COME VIVERE LA COMPRENSIONE?

di Alberto Mengoni

(Pubblicato sul Bollettino spirituale VIDYA’ – Settembre 1994)

 

Uno dei principali problemi che si presentano al moderno praticante spirituale può, senza dubbio, essere quello di riuscire a trasfondere nella vita quotidiana tutto il "carico" di nozioni e informazioni ricevute dall' ascolto degli insegnamenti spirituali e dalla pratica meditativa effettuata sulla base della comprensione degli stessi. Per di più, nell'odierno mondo occidentale, bisogna rico­noscere una relativa difficoltà nel poter entrare in confidenza con il dharma, stante il fatto che i veri Maestri sono piuttosto rari e i loro discepoli, autorizzati a dare insegnamenti validi ai propri connazionali, sono ancora relativamente poco numerosi. Per cui, in definitiva, sussistono ben poche opportunità per quegli individui che, veramente motivati, desiderino rapporti dialettici privilegiati con un Maestro personale che possa seguirli passo passo, dando loro istruzioni precise e consigli continui sul come tradurre in pratica il risultato della loro motivazione come av­veniva, ad esempio, nell'antichità.

Malgrado ciò, si deve prendere atto che la diffusione dei Centri spirituali (nonché di libri, riviste e pubblicazioni specializzate) è continuamente in aumento e questo fa pensare ad una accresciuta richiesta e ad uno sviluppato interesse verso le dottrine spirituali, e di quelle orientali in particolare. L'aspet­to principale di questa situazione si traduce in una maggiore possibilità di far emergere dal "buio" le coscienze particolarmente dotate e potenzialmente capaci (grazie ad un karma favorevole) di saper cogliere il prezioso messaggio soteriologico del dharma, anche soltanto per mezzo di un tirocinio assai rapido avvalorato, però, da una profonda dedizione e dalla fortuna di aver incontrato dei validi Istruttori. Quindi, qualsiasi individuo, dopo intensa ed ininterrotta pratica meditativa, potrebbe anche arrivare a comprendere la "natura della mente", cioè la sua "vera" natura eternamente immutabile, e tuttavia trovarsi improvvisamente di fronte al dilemma di come poter mettere in pratica questa sua compren­sione. Infatti, risulta abbastanza difficile riportare nel quoti­diano ciò che si può intuitivamente comprendere nel proprio intimo, dal momento che la manifestazione dei fenomeni non cessa di esistere né si trasforma il modo di percepirli, poiché le cause che li hanno prodotti dovranno avere il loro regolare corso. Di fatto, la concezione del mero apparire dei fenomeni dovrebbe sradicare l'abitudinaria maniera di interpretarli e far riflettere, in realtà, che ogni apparenza si ritiene esistente soltanto per il fatto che la nostra coscienza è erroneamente condizionata a conoscere l' "altro" come qualcosa "fuori di noi". Di conse­guenza, si deve ammettere da un lato questa "ignoranza" e, dall'altro, la nostra capacità di conoscenza che ci permette il riconoscimento dell'iniziale erronea interpretazione.

Una puntuale conferma ci viene in occasione dei coinvolgimenti nelle attività della vita quotidiana. Queste ci pren­dono in modo talmente intenso da impedirci, sovente, di riconoscerle come fatto illusorio e, conseguentemente, in mancanza di attiva consapevolezza, ci fanno perdere il distacco necessario per considerare il tutto come un miraggio o un sogno a occhi aperti.

Allora, in questi casi i profondi insegnamenti trascendenti della Metafisica ci vengono incontro. Nei trattati esoterici induisti e buddhisti (come le Upanishad, i Sutra del Vedànta Advaita e del Buddhismo esoterico) si viene costan­temente ammoniti ad attivare una penetrante e continua osser­vazione della mente nonché del modo in cui essa erroneamente interpreta la realtà. Si tratta di rifiutare, a livello di coscienza, la presunta sostanzialità intrinseca che fa sembrare oggetti, persone e situazioni come esistenti separatamente per arbitraria attribuzione della consueta mente ignorante che, d’altra parte, assume la medesima credenza anche verso se stessa. Ebbene, questi sutra, disgregando alla base ogni elementare assunto, dichiarano fermamente che non esiste questo, né esiste quello! Naturalmente bisogna guardarsi bene dall' interpretare alla lettera tali asserzioni, proprio per non produrre nella coscienza l'ef­fetto contrario, cioè il nichilismo; ma, a ben vedere, questa operazione disgregante è opportunamente necessaria per elimina­re dalla mente il primo dei molti veli dell'illusione, cioè l'innata tendenza all'eternalismo, primo duro ostacolo alla comprensio­ne della vacuità dei fenomeni. A questo punto, se il praticante è sincero e mette in pratica i preziosi insegnamenti dei Maestri e, soprattutto, i silenziosi ordini stimolati dalla propria coscien­za intuitiva, può avvenire una sorta di bilanciamento al centro che, appunto, evitando gli estremi, produce nella mente la giusta capacità di visione della Via di Mezzo.

Da quel momento, anche se il Sentiero risulta ancora aperto davanti e appare verosimilmente lungo da percorrere, ogni evento che accade diventa la Pratica ed il vivere stesso diventa il Sentiero. La coscienza, permanentemente attivata, tenderà a divenire il punto di riferimento centrale e gli avvenimenti esterni si collocheranno in posizione periferica, come in uno specchio, apparendo e manifestandosi non più carichi di quella gravosità coinvolgente e ridimensionando il peso di preoccupazioni, sof­ferenze, desideri e attaccamenti. Contemporaneamente, l'aper­tura e una maggiore dilatazione della compassione produrranno l'effetto di farci essere assai più compenetrati nel riconoscere l'essenziale unità di tutto l'esistente.

In alcuni testi delle Scuole del Buddhismo Tibetano si e­nuncia che lo sviluppo della Compassione sia normalmente precedente allo sviluppo della Saggezza. Non c'è da metterlo in dubbio, ma al riguardo bisogna dire che, invero, in mol­tissimi individui il sentimento della compassione viene gene­rato nella loro mente addirittura prima della nascita anche se, per mancanza della vera Saggezza trascendente, questa innata tendenza risulta indirizzata a senso unico, cioè si manifesta solo verso alcuni esseri e non verso tutti gli altri. Perciò è proprio grazie alla capacità di comprensione che si deve la dilatazione della preesistente natura compassionevole nei riguardi di tutto l'esistente senza discriminazioni. Infatti, la potenzialità prezio­sa che unisce e assimila tutti gli esseri, sotto forma di "pura esistenza", è la base inalienabile della Coscienza Unica (Sat­-Cit) che si autoconferma nella mente individuale tanto che essa viene designata, nello Zen, come il migliore oggetto di pratica del dharma. Ciò è riscontrabile anche nell'episodio in cui il saggio Chao-Chou (Joshu) chiede direttamente al suo Maestro Nan-Chuan (Nansen): «"Quale è la Via?" e ne ottenne la ri­sposta: "La mente ordinaria è la Via!"».

