Ancor oggi, senza alcun dubbio al riguardo, il potere liberatorio del messaggio del Buddha è enormemente attuale. Il profondo significato delle Quattro Nobili Verità, che dichiara l'ineluttabilità della sofferenza nell'esistenza degli esseri, ma anche e soprattutto la certezza della sua eliminazione, propone una valida ed efficace pratica: che è, appunto, la Meditazione, così come viene praticata da più di duemila anni, perdipiù alimentata da una visione di Saggezza, ottenuta nell’ottica del Chan Cinese. Come ormai quasi tutti sanno, il Buddhismo nel suo itinerario espansivo al di fuori dell'India, toccò anche la Cina oltre agli altri paesi dell'Est Asiatico. E qui nel Celeste Impero, l'arrivo del Patriarca Bodhidharma nel 6° Secolo d.C., ebbe uno strabiliante effetto (anche se assaggi di Buddhismo erano già avvenuti dal 3°/4° secolo). Mescolandosi in qualche modo con la preesistente filosofia Taoista, il Buddhismo Cinese fiorì soprattutto per merito della pratica del Ch’an (Meditazione Contemplativa, in Sanscrito Dhyana) che poi, arrivando fin nel Giappone, fu pari pari tradotta col termine ‘ZEN’. Il principale fautore di questa veloce e inarrestabile proposta, cioè "conoscere la propria natura", fu il Sesto Patriarca Hui-Neng (638-713) il quale, pur essendo un modesto falegname analfabeta, applicò così bene le sue intuizioni sugli insegnamenti dei Sutra (specialmente il Sutra del Diamante) che si illuminò spontaneamente in modo istantaneo. Infatti, Hui-neng, che pur era stato a contatto con le diverse visioni interpretative di vari studiosi ed eruditi del tempo, colse realmente il vero e concreto aspetto del messaggio finale del Buddha, quello che viene ricordato come la Terza Rotazione della Ruota del Dharma, cioè la più ineffabile e profonda spiegazione della verità del mondo dei fenomeni. Quindi, tramite Hui-neng ed i suoi seguaci più illustri (Ma-tsu, P'ai-Chang, Huang-po, Lin-chi, solo per citarne alcuni) anche in Cina si evidenziò, seppur in mezzo ad altre visioni più elementari, una scuola di pensiero e pratica per menti "acute e pronte", che potevano comprendere l'insegnamento per l'esplosione finale della mente. Grazie a questa Scuola, chiamata dell'Illuminazione Improvvisa o Istantanea, il vero insegnamento del Dharma del Buddha, nella versione Cinese Meridionale, è potuto giungere fino a noi. Ed ora, qui in Occidente, abili ricercatori della Liberazione sono ideali continuatori di questa Linea di Meditazione sulla Natura della Mente e, tramite la loro stessa esperienza di pratica del Ch'an, riversano e tramandano nella mente dei discepoli predestinati, il succo e l'essenza di questa meravigliosa e stravolgente disciplina. La Natura della Mente (o "Non-Mente", come fu chiamata dai Patriarchi del Ch'an) è la condizione di base della mente degli esseri viventi che, appunto alla luce di un'attenta osservazione, risulta essere "vuota". La mente è, in realtà, una "vacuità" di esistenza inerente (cioè non esiste separatamente dalle sue stesse creazioni) e pertanto sia essa, sotto forma di un illusorio ‘io’ personale, che tutti gli oggetti proiettati, non possono avere quell'esistenza apparente che li fa sembrare divisi e separati. Ma questo è possibile comprenderlo solo dopo un lungo e adeguato training introspettivo-meditativo. L'unione di conoscenza (l'informazione ricevuta come Insegnamento) e metodo (la diretta pratica di consapevolezza) permette al praticante sincero di scoprire la sua vera mente "reale" (assolutamente vuota, benché in presenza di contenuti temporanei e oscurazioni contingenti). Il punto cruciale di questa Meditazione Ch'an è quello, principalmente, di saper "osservare", di saper cogliere la propria vera natura, da sempre auto-illuminata, prima nel profondo silenzio mentale della meditazione seduta (zazen) e poi nelle esasperate condizioni della vita quotidiana. Ovviamente, non è una pratica facile, anzi. Per la gran parte di coloro che tentano, non è certamente facile arrivare alla spassionata e diretta osservazione di "se stessi", vedendosi come in uno specchio, proprio perché tutte le precedenti conoscenze, i vecchi schemi mentali, le opinioni inveterate, i dubbi e le congetture, preconcetti e supposizioni anche di tipo spirituale ma "inquinato", si intromettono tra "colui che osserva" e "ciò che è osservato", impedendo senza dubbio