o convinzione personale.

Dicendo: 'Tutto è illusione' o 'Il mondo è illusione' è implicito dire che l’illusione/delusione c’è’, che è, che esiste, che ha una sua propria esistenza indipendente, esistente in modo indipendente, senza bisogno. D’altra parte, l’Originazione Dipendente implica non può esservi assolutamente nulla che sia reale o eterno in questo mondo reale, oltre e aldilà dell'interdipendenza di tutte le cose. Ed a causa di questa interdipendenza che tutto ciò che esiste è di per sé vuoto. A livello convenzionale, si può dire che il presentarsi dell’illusione/delusione potrebbe essere casuale, ma poiché anche la causalità non ha alcuna esistenza intrinseca, quindi non potrebbe né sarebbe illusione/delusione. Percepire che la causalità HA un’esistenza inerente è ciò che si chiama ignoranza. Percepire la mancanza di esistenza intrinseca della causalità è saggezza.

Quasi chiunque legga un po’ di Zen comincia a pensare che nulla esista, perché tutte le cose sono inerentemente vuote, quindi ciò che noi percepiamo come realtà deve essere illusione. Ma il vuoto è l'assenza di esistenza indipendente. Ciò che questo significa è che qualcosa deve esistere e una delle qualifiche di tale esistenza è la vacuità... cioè, l'assenza di esistenza indipendente, che è possibile soltanto perché c'è qualcosa che esiste... altrimenti non ci sarebbe 'bisogno' di “assenza” di esistenza indipendente, e se non ci fosse assenza di esistenza indipendente, allora tutto ciò non sarebbe vuoto. (fonte)
Il discorso di Wei-Hsin su ‘le montagne sono montagne, i fiumi sono fiumi’, valido per i non-iniziati e molti altri, sembra forse delineare una definitiva progressione lineare, un processo step-by-step, od una serie di fasi d’approccio verso l’esperienza di Illuminazione/Risveglio. Tuttavia, è più un problema di presentazione del linguaggio che un problema Zen. Il discorso è semplicemente disposto in modo tale da essere comprensibile nella parola scritta o parlata. I 'passaggi' o 'fasi' sono presentati in modo tale che linguisticamente tramite il modo in cui le parole sono usate, che i passaggi sembrano essere indicati, quando in realtà i ‘passaggi’ non esistono, come passaggi di per sé'. La 'terza fase' può far simultaneamente trasparire la 'seconda fase', e la terza e ultima fase include la prima e la seconda fase, per esempio. E' estremamente raro nello Zen, che un tale discorso step-by-step sia stabilito così chiaramente sia per l'adepto Zen che per l'esperienza dei novizi. Detto questo, i termini 'step' o fase, o passaggio, qui saranno utilizzati per i nostri scopi......

La 'prima fase', quindi, è prima che Wei-Hsin avesse studiato o praticato lo Zen. La 'seconda fase' è dopo che ha studiato ed è arrivato ad un certo intuito. La 'terza fase' equivale al Satori. Nella prima fase, ‘le montagne sono montagne, i fiumi sono fiumi’, Wei-Hsin e le montagne (e i fiumi) sono due, egli sta separando se stesso dalle montagne, le montagne sono lì, e lui è qui. Egli fa una distinzione tra sé e le montagne, stabilendo la frattura tra il classico soggetto(lui)/oggetto (montagna), dualismo tipico del convenzionale mondo Samsarico di tutti i giorni.

Nella seconda fase, 'le montagne non sono montagne, i fiumi non sono fiumi', c’è una negazione 'non questo, non quello’ che viene dalla comprensione del primo passaggio. La distinzione concettuale, o differenziazione, delle montagne, i fiumi, sé, e gli altri, scompare. Tuttavia, nel processo, è implicato un più elevato livello di differenziazione. In altre parole, ne viene una differenziazione tra il tipo di differenziazione della prima fase e la 'svanita-differenziazione' o 'non-differenziazione' della seconda fase. Proprio come è stata negata la differenziazione della prima fase, l’implicito livello più elevato di differenziazione della seconda fase deve essere negato, al fine di realizzare la ‘realtà ultima’. Quando ciò accade, alla terza fase vi è una rottura... la classica rottura Zen del fondo del secchio (vedi), noto nella tradizione Zen come Smashing the Black Lacquer Barrel in DARK LUMINOSITY (vedi nel sito: http://www.superzeko.net/dharma_di_aliberth_da_rivedere/articolichanzen51.htm), in una non-impedita interdiffusione di TUTTI i particolari.