Quindi, vivere la Comprensione starebbe semplicemente a significare vivere alleggerendo la mente da tutte le sovrastrutture, accettando serenamente tutto quello che spontaneamente acca­de, nel bene e nel male, cercando di eliminare ogni etichetta derivata dall'adesione alle opinioni e giudizi personali e altrui, senza lasciarsi angosciare da sconfitte ed insuccessi e senza augurarsi più di quello che già ci offre la vita. A nulla ser­virebbe, infatti, pensare di voler evitare le tragedie dell'esi­stenza o i coinvolgimenti del quotidiano stabilendo a priori che essi sono semplici "illusioni" mentre, invece, è proprio affrontando questi impegni con la nostra "viva presenza", fermamente insediati nella Comprensione, che si può superare ciò che la mente stessa ha creato, sotto forma di ineluttabile karma, e che ci ritorna puntualmente indietro, simile ad una cambiale da noi firmata, che ci raggiunge improrogabilmente alla sua scadenza.

Quella causa autogenerata, che è poi la nostra stessa Ignoranza (infatti noi realmente "ignoriamo" la ragione delle nostre disgrazie), una volta sottoposta alla luce di una visione inin­terrotta sarà sicuramente trasformata in ineffabile saggezza (Prajna) che potrà permetterci di vivere in modo autentico quegli effetti, quali che siano, tramutandoli, a loro volta, in proficui semi di Illuminazione. Al di là, quindi, del desiderio di migliorarci, seppur me­ritevole intenzione, varrebbe la pena di indirizzare ogni nostro sforzo alla opportunità di lavorare col materiale già in nostro possesso, cioè noi stessi così come siamo, applicando al meglio gli Insegnamenti del Buddha e di Shamkara già utilizzati da numerosi Nobili Esseri, viventi esempi ed utili vettori, capaci di dare un senso alla loro esistenza e di rendere la loro "mente ordinaria" esattamente la base per l'ottenimento della perfetta "buddhità", o per la rivelazione dell'assoluto Brahman.

Chiudiamo, infine, esponendo un breve verso del Sutra "Re del Samàdhi", abile commentario alla pratica della Mahamudra (Metodo Folgorante per il Risveglio) del venerabile Nga Wang Yeunten Ghyatso, un glorioso e santo Lama della Tradizione Kagyupa, nel lignaggio di Tilopa, Naropa, Marpa e Milarepa.

                 «Quando si realizza Quello, tutto diventa Talità!

                “Al di là di accettazione e rifiuto c'è l'Essere naturale!

                 “Al di là della mente concettuale c'è la Verità ultima!».

Esattamente la stessa cosa che si desume dalla Sentenza (ma­havakya) “Tat tvam asi” (Tu sei Quello!), tratta dalla Chandogya Upanishad, sintesi dell'intera Dottrina Advaita Vedanta, in cui risulta essere sempre presente l'identità tra il jiva (principio di coscienza) e la Realtà-Brahman.

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

RICONOSCERE CIÒ CHE SIAMO di Alberto Mengoni

(Pubblicato su ‘VIDYA’ – Luglio-Agosto 1994)

In alcuni dei miei precedenti appunti ho sostenuto spesso che la nostra mente, focolaio di innumerevoli condizionamenti collettivi e dannosi preconcetti personali, avrebbe dovuto essere trasformata e ripulita dai suoi ingombranti contenuti, con una pratica attiva di lavoro su se stessi. L'applicazione di questa decisiva operazione, ho anche aggiunto, si ricava dalla lettura e dall' ascolto dei ripetuti moniti e insegnamenti di numerosi Maestri delle varie tradizioni sapienziali sia dei Sentieri moderati che di quelli più profondi. Ora c'è da precisare, però, che ciò risulta valido a seconda del particolare punto di vista da cui si osserva la questione. Infatti, qualunque Sentiero, per quanto veloce possa essere e che produca come risultato un passaggio dallo stato di condizione samsarica (lo stato illusorio di schia­vitù) allo stato assoluto nirvanico (il Puro stato di Liberazione), deve essere implicitamente affermato come "graduale", poiché appunto spinge il praticante, con una gradualità più o meno rapida, verso il riconoscimento finale della sua "reale" natura.

Vi furono, tuttavia, alcune Scuole di pensiero, tanto nel Buddhismo (Dzog-Chen, Ch'an, Zen Rinzai, tra le più cono­sciute) che in altre Dottrine (Advaita Vedanta, ecc.), le quali sostennero, promossero e infine insegnarono con convinzione la teoria della "Illuminazione Improvvisa", cioè, in altre parole, l'immediato riconoscimento di ciò che si è realmente, senza alcunché da cambiare o da trasformare. Appare subito evidente come questa sia da ritenere una forma di insegnamento superiore, assai difficile da comprendere immedia­tamente e, quindi, proprio per questa ragione, riservato ine­sorabilmente solo a pochi eletti. In definitiva, questi Eletti sarebbero poi i Nobili individui giunti ormai all'ultimo stadio della perfezione della mente; Esseri che, esistenza dopo esi­stenza, avrebbero già purificato la loro sostanza mentale, approdando ai vertici sublimi della pura Suprema Coscienza in cui è facile, grazie alla Intuizione superconscia sottile, ri­conoscersi naturalmente e serenamente come assoluta Realtà sulla base del puro Stato di Essere, sempre ed eternamente esistente. Essi, a volte sfidando e scandalizzando i sostenitori di sistemi più moderatamente tradizionali basati su aspetti for­mali e rituali, senza tuttavia mai contrapporvisi, hanno soste­nuto con forza, ma anche con delicata noncuranza, che l'unica Verità è da sempre residente in noi stessi e che solo il rapido riconoscimento di questa Verità concede immediatamente il più alto grado di Illuminazione e di Risveglio allo stesso modo in cui, al mattino, ci riconosciamo subitaneamente, senza al­cunché da fare, e abbandoniamo senza sforzo né fatica l'iden­tificazione col precedente soggetto del sogno.