lo scioglimento di questa rigida posizione dualistica. Questo è il punto cruciale. Voler conoscere la profonda realtà, con lo strumento abituale con cui conosciamo (erroneamente) il mondo esterno dei nomi e delle forme, è impossibile. Secondo l'insegnamento del Ch'an, noi siamo già illuminati e perfetti, ma se ci mettiamo a concettua-lizzare questo fatto, se crediamo in esso con la nostra mente umana, allora questa illuminazione non può presentarsi, è e rimane inconoscibile; e resta ciò che pensiamo di essere, cioè un essere umano personale, identificato, sofferente e nevrotico. Così, per farci arrivare allo svuotamento di queste etichette personali, la meditazione Ch'an richiede estrema forza di volontà, intelligenza, spirito di attenzione e sacrificio. Malgrado ciò, anche arrivando ai vertici della comprensione e alla purezza mentale, il mondo così come lo vediamo non scompare e i fenomeni che ci stanno intorno continueranno ad esserci; tuttavia sarà possibile non solo conviverci, ma addirittura utilizzarli al meglio per poter aiutare anche gli altri esseri ad arrivare alla verità. Al giorno d'oggi, vi sono sufficienti punti di riferimento per coloro che anelano entrare nel Sentiero del Ch'an. Però è richiesta una grande serietà perché la pratica e l'attuazione dell'insegnamento preclude ogni altro tipo di illusione. Infatti, proprio eliminando i veli delle nostre illusioni è possibile scoprire quanto e fino a che livello di profondità, il nostro "ego" si ammanta di falsità. Perfino se e quando noi riteniamo di essere veramente interessati e tenacemente applicati alla pratica, potremmo ancora cogliere nella nostra mente immaginazioni illusorie e credenze personali falsificanti. Per il Ch'an, non importa "apparire illuminati" agli occhi degli altri, anche perché la valutazione delle nostre qualità è comunque sottoposta all'ignoranza mentale di chi ci considera. E poi, soltanto altri esseri "già illuminati" potrebbero riconoscere la luce di realtà che emana dal "Tutto"; in ogni caso, è sempre meglio evitare qualsiasi tipo di riscontro. L'Illuminazione Improvvisa o Istantanea è proprio il riconoscere, il comprendere ed il familiarizzarci con la nostra ordinaria "normalità". Altro che lustrini e gratificazioni. Come potremmo essere utili agli esseri che soffrono se, prima, non comprendiamo che la loro sofferenza è identica a quella che ancora ieri soffocava e reprimeva la nostra "normalità"? Se non arriviamo a comprendere che, proprio l'uomo "vero così com'è", non alterato artificiosamente da imposizioni acquisite e autovalutazioni più o meno palesi, è il Buddha, come potremmo pensare di arrivare alla cessazione della nostra e altrui sofferenza? Il Buddhismo propone varie forme di meditazione. Esse sono un po’ come espedienti per verificare il livello personale di capacità e il modo per poterlo utilizzare. Finché l'individuo non è giunto alla verità, cioè all'esatta conoscenza di se stesso, egli è portato ad avere delle preferenze. Il suo fardello karmico, peraltro a lui ignoto, dètta le scelte ed i gradi della sua evoluzione. Quindi, perfino nel sentiero spirituale, la maggioranza delle persone ritiene o presume che per esse vada bene un certo tipo di meditazione, piuttosto che un altro. Alcuni gradiscono la meditazione "visiva" (quella cioè in cui si devono visualizzare forme o immagini, generate nella mente); altri preferiscono la meditazione guidata e scandita con "qualcosa da fare" (come recitare mantra, seguire il respiro, ascoltare musica o suoni, oppure pregare i protettori). Questi tipi di meditazione, ovviamente, possono tutti andare bene allorché si è ancora nelle condizioni iniziali di sviluppo spirituale, dato che il processo di sviluppo esige, ovviamente, i suoi tempi ed i suoi modi. Vi sono, però, alcuni esseri molto avanzati, ai quali queste meditazioni "morbide" potrebbero fungere da freno e perciò essi, il più presto possibile, devono e possono incontrare l'insegnamento Ch'an. Ciascuno di noi, secondo il dogma buddhista, è passato attraverso innumerevoli rinascite e quindi, nel corso della sua incessante evoluzione spirituale, può aver applicato più volte in altre vite, le pratiche meditative di tipo morbido, che abbiamo descritto sopra. La mente di un simile individuo, quando nella nuova nascita si rimette in connessione col Sentiero