Qui 'le montagne sono davvero montagne', niente di più, niente di meno; 'i fiumi sono davvero fiumi', né più né meno. Ciò che c’è è una negazione della negazione, che è nient’altro che l'affermazione, anche se non in senso relativo ma in senso assoluto. Non c’è la illusione/delusione, ed anche se tutto rimane veramente senza-nome nel più grande reame della ‘realtà indifferenziata’, la montagne sono REALMENTE montagne, e i fiumi sono VERAMENTE fiumi. Ecco perché anche un adepto Zen poi ha bisogno di respirare l'aria, e quando ha sete beve, quando ha fame mangia, quando è stanco egli si riposa, e si mette una veste di lana in più quando fa freddo (fonte).

Nella tradizione Zen si ricorda Pai-chang Huae-hai (724-814) un grande maestro Zen. Prima della sua esperienza di risveglio fu allievo dell’altro grande maestro Zen Ma-Tsu Ta-chi (709-788). Un giorno, mentre Pai-chang era ancora suo allievo, i due stavano camminando insieme fuori e videro nel cielo una formazione di anatre selvatiche. Ma-Tsu chiese: "Che cos’è questo?" Pai-chang rispose, "Anatre selvatiche". Ma-Tsu disse, "Dove stanno andando?" Pai-chang rispose: "Sono volate via". Allora Ma-Tsu prese tra le dita il naso di Pai-chang e lo torse, per cui Pai-chang gridò di dolore. Ma-Tsu disse, "Quando mai sono volate via, esse sono state qui fin dall'inizio!"

Ogni diligente studioso della spiritualità Orientale sarà almeno andato oltre la populistica concezione dell’'unione mistica con il mondo' come un vago scioglimento di tutte le opposizioni e distinzioni; ma ciò richiede un’affermazione positiva delle differenze all'interno del processo olistico di tutto il mondo. L'unità del simbolo Taoista dello yin-yang non dissolve la complementare differenza tra queste due energie intrecciate. Anche il buddhismo riconosce la realtà della divisione. Ecco cosa dice la dottrina JIJIMUGE della Scuola Kegon del buddhismo Giapponese: "Tutte le cose sono l’Uno e non hanno vita, se separate da esso; l’Uno è tutte le cose, ed è incompleto senza la minima parte di esse. Ma le parti sono parti all’interno del Tutto, non immerse in esso; esse sono “interfuse” con la Realtà, pur mentre mantengono la piena identità come parte, e l’Uno non è meno Uno per il fatto che è composto di un milione di milioni di parti".

Il Dualismo non è superato dalla sua abolizione, ma attraverso la sua accettazione e trascendenza. Il paradosso è che tutte le 'cose' sono allo stesso tempo se stesse e parte di un indivisibile continuum. Similmente, per quanto diversi possono essere, buio e luce, dolore e piacere, e tutti gli opposti, possono non essere separati. Se vogliamo sperimentarne più di uno, noi dobbiamo obbligatoriamente abbracciarne più anche degli altri. (Fonte)