Questa Verità, che non richiede pratiche meticolose ed estenuanti (come prosternazioni, visualizzazioni rituali, ripeti­zioni mantriche, ecc.) non si è, in effetti, mai allontanata da noi né si deve, in qualche modo, acquisire, perché in realtà non si è mai trovata "fuori" di noi e, in ultima analisi, viene solo testimoniata dal riconoscimento che il nostro Essere già è, fin dall'inizio. C’è da ammettere però, come tutti i problemi che la mente stessa ha da sola generato, che il fatto di ricercare la nostra vera identità, la nostra vera natura, comporta la difficoltà di una riscoperta della realtà dimenticata, una sorta di viaggio a ritroso (viaggio altrettanto illusorio di quello che, nel corso di infiniti eoni, ci ha spinti nel mondo dell'ignoranza senza peraltro farci mai muovere dalla nostra stessa mente). Ed è questo duplice apparente aspetto che, verosimilmente, differen­zia i Sentieri cosiddetti graduali da quelli istantanei o ‘Improvvisi’. Natu­ralmente non basta la conoscenza "esterna" a rendere compren­sivo il criptico linguaggio di un Sentiero esoterico, non basta un Maestro, per abile che sia, a convincere una mente "illusa" del fatto che cercare se stessi significa "già" trovare se stessi!

C'è necessariamente bisogno che l'individuo ne abbia già una acuta consapevolezza, che tutto il lavoro di ripulitura sia stato precedentemente effettuato, magari in esistenze preceden­ti, e che quando finalmente si è giunti in vista dell'ultimo appuntamento non si ricada nell’ impantanamento della con­cettualità, del ragionamento manasico e dei punti di riferimento della logica umana, che farebbero slittare di nuovo la presa di coscienza la quale, comunque, richiede uno sforzo sovrumano e condizioni estremamente favorevoli, pari a quelle richieste alla famosa tartaruga cieca immersa nel profondo dell'oceano e intenzionata a infilare la testa, riemergendo, nel foro di una tavola di legno galleggiante ed in movimento sulla superficie. La spiegazione di questa parabola, anche se fosse cor­rettamente impostata, non basterebbe purtroppo a chiarire quali possano essere, tra i miliardi di esseri viventi, i rari individui direttamente discendenti da quei sublimi Maestri di Saggezza propugnatori dell'Illuminazione Improvvisa che, in un sol colpo, ebbero la capacità di sgretolare il granitico muro del­l'Ignoranza primordiale. Ignoranza che impedisce alla coscienza di rico­noscere se stessa come perfetta natura di Buddha, o Realtà Brahmanica. Né credo, comunque, che sia necessario saperlo, almeno finché non si è capaci di riconoscerlo da se stessi. Infatti, secondo gli stessi Maestri del passato e del presente, è molto più importante prendere atto personalmente della suddetta Verità, sforzarsi continuamente per cercarla dentro di noi con la ripetuta osservazione immobile e silente e una concreta e continua verifica, piuttosto che arrivare a una conclusione irrimediabilmente concettuale e data per scontata, quasi come passiva accettazione di un dogma di cui non si conosce l'intrinseca e profonda essenzialità.

       A tale scopo, giova ricordare un conosciuto aforisma dello Zen che, narrando della raggiunta Illuminazione di un disce­polo, precisa nettamente che soltanto con la personale espe­rienza è possibile sottrarsi all'illusorietà dei pregiudizi e delle false certezze, anzi, di più, in esso ci viene dichiarato pale­semente che la Verità, per un autentico ricercatore, dovrà apparire alla mente con una sequenza pressoché obbligatoria. Infatti il discepolo, dopo aver riconosciuto se stesso come Realtà as­soluta, confessa al suo vecchio Maestro: «All'inizio le mon­tagne erano montagne e i fiumi erano fiumi, in seguito le montagne non erano più montagne e i fiumi non più fiumi, ma poi le montagne tornarono nuovamente montagne e i fiumi di nuovo fiumi!».

Ritengo superfluo speculare o enfatizzare il significato di questa dichiarazione, basterà precisare che il modo ultimo di "vedere i fenomeni" ritorna ad essere inesorabilmente uguale a com’ era in precedenza, ma con quale differenza di interpretazione! Nell'ultima fase sono cessati tutti i presupposti, le immaginazioni, i giudizi personali, gli stereotipi mentali, insomma tutto ciò che, nella mente, si muoveva insieme, e "contro" la pura e semplice visio­ne dei fenomeni, impedita, di conseguenza, dal continuo "vociare" interno dei parametri contenuti nella mente stessa. C'è un vedere con l'occhio dei sensi e un Vedere con l'occhio della pura Consapevolezza.

Comunque, e di ciò sono ampiamente convinto, la vera linea di demarcazione risulta essere proprio il secondo passaggio della sequenza, quello che nei testi Zen viene chiamato il "Piccolo Risveglio", cioè: «Le montagne non sono più montagne e i fiumi non sono più fiumi». Infatti è proprio in questa fase che viene disgregato il granitico muro dell' innata ignoranza me­tafisica e dell'abituale ed erroneo modo di percepire i fenomeni. In questa fase, altresì, è assai probabile il rischio di generare una sorta di nichilismo, a causa dello sforzo prodotto nel riuscito tentativo rivolto all'annullamento del senso di realtà soggettiva ed oggettiva. Tuttavia, questo rischio può e deve essere superato dall'evi­denza che i nostri sensi vedono comunque qualcosa, ma sarà il miracolo della "non-etichettatura" che ci traghetterà sicura­mente verso la sponda della pura e reale Vacuità, in cui i fenomeni torneranno ad essere puri e semplici, come in realtà già sono! La medesima cosa avverrà poi con noi stessi, con il nostro fantomatico senso dell'io, del tutto misconosciuto ed arbitra­riamente ritenuto intrinsecamente esistente, quasi come una "sostanza" unica, indissolubile ed immutabile e, per tale ra­gione, principale causa di tutti i nostri guai e di tutte le nostre sofferenze.