spirituale, sente l'inderogabile necessità di strumenti maggiormente risolutivi, sente il bisogno di conoscere una verità più drastica. Il senso di disperazione ed oppressione provato nell'esistenza ciclica del Samsara non può più essere lenito o ammorbidito da compiacenti e inutili pratiche "soft". È necessario alfine, un salto "giù dal palo alto cento piedi"…(come è sovente ricordato nello Zen). E solo questo è il punto a cui, prima o poi, tutti dovremo giungere. Così, chi vi è giunto, non può assolutamente rifiutare un Sentiero come il Ch'an. L'approccio con la meditazione contemplativa del Ch'an, come è stato già detto, può comunque iniziare con l'identico tipo di meditazione semplice ed elementare, in cui si osserva il proprio respiro o si visualizzano forme nella propria coscienza mentale. Dopodiché, si prosegue con l'osservazione spassionata e impersonale dei propri pensieri e, successivamente, della mente stessa in cui prima ci si divertiva a creare immagini. Tutto in maniera asettica e senza giudizi o opinioni, finché si arriva a stringere e si approda finalmente alla "Non-Meditazione", cioè al vero stato Reale della "Non-Mente". Questo Stato Reale, o "condizione autentica", non può essere illustrato né descritto con termini o parole. La difficoltà sta proprio in questo. Mentre le meditazioni morbide e formali possono venir descritte, illustrate e quindi, panoramicamente, anche insegnate, questa Non-meditazione può soltanto essere sperimentata direttamente. Sarebbe come tentare di descrivere la dolcezza del miele a chi non ha mai assaggiato alimenti dolci. Soltanto gustandola direttamente, potrà essere possibile conoscere la dolcezza del miele. Ecco perché è necessario sperimentare direttamente, come esito del lungo training meditativo, la nostra vera "Autonatura" che, pur essendo innegabilmente all'interno di noi stessi, non è per niente conosciuta né identificata. Però, se qualcuno ce ne parla, allora potrebbe essere possibile risvegliare la nostra coscienza alla sua ‘realtà’. A qualcuno, come il Sesto Patriarca Hui-neng, è bastato ascoltare en passant le strofe del Sutra del Diamante, per ottenere subito una perfetta coscienza del suo vero <Sé>. Con la sua indicazione diretta che punta alla mente, senza vani preamboli e inutili giri di parole, la meditazione Ch'an, come è stato già detto, ci permette di assaporare pienamente la pura dolcezza del Dharma. Riunendo la nostra ipotetica e piccola mente individuale alla Mente Unica ed Assoluta, potremo far cessare la nostra e l'altrui sofferenza di esseri illusoriamente condizionati. Dobbiamo però fare in fretta perché, come disse il Buddha: "Quando la casa brucia, non c'è tempo per tergi-versare sulle cause, bisogna subito mettersi in salvo!". Cerchiamo dunque di scoprire al più presto, qui ed ora, la dolcezza e la soavità della nostra autentica "Autonatura", perché questo è il profondo e compassionevole monito degli antichi Patriarchi del Ch'an. Vale forse la pena ricordare che il Ch’an ebbe una vigorosa e produttiva ripercussione nei confronti dell’espansione spirituale del Buddhismo in Estremo Oriente. Come già detto, quando arrivò in Cina, portatovi dall’esimio Patriarca Indiano Bodhidharma nel V° secolo dopo Cristo, il Buddhismo di quel periodo insegnava la Meditazione (Dhyana) come promotrice dell’Illuminazione della mente. Così, prendendo spunto dai profondi insegnamenti segreti rivelati dai SUTRA, patrimonio delle filosofie Indiane più ardite nel campo della Metafisica, quali l’Advaita Vedanta di Shamkara e lo stesso Buddhismo Esoterico Indiano, il Ch’an fece del Sentiero Interiore il suo comandamento. Non a caso, si possono notare diverse somiglianze tra la Metafisica dimostrativa dell’Advaita Vedanta e la Visione Prajna Paramita del Buddhismo. Quasi a voler unificare il significato ultimo dell’Unica Verità, il Ch’an mise tutti d’accordo e formulò, sulla base delle personali esperienze dei suoi grandi Patriarchi, una Via di Saggezza che raccolse il meglio di tutte le speculazioni fino ad allora prospettate. In più, il Ch’an vi aggiunse la profonda praticità della filosofia Taoista e la propria esperienza diretta del metodo preparatorio che conduce alla Realizzazione finale. Attraverso le tecniche di dirigere all'interno l’energia conoscitiva della mente (introspezione continua) e la capacità di restare