L’adepto Zen Te-Shan bruciò tutti i suoi commentari e testi Zen nel giro di poche ore dal suo risveglio alla verità. Il Maestro Mu-nan dette a Sho-ju il suo libro sacro sullo Zen, che era stato tramandato attraverso sette generazioni di maestri. Sho-ju lo gettò sui carboni ardenti. Perché entrambi fecero una cosa simile? Si dice spesso che quando uno ha realmente bisogno di un maestro - o di uno che faccia le funzioni di un insegnante - esso si manifesterà. Ciò è dovuto ad una qualche inspiegabile ‘serendipity’. Può essere dovuto al fatto che il ricercatore ha cercato profondamente all'interno di se stesso e ha determinato quale tipo di istruzione sembra essere necessaria. Ciò può essere evitato da una ‘esperienza’ di morte come la Prima Esperienza di Sri Ramana Maharshi, o la poco nota Seconda Esperienza di morte del Bhagavan. Oppure potrebbe essere una sorta di disperazione spirituale da parte del ricercatore, o forse non più che un successo da parte di un insegnante (sincero o meno). O può essere una combinazione dei fattori precedenti, o una qualche intuitiva consapevolezza aldilà dell’espressione. Qualunque ne sia la ragione, il detto spesso si applica, e l'unione dei risultati di forze esterne e interne, alcune col nostro controllo, altre senza, può essere trovato più eloquentemente nel modo come essi arrivano in ciò che segue:

“In un tardo pomeriggio d’autunno, alcuni anni fa, mi trovavo in California, e mi dirigevo a nord sulla Highway 395, lungo il lato est delle High-Sierras. Mi fermai in un luogo isolato chiamato Manzanar nel bel mezzo del nulla, un ex campo di internamento giapponese della seconda guerra mondiale, ormai deserte e arido.

Esso è un luogo strano, malaugurante e molto silenzioso. Le vette delle Sierras, a pochi chilometri di distanza, raggiungono altezze di quasi quindicimila piedi, e nel crepuscolo sono in apparenza simili vagamente all'Himalaya. Ad un certo punto, vidi un uomo, un uomo assai strano, che veniva a piedi dalle montagne verso la strada. Allorché mi passò a fianco, ci scambiammo un saluto. Dopodiché, egli si fermò un attimo e si voltò indietro. Fatta eccezione per un piccolo sacchetto di tela sulla sua spalla, era vestito in un modo che io definirei normale e regolare... non portava speciali attrezzi per escursioni, né indumenti protettivi, o quelle altre cose che ci si aspetterebbe per una persona che in apparenza faccia escursioni in montagna nel bel mezzo del nulla.

Egli poi si inginocchiò, scavò un piccolo buco nella terra con le mani, fece un cerchio di pietre attorno ad essa, accese un piccolo fuoco da una sorta di candela che portava nella sua borsa e pochi minuti dopo noi due ci stavamo dividendo tè caldo e conversazione. In breve tempo venimmo a sapere che entrambi noi eravamo interessati allo Zen.

Passarono diverse ore, mentre era ancora buio, e io dovevo andare. Gli chiesi se aveva bisogno di un passaggio ed egli mi disse che, benché fossimo sulla stessa strada, stavamo andando in una diversa direzione. Per una qualche ragione gli diedi il mio indirizzo email e ci separammo.

Molti giorni dopo, stavo tornando verso sud e mi trovai di nuovo a Manzanar. Forse nella speranza di vedere nuovamente quell'uomo mi spinsi fin là. Come in precedenza, il luogo era stranamente livido e silenzioso, e fatta eccezione per il piccolo cerchio di pietre ancora intorno alla buca per il fuoco, non vi era alcun segno di un uomo e nessun segno che noi si fosse mai stati lì. Durante tutto il ritorno sulla Highway 395 in direzione di Los Angeles ho sperato di vedere l'uomo camminare a piedi lungo la strada, ma non avvenne. Poi, circa un anno fa, ricevetti una e-mail con un link a una pagina web. Leggendo la pagina, vi riconobbi l'uomo che avevo incontrato quel giorno in cui prendemmo il tè insieme. Quell'uomo era il Wanderling, e la sua pagina web era: ZEN ENLIGHTENMENT: The Path Unfolds…”

http://www.angelfire.com/electronic/awakening101/ZenEnlighten01.html
Quanto sopra è stato scritto, firmato e inviato da:

Jijimuge - ALL THINGS ZEN

Saturday June 12, 1999


I miei ringraziamenti al Lignaggio e a Dogen Zenji