Ecco, allora, che riconoscere "ciò che in verità siamo" diventa la perfetta Via, l'immediato Sentiero per l'Illumina­zione e, quanto più velocemente ed improvvisamente questo avviene, tanto prima saremo liberi e potremo essere veramente di aiuto agli esseri ancora prigionieri dell'illusione samsarica, con quel "perfetto stile di vita bodhisattvico" di cui il nobile Arhat Shantideva ha mostrato una pregevole indica­zione (e come il Buddha stesso precedentemente aveva insegnato con l'Ottuplice Sentiero). Indicazione che, in seguito, fu ripresa ed ampliata dal nobile Shamkara nei suoi testi dell' Advaita Vedanta, aprendo così uno sbocco preciso e diretto verso quel comportamento, tanto più benefico e liberatorio quanto più sarà vissuto col pronto riconoscimento della nostra reale Natura e verrà percorso al "Centro" del nostro Essere.

LA VIA DELLA COSCIENZA IMMOBILE

di Alberto Mengoni (Pubblicato su ‘VIDYA’ – Gennaio 1996)

Nella odierna frenetica vita quotidiana - all'alba del terzo millennio, la maggioranza degli esseri viventi si trova purtrop­po talmente coinvolta in una serie di avvenimenti, spiacevoli da un verso e adescanti dall'altro, da essere continuamente sottoposta a condizioni mentali insidiose ed incatenanti forse più di quanto non ne sia stata vittima l'intera umanità vissuta in tempi più remoti. Non a caso, nelle Scritture sapienziali orientali, si definisce la nostra epoca con il nome di Kali Yuga, cioè il Periodo Oscuro, in quanto è detto che gli ostacoli che si frappongono alla Visione pura e alla Via per il Risveglio sono certamente destinati ad assumere sempre più concretezza e a divenire sempre più difficoltosi, a causa di una maggiore condensazione e compat­
tezza. Questo vaticinio, peraltro facilmente verificabile da ciascu­no, contiene tuttavia la capacità di poter produrre nelle co­scienze dei pochi arditi che decidano di affrontare il sublime tentativo di percorrere il Sentiero una poderosa forza d'animo alimentata dalla fede e dalla speranza di possedere i necessari requisiti, abbandonando la paura e motivandosi di indomito vigore. Questa forza d'animo (virya), sostenuta con la pratica di un regolare tirocinio meditativo e, soprattutto, corroborata da una estesa apertura mentale, sarà l'artefice di una mente intuitiva, potenzialmente capace di comprendere la folgorante verità della reale natura dei fenomeni, e potrà condurre all'attingimento della Saggezza (Prajna). Quindi, malgrado che, come detto, il Sentiero (o meglio quel processo immaginario che la mente condizionata conosce con questo nome) si presenti maggiormente arduo e difficile, in realtà colui che lo percorre con metodo appropriato sà di essere abbastanza vicino alla mèta, proprio come nell’esempio di un sentiero di montagna che, pur iniziando in modo blando e facilmente percorribile, diventa sempre più duro e ripido man mano che ci si avvicina alla vetta, conclusione dell'impervio cammino, anche se ciò è valido soltanto per chi ha la forza e la costanza di percorrerlo fino in fondo.

Dopo questa doverosa premessa, lungi dall'alimentare ovvii scoraggiamenti che potrebbero sorgere nella mente di individui non molto determinati, ma anche al riparo da facili ottimismi producibili in individui troppo sicuri di sé, resta da stabilire quali possano essere i metodi più appropriati per individui dotati di facoltà idonee e, così come è detto nelle Scritture, "pronti" per superare gli ostacoli ingannevoli della Illusione Cosmica (maya), appunto in questi tempi e nel mondo in cui viviamo. Si dice comunque, per comune ammissione, che la Verità è una e tutte le vie utili a raggiungerla sono ugualmente valide, ma si deve riconoscere che le capacità individuali, con una particolare impronta per ciascuna di queste vie, possono esprimersi meglio con un metodo piuttosto che con un altro. Anzi, proprio ammettendo l'adattabilità ad un certo metodo, si può anche stabilire (sempre in termini di tempo illusorio nei confronti dell'eternità stabile) la velocità con la quale si arriva al Ri­sveglio; per cui, mentre per una mente "pigra" è necessaria­mente indispensabile un sentiero graduale, per una mente energica e "fulminea" è estremamente vantaggioso approdare ad un sen­tiero folgorante e immediato. Purtroppo, in particolari situa­zioni, succede che cambiando l'ordine dei fattori anche i risultati cam­biano e, in termini di raggiungimento dello scopo, si assiste al fatto che invertendo i metodi entrambe le categorie mentali risulterebbero rallentate nella loro ascesi.

È parimenti ovvio che il Sentiero folgorante o diretto, essendo di natura più sottile, risulta essere di più difficile comprensione e quindi richiede una maggiore dedizione, intuizione e, in termini psico­fisici, anche una più equilibrata forza vitale che permetta di potersi distaccare agevolmente da interessi esterni e dai disturbi interni. Tuttavia, anche un individuo con mente fondamentalmente neutra purché intelligente, operando una catartica trasformazione del suo essere interiore, può col tempo aspirare al risultato supremo mediante l'applicazione di metodi diretti, come viene insegnato nelle Tradizioni più avanzate del Buddhismo (come Dzog-Chen, Mahamudra, Zen e Vipassana) e da altre Scuole non-buddhiste (come l'Advaita Vedanta, ecc.).

Da un punto di vista pratico, la retta aspirazione del ri­cercatore, che esegua con cura i consigli di un abile Maestro, permetterà alla mente di giungere ai limiti del campo d'azione più elevato, qualora essa si trasformi dalla condizione attuale, preda della impenetrabile nebbia samsarica, in una mente dinamica veramente capace di dirigere l'attenzione e l'intro­spezione verso se stessa. Quell’eroico ricercatore, pulendo via la polvere delle cognizioni concettuali instaurate da tempi senza inizio e stabilizzando la contemplazione potrà così riuscire ad "illuminare" la parte più intima della sua coscienza immobile, recondito centro della sua vera natura.

Questa operazione, reiterata con tenace continuità, condur­rà il ricercatore verso il misterioso e silenzioso Stato del Puro Essere, aprendo lo spazio alla visione della sorprendente immobilità della Coscienza luminosa, che apparirà in tutta la sua magnificenza. Solo allora sarà possibile percepire sottil­mente e direttamente, in modo del tutto intuitivo, il mirabile esprimersi del reale senso di Sé, sotto forma di pura e semplice esistenza e conoscenza (Sat-Cit) che è connaturata a tutti gli Esseri viventi nella stessa silenziosa, solitaria e immobile Coscienza collettiva. Potrà essere meraviglioso, allora, consta­tare che tutto l'immaginario mondo delle idee si ammutolirà di schianto e tutto ciò che, prima, sembrava avere una incon­testabile "realtà", finirà per assumere il significato di un modesto corollario di contorno alla diretta partecipazione coscienziale. I rumori, le situazioni, i contatti sociali, la vita stressante delle moderne metropoli, i drammi dell'umanità e le attrazioni mate­riali, insomma il mondo esterno intero, tutto verrà finalmente visto e vissuto con un distacco che, seppur inizialmente debole e impercettibile, tenderà a diventare sempre meno sforzato, sempre più concreto e automatico man mano che il centro dell'interesse sarà focalizzato direttamente verso l'immobilità della coscienza.