immobili di fronte a qualunque visione percepita dalla mente stessa (In Cinese: chih-kuan), il praticante seriamente motivato può arrivare agli estremi limiti della Supercoscienza. Quando questa Supercoscienza si sarà spontaneamente stabilizzata, il praticante, divenuto ormai un Adepto, non dovrà far altro che attenersi silenziosamente agli intimi e misteriosi influssi di questo Potere, proveniente dai più profondi recessi dell’Essere. Questo livello di estrema coscientizzazione della mente, che da individuale si è ormai riaperta alla sua originaria universalità, è chiamato BODHI (Risveglio) ed è il momentaneo traguardo dell’aspirante della Scuola Ch’an. Il suo traguardo finale, il Nirvana, o Natura di Buddha realizzata nel DHARMAKAYA, cioè il massimo e supremo stadio di Super-coscienza, è lasciato all’insondabile e inspiegabile Mistero delle Leggi del Karma. L’Illuminazione, o il Risveglio Finale dal sogno karmico, come pure la Liberazione nella titanica lotta della mente umana, intenzionata a sradicare la sua errata percezione egoica del mondo delle manifestazioni fenomeniche, è il frutto o il merito dell’iniziale certosino lavoro di autoconsapevolezza. Ciò premesso, si deve tener presente che il Ch’an non può e non deve essere visto o preso per una semplice e mera forma di erudizione da parte degli assetati letterati Occidentali. Questo è il vero punto cruciale: il Ch’an deve essere intrapreso soltanto se si è veramente intenzionati a trasformare la propria mente ed invertire l’innata tendenza a credere che la vita umana sia una misconosciuta parentesi di esistenza personale, in un mondo popolato da altre entità apparentemente separate e disgiunte dalla nostra stessa realtà. Solo attraverso la comprensione della mente si può comprendere il mistero della condizione umana prigioniera dei suoi sogni, nonché svelare la realtà di questo mondo artificiale e virtuale che sembra aspettarci là fuori, come se esistesse realmente dalla sua parte. Questo è il vero spartiacque, la lama di rasoio che divide le schiere di coloro che non comprendono l’assurdità di un’esistenza formata da elementi frammentati, rispetto a quei pochissimi che conoscono il nucleo di realtà che c’è nel cuore della nostra mente universa. Il Sentiero Spirituale ha un senso soltanto se percorso con l’intento di affrancarsi dal nostro errato modo di concepire le cose; altrimenti si farebbe meglio ad ascoltare, o a leggere, soltanto favolette per bambini. Io non sto dichiarando nulla che non sia già stato affermato, e con una autorità sicuramente maggiore della mia, da più di duemilacinquecento anni. Dunque, dopo questi utili suggerimenti, si può chiaramente valutare la semplicità e, insieme, la grandezza del messaggio Ch'an. La pratica dell’Istruzione Chan, che tutti possono sperimentare, ha inizio con l'osservazione della cosa più sottile che ci tiene in vita: il respiro. Con l'aiuto di una valida guida si può cominciare ad imparare la tecnica di regolare il nostro respiro e la nostra postura seduta, elementi fondamentali e indispensabili a creare le condizioni utili per partire alla conquista della nostra liberazione. Ognuno di noi ha pari possibilità di realizzare la propria vera Natura. È opportuno credervi, senza però illudersi che le prime, piccole realizzazioni, siano il traguardo finale. Dobbiamo continuare a meditare incessantemente, instancabilmente, tenacemente, senza un fine o una qualsiasi idea di "essere arrivati". Il nostro costante miglioramento potrà rivelarci che, nell'intimo, sta vieppiù emergendo l'embrione del Buddha e, anche se in realtà non vi è nulla di percepibile che cresce, è l'aumento stesso della nostra consapevolezza a testimoniare il Buddha ed a far recedere e rimpicciolire la nostra individualità egoica. Ciò che è veramente importante, caldamente consigliato da tutti i maestri, è il lavoro continuo ed ininterrotto. Quando la meditazione fluirà spontanea e leggera in ogni situazione, comprese quella della vita quotidiana, allora saremo veri praticanti. Sia quando le condizioni sono buone o meno, quando avremo successo o mortificazioni, quando la vita ci chiederà la restituzione del credito, proprio nei momenti più difficili si vedrà il risultato del nostro lavoro. È proprio in questi momenti che la meditazione dovrà essere la nostra compagna fedele e insostituibile.
| | |