Questa determinazione, che, in termini descrittivi, sembra facilmente raggiungibile, sarà ovviamente ostacolata dal karma negativo accumulabile, e già accumulato dalla precedente ignoranza, che ha prodotto un erroneo modo di pensare e di vivere e, in definitiva, anche da tutto ciò che ha costituito finora l'ego strutturato della ormai acquisita personalità. Quindi, specialmente se i propri pensieri e le emozioni avevano prodotto vivida adesione e immediata partecipazione, invece che essere semplicemente osservati, lo sforzo richiesto dovrà superare l'umana capacità e, come è detto nell'insegnamento Zen, dovrà permetterci di saltare giù dal "palo alto cento piedi", che sta a significare l'obbligo dell'abbandono di tutti i desideri, perfino quello per la stessa Illuminazione. Infatti, chiunque faccia almeno lo sforzo di osservarsi all'interno della coscienza è come se stesse già salendo sul palo, e chiunque ne abbia riconosciuto l'immobilità e la natura bud­dhica è già arrivato in cima; ma quanti saranno coloro che riusciranno a prendere la decisione di saltare giù? Tutte le Tradizioni sono altresì concordi sul fatto che una guida è certamente necessaria, ma contemporaneamente ci dicono che l'atto supremo dovrà essere effettuato proprio da noi stessi, con un preciso atto di volontà e di fede, in quanto l'assimi­lazione dell'insegnamento, la confidenza in noi stessi e l'appli­cazione del distacco dai meccanismi del pensiero, generato dalla errata identificazione col soggetto egoico, dovrà permetterci di comprendere la nostra reale natura, che cioè è la base silenziosa, vuota e immobile (Shunyata) sulla quale si stagliano tutte le idee e i falsi preconcetti che attraversano e riempiono lo spazio mentale. Soltanto così si potrà assaporare la condizione del qui ed ora, liberi, infine, dalla sofferenza, dalle paure più o meno motivate o inconsce, pronti a sostenere con tolleranza tutto ciò che, una volta, procurava immenso fastidio, frustrazioni profonde, dolorosi conflitti e incontrollabili attrazioni anche nei confronti dei nostri simili, inesorabilmente percepiti soltanto in modo dualistico.

La Via della Coscienza Immobile, dichiarata apertamente dagli Esseri Realizzati come uno dei "mezzi abili" più validi, rappresenta il ponte tra la Verità ultima e la mente ordinaria (che si scoprirà poi essere fuse e unite come il Sole e la sua luce) e che permettendo di superare il fiume dell'illusione samsarica scavalca l'igno­ranza e fa approdare nelle Pure Terre del Buddha. È in questo Stato Puro che si genera la vera Grande Compassione, la quale finalmente permette di riconoscerci non più come singola onda bensì come l’immenso e luminoso Oceano in tutta la sua infinita immen­sità.° §

##########################################################
 

L'uomo «ordinario»

nel sentiero di liberazione –

di Alberto Mengoni.- (Pubblicato su “La Critica Sociologica”, 1994)

 

   Ciò che noi siamo, in ogni momento della nostra esistenza è, secondo una precisa analisi delle filosofie orientali, e di quella buddhista in partico­lare, una somma esponenziale di tutti i momenti di esistenza del nostro passato, anche antecedenti alla nostra venuta in questo mondo. La teoria della Legge del Karma (cioè di Causa ed Effetto) è, su questo punto, assai chiara e, infatti, si può veramente comprendere come una continuità pro­gressiva di tendenze, pensieri, azioni e volizioni produca poi una condizio­ne di «status-quo» riconoscibile come l'attuale nostro stato di esistenza. Il fatto che ognuno di noi si trovi in una determinata sfera sociale, cultura­le, politica e lavorativa o addirittura in una precisa condizione psicofisica è dovuto massimamente agli adeguati comportamenti sia in questa che in altre vite precedenti in cui avevamo esistenza, magari in altre forme e con destini diametralmente diversi.

   È quindi possibile che il livello in cui la nostra mente attualmente si trova, possa condizionare quasi totalmente la persona in cui siamo incar­nati e, d'altro canto, possa essere essa stessa condizionata dal ruolo che di conseguenza noi assumiamo. È anche possibile che lo stato della attuale manifesta­zione sia, in qualche modo, uno stato di attesa, una condizione limbica, in cui la nostra potenzialità mentale, magari molto elevata, aspetti soltanto una situazione particolare, una fulrninea maturazione di una cau­sa preesistente, per far emergere da uno stato per così dire ibernato o congelato una straordinaria capacità di Coscienza che, improvvisamente, prenda atto della sua assoluta Realtà Non-Duale. 

È opportuno, perciò, credere veramente alle sapienti parole del Bud­dha quando dice che, in realtà, siamo tutti, a nostra volta, dei potenziali Buddha, anche se momentaneamente avvolti dalle tenebre di un’ ignoranza primor­diale che ci impedisce il riconoscimento di questa profonda Natura sostanziale e ci spinge verso l'illusorio stato di una falsa identifica­zione nella persona che crediamo di essere ed in rapporto con una realtà, a sua volta illusoria, di un mondo precostituito e prefabbricato secondo regole comportamentali del tutto egocentriste e fondate sulla prevaricazione       individuale. In effetti, in questo rapporto con la realtà cosiddetta terrena, peraltro in questo modo riconosciuta ed accettata quasi universalmente, nella nostra mente si sono formati dei parametri di appartenenza a questo o quel «normotipo» in cui tacitamente ci riconosciamo o, almeno, ci adat­tiamo a farci riconoscere. Noi ci vediamo e ci sentiamo come maschi o femmine, giovani o anziani, italiani o stranieri, maestri o discepoli, intel­ligenti o incapaci, ricchi o indigenti, socialmente arrivati o ambiziosi di divenirlo. Insomma, in questa universale manifestazione socio-antropologica, noi siamo inderogabilmente catalogati in categorie che permettono analiti­camente una schematica rappresentazione di appartenenza ad un modello in cui noi ci sentiamo o veniamo identificati.

   Nella visione Buddhista dell'esistenza, al contrario, a queste categorie viene riconosciuto un valore meramente convenzionale o relativo dato che, dal punto di vista assoluto o ultimo, nessuna qualità risulta immutabile o permanente ed ogni cosa è catalogata in un certo modo solo in relazione al suo opposto. Infatti, nel tempo possiamo continuamente assistere al successivo spo­stamento di una qualità nel suo opposto o di una categoria nell'altra. Cosicché mentre da una parte l'aspirazione all'evoluzione della co­scienza tende, in egual maniera, a privilegiare una interiore scalata verso l'alto, questa stessa aspirazione produce un naturale e spontaneo abbando­no dei valori mondani di riferimento. In altre parole, più vi è crescita a livello interiore profondo e più si perde interesse verso l'arrivismo sociale e verso l'arrembaggio di potere nelle posizioni dominanti del mondo,

  Nel Buddhismo, tutto ciò risulta essere assai chiaro e innumerevoli esempi testimoniano che gli Esseri giunti ai vertici spirituali ed i Saggi realizzati ed illuminati hanno sempre manifestato una forte indifferenza nei confronti del ceto sociale, a volte anche assai elevato, che impersonavano o che le istituzioni dominanti (spesso gli stessi genitori) ambivano a far loro rag­giungere. Lo stesso Buddha, che al secolo era riconosciuto col nome di Siddharta Gotama, era figlio di un Re, ma non ci pensò due volte a gettare, come suol dirsi, alle ortiche il suo ruolo di principe onorato dai sudditi, idolatrato dalla famiglia e invidiato da moltissimi individui. Quan­do infatti, dopo il suo lungo training purificatore, Egli arrivò alla suprema comprensione della verità, non provò nessun rimpianto nell'abbandonare tutto il luccichìo dorato della reggia paterna e si adattò, molto serenamente, alla semplice vita da asceta e monaco vagabondo, unendosi spesso ad altri miserevoli esseri umani in cui Egli vi vedeva chiaramente una perfetta somiglianza ed una reciproca identità di mente incarnata, del tutto a lui simile, come cellule dello stesso corpo o onde di uno stesso oceano. Qualcosa del genere si può dire anche di altri famosi esempi spirituali nella stessa tradizione cristiana, come San Francesco, o San Paolo, ecc.

Vi furono, comunque, esempi che anche con differenti situazioni di partenza non invalidarono la regola del disinteresse verso la gratifica­zione mondana. Nel Buddhismo Zen è famosa la figura di Hui-Neng, il Sesto Patriarca, che appunto fu riconosciuto tale dopo aver vissuto, fino a quel momento, in una tranquilla e semplice condizione di umile cuoco analfabeta. Ma, quando il Quinto Patriarca, presentendo la propria dipartita da questo mondo, si era messo in cerca di un erede della tradizione per poter lasciare in mani sicure l’altissimo insegnamento spirituale della Scuola Dhyana (Chan), trovò in quell'umile cuoco la più elevata mente di quell'epoca, un vero Buddha in incognito e lo nominò, senza alcun ripensamento, suo diretto successore. Ed oggi sappiamo che tale nomina fu ben meritata in quanto Hui-Neng è universalmente riconosciuto, da tutti i seguaci dello Zen Cinese, Coreano, Giapponese e Vietnamita, come uno dei più alti pensatori spirituali della Cina, nonché rappresentante e pioniere della Scuola «Improvvisa» che insegna a riconoscere la propria reale natura buddhica proprio nell'attuale esistenza della mente e del corpo che possediamo.

  E’ pur vero che, anche abbandonando volontariamente ogni vacua glo­ria mondana, si può involontariamente incappare nella più nobile gloria delle sacre gerarchie religiose, in quanto la notorietà e la fama, lasciate decisamente uscire dalla porta principale del nostro ego, potrebbero subdo­lamente rientrare attraverso la finestra. E questo rischio è davvero pro­babile tanto è vero che la storia ci fornisce parecchi dati di fatto in questa direzione. Nell'India del passato, non a caso divisa in caste sociali, quella sacerdotale (Brahmana) era considerata la più elevata tra le quattro suddi­visioni e, pertanto, apportava una posizione, tutto sommato, invidiabile e ricercata dai suoi appartenenti. Nello stesso Tibet, fino a pochi decenni orsono, il potere temporale, oltre a quello religioso, era detenuto dalla classe sacerdotale dei Lama ed il loro capo spirituale, il Dalai-Lama, era riconosciuto anche come l'indiscusso capo politico da tutta la popolazione. Altrettanto si può dire nelle civiltà Occidentali, dove la gerarchia ecclesia-stica della religione a noi più vicina è sempre stata ai vertici della nobiltà e del comando, in posizione preminente perfino nei confronti delle gerar­chie economiche e militari.

Naturalmente il vero ricercatore spirituale sa come tenere a bada e sotto controllo questa eventuale possibilità. Egli riesce ad evitare di rima­nere coinvolto nel desiderio di gratificazione e di sete di potere che polreb­be insorgere dalla scoperta di forti capacità mentali e dai risultati di continue pratiche meditative e spirituali. Egli, con la costante consapevolezza, mantiene in atto la risoluta proposizione di non perseguire scopi personali ed anzi, la forte visione unitaria lo spinge ancor più altruisticamente verso un comporta­mento del tutto ispirato al bene dei suoi simili che, secondo la visione bud­dhista, sono assai più importanti di lui stesso e, specialmente secondo il Buddhismo Tibetano, sono la vera causa di merito della sua liberazione.

  Ecco che, allora, questa breve riflessione diventa un messaggio di spe­ranza per tutti quegli uomini “comuni” che, seppur privi di titoli onorifici o accademici, sentono in loro un forte spirito animatore ed una grandissi­ma volontà di poter essere utili alla causa di salvezza per tutti gli altri esseri sofferenti. Questi uomini ‘ordinari’, come disse il grande filosofo indiano Aurobindo, con la loro pura motivazione, saranno capaci di diventare dei “superuomini”, cioè uomini «nuovi» che, consapevoli della loro natura divina, rivolgono la loro attenzione non più al proprio ego, vorace e distrutto­re, ma alla continua, nobile, giusta e necessaria osservazione dei propri stati mentali e riconoscendo questa stessa mente, come è stato detto pro­prio dal Dalai-Lama, «fonte di tutte le felicità, creatrice di tutti i buoni propositi oppure, se mal usata, causa generatrice di tutte le disgrazie».

  Quindi ognuno di noi, nobile o plebeo, famoso o sconosciuto, superando le proprie illusioni mentali e le rispettive credenze di giudizio ­- perversi meccanismi indotti dall’ ignoranza delle verità trascendenti – può divenire un messaggero della parola del Buddha, un amplificatore delle sue verità, nutrendosi di comprensione e compassione. Realizzando pacifi­camente che il vero scopo della vita non è il perseguire ciecamente l'adesio­ne agli impulsi primordiali della nostra animalità, conver­tita successivamente alle regole sociali di un mondo frastornante, arrivistico ed affaristico, ma bensì utilizzare al meglio le proprie capacità interiori, latenti o manife­ste, onde rendersi veramente utili in questo mondo e armonizzando la no­stra esistenza con quella di tutti gli altri esseri viventi. Attraverso la conoscenza del Sentiero di Liberazione propugnato dal Buddha, che è poi conoscenza di se stessi e del vero modo di esistenza di tutte le cose, si può e si deve arrivare in cima alla scalata della nostra vita, accettando pazientemente tutti i ruoli e tutte le difficoltà in essa conte­nuti, ma anche rendendola profondamente significativa affinché il messag­gio soteriologico del Beato e di tutti i Vittoriosi non vada perduto e, soprat­tutto, perché tutti noi, gli umili e i potenti, i poveri ed i facoltosi, i sudditi ed i governanti uniti in un unico assieme, si riesca a far rifulgere lo splendo­re della Coscienza Universale dell'intera umanità, direzionata verso un uni­co scopo di fratellanza, di pace, di reciproca intesa e comune possibilità di salvezza.-------------------------------------------------- ###

 °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

“Tutti gli  uomini sono… ogni Uomo!”

di Alberto Mengoni- (Pubblicato sulla Rivista “OLIS”- Novembre 1994)

 

“E' possibile essere felici senza essere “qualcuno”?

Che valore viene attribuito, dal Buddhismo, al ruolo sociale e all'azione?

I paradossi di una filosofia in cui la felicità è praticabile

nell'assenza di "identità"…

 

Il passato che non passa

La parola Karma, ormai entrata nel nostro lin­guaggio comune, viene per lo più associata alla parola "reincarnazione", ovvero al concetto di viaggio dell'a­nima attraverso vite diverse. Tuttavia il termine Karma, nelle filosofie orientali e in quella buddhista in partico­lare, ha un'accezione ben più complessa: esprime l'idea che ciò che siamo in questo momento è una somma esponenziale di tutti i momenti di esistenza del nostro passato, anche antecedenti alla nostra venuta in questo mondo. Una lettura estremamente rigorosa della legge di causa ed effetto, quindi. Trasportata sul piano indivi­duale, questa legge fa sì che una continuità progressiva di tendenze, pensieri, azioni e volizioni produca poi una condizione di "status quo" riconoscibile come l'attuale stato di esistenza della persona. Il fatto che ognuno di noi si trovi in una determinata sfera sociale, culturale, politica e lavorativa o addirittura in una precisa condi­zione psicofisica sarebbe quindi il frutto delle azioni svolte sia in questa che in altre vite precedenti, vissute magari sotto altre forme e con destini diversi. Già al momento della nascita, secondo la visione buddhista, ci sarebbero dei "contenuti" - memorie, desi­deri - che condizionano la persona nella quale l'anima si è "incarnata". Il ruolo che assumiamo, quindi, rap­presenta il coagulo di questi contenuti, ma diventa a sua volta "produttore" di contenuti che influiscono sulla nostra vita attuale e futura. E' possibile, cioè, che il livello in cui la nostra mente attualmente si trova possa condizionare quasi totalmente la nostra vita attuale, ma anche che a sua volta la mente possa essere condizio­nata dal ruolo che, di conseguenza, assumiamo. E’ anche possibile che lo stato di manifestazione attuale sia uno stato di attesa, una condizione di limbo, in cui la nostra potenzialità mentale, magari molto elevata, aspetti soltanto una situazione particolare, una fulminea maturazione di una causa pre-esistente, per far emer­gere, da uno stato, per così dire, ibernato o congelato, una straordinaria capacità di Autocoscienza.

Il potere dell'identificazione

La legge di causa ed effetto influisce anche sul rap­porto tra il ruolo nel quale siamo identificati e il nostro "sostrato" interiore. Quanto maggiore sarà l'identifica­zione nel ruolo, tanto meno saremo capaci di ricono­scere "ciò che siamo realmente". La nostra essenza uni­versale, chiusa in un involucro, non riuscirà a manifestarsi alla coscienza. Ciò che il Buddha chiama "ignoranza" è proprio questa forma di imprigionamento della coscienza nei contenuti mentali: saremmo tutti potenziali Buddha se non fossimo vittime di un primordiale errore (peccato originale?) che ci impedisce il riconoscimento della nostra vera natura. Attraverso l'esperienza nella vita in questo mondo si sono formati, nella nostra mente, dei parametri di appartenenza a questo o quel "normotipo". Noi ci vediamo e ci sentiamo come maschi o femmine, gio­vani od anziani, italiani o stranieri, maestri o discepoli, intelligenti o incapaci, ricchi o squattrinati, socialmente arrivati o ansiosi di arrivare. Insomma, nella nostra manifestazione socio-antropologica, ci autorappresen­tiamo attraverso delle categorie di appartenenza e ci identifichiamo in queste.

Nella visione buddhista dell'esistenza, al contrario, a queste categorie viene riconosciuto un valore mera­mente convenzionale o relativo dato che, dal punto di vista assoluto o ultimo, nessuna qualità risulta immuta­bile o permanente ed ogni cosa viene considerata solo in relazione al suo opposto. Il metodo buddhista, basato sull'attenta osservazione di ciò che nel mondo fenome­nico accade, conduce alla puntuale constatazione che, nel tempo, ogni cosa si trasforma nel suo opposto: il piacere nel dolore, il bene nel male, la gioventù in vec­chiaia. L'aspirazione allla evoluzione della coscienza porta naturalmente a non considerare come punto di riferimento il mondo delle forme in divenire. Di conse­guenza, più vi è crescita a livello interiore e più si perde interesse verso i ruoli sociali e una posizione di potere.

La libertà di non essere

Tutto ciò può essere esemplificato dalla proverbiale indifferenza dei "saggi" e degli "illuminati" nei riguardi del loro ceto di appartenenza. Lo stesso Buddha, che al suo tempo era conosciuto col nome di Siddharta Gotama. era figlio di un re ma non ci pensò due volte a gettare le sue vesti di principe. Quando poi, dopo il suo lungo training di purificazione, Siddharta Gotama arrivò a concepire la sua natura ultima e diventò il Buddha (l’Illuminato), non alimentò nessun rimpianto verso il luccichìo della reggia patema e visse come un asceta e monaco vagabondo insieme ad altri "miserabili" com­pagni. Anche nella tradizione cristiana, San Francesco è un altro esempio radicale e addirittura "scandaloso" di questa indifferenza. Ma ci sono stati pure casi di uomini di umili condizioni che, seppur trovandosi fortuitamente ad occupare posti di estremo prestigio, non si sono lasciati sedurre dal fascino del potere. Famosa è, nel Buddhismo Zen, la figura di Hui Neng, cuoco analfa­beta, che vivendo serenamente come un "buddha in incognito" viene scelto dal Quinto Patriarca come suo successore, senza che ciò muti il suo atteggiamento umile e compassionevole.

Tuttavia è pur vero che, anche volendo abbandonare ogni "gloria mondana", si può incappare nella più insidiosa ricerca di "gloria spi­rituale". Potere spirituale e potere temporale hanno camminato per secoli di pari passo. Essere in un posto di comando e per lo più avere il prestigio di rappresen­tare dio in terra è stato (e forse è ancora) il sogno ambi­zioso di molti uomini di religione, sia in Oriente che in Occidente. Vi è poi un'altra forma più sottile e più occulta di "scalata spirituale", quella che spinge molti individui, in cerca di una identità valorizzata, a gettarsi con fanatico fervore nelle vie spirituali per poter dichiarare un'appartenenza a qualcosa (un gruppo, un'idea), per lo più, un quaJcosa di "molto elevato". Questa adesione dell’ immaginario alle "cose spiri­tuali" è una forma di identificazione che non facilita affatto l'incontro e il senso di unione con l'altro.

Naturalmente il vero ricercatore spirituale conosce questa eventualità e parte del suo lavoro interiore consiste proprio nel sorvegliare tutte quelle tendenze che lo spingerebbero ad usare per scopi egoistici i poteri mentali acquistati attraverso le pratiche meditative.

La felicità senza desideri

La mente, come asserisce il Dalai Lama, è la "fonte di tutte le felicità, la creatrice di tutti i buoni propositi, oppure, se mal usata, la generatrice di tutte le disgrazie". Nell'ottica buddhista, il giudizio non è la somma facoltà, e la mente che lo produce non è il ‘principio ultimo’. Dietro alla mente esiste uno sguardo neutrale, privo di giudizio, che osserva l'incessante movimento del pensiero. La pratica spirituale consiste nel cercare di mettere a fuoco la realtà dal punto di vista di quello sguardo neutro.

In questo stato di pura attenzione, la stessa immagine che abbiamo di noi, cristallizzatasi negli anni attraverso una scansione abitudinaria di pensieri/azioni può mutare ai nostri occhi. La nostra persona, il ruolo che occupa nella società, possono assumere infine la proporzione di semplici accadimenti. La ricerca di identità sociale può estinguersi per lasciare spazio, a poco a poco, a una ricerca di Identità (o non-identità) Assoluta, al di là dei nomi e delle forme. Una volta cessata la corsa alla "gloria", al prestigio e all'attenzione degli altri, è possi­bile trovare una felicità senza desideri nella consapevo­lezza di essere non solo una persona, ma di essere con­temporaneamente la Vita di tutti gli uomini.

Al cuore della filosofia buddhista non c'è la pro­messa della visione di un Paradiso fantastico o della realizzazione dei propri "sogni". Al contrario, il mondo delle immagini (e quindi delle illusioni) deve svuotarsi, a poco a poco, per lasciare spazio ad una beatitudine spoglia di oggetti o contenuti. Per questo il Buddhismo, nel suo messaggio autentico, si diffonde tra gli "incre­duli". C'è infatti una incredulità costruttiva, che può assurgere a vera e propria pratica di vita: incredulità rispetto a valori come immagine, potere, prestigio; incredulità nella possibilità di poter contrastare questi valori con una ideologia.

In un'epoca di deserto idealistico, il Buddhismo è diventata una filosofia di azione per chi si sente stretto nel suo ruolo ed è consapevole di non poter risolvere questo senso di non-identità creandosi un'altra rappre­sentazione di sé e del mondo. Come sostiene Aurobindo, contem­poraneo filosofo indiano, l' "uomo ordinario" con la forza della pura motivazione può diventare consapevole della sua natura divina semplicemente non rivolgendo "attenzioni" al proprio ego, vorace e distruttore, ma praticando l'atten­zione per registrare e osservare i propri stati mentali.

Ciò implica un graduale cammino di liberazione dai rapporti di causa/effetto, ovvero dalla legge karmica. In questa ottica di liberazione, il pensare e l'agire nel mondo diventano necessari strumenti obbligatori. Infatti, se è vero, secondo la dottrina buddhista, che noi siamo il frutto di ciò che siamo stati, ciò non significa che non possiamo dare una direzione volontaria al nostro destino. Al con­trario, secondo questa visione, abbiamo la possibilità di annullare completamente il propagarsi delle cause delle vite precedenti e modificare la nostra condizione, colti­vando pensieri e azioni diverse, irradiando il nostro stato di libertà (dalle cause) nel mondo con azioni spas­sionate, senza tornaconto personale. Ed è così che l'in­differenza verso il proprio ruolo sociale si traduce, nell'adesione alla filosofia buddhista, in una pratica sociale disinteressata, attiva, intesa come "servizio" agli altri e alla Vita.

 

Una poesia…

 

­Tutti gli uomini sono Buddha

tutti gli uomini hanno mille occhi singoli…

occhio vivido, occhio acuto, occhio intelligente,

occhio scrutatore, occhio presbite, occhio miope,

occhio astigmatico, occhio strabico, occhio del desiderio,

occhio stanco di guardare, occhio ipercritico, occhio superficiale,

occhio rapace, occhio supplice, occhio invidioso, occhio rabbioso,

occhio calmo, occhio profondamente pensoso, occhio indagatore,

occhio amoroso, occhio generoso, occhio benigno, occhio compassionevole,

solo occhi compassionevoli, in tutto fanno centotredici.

Chi osa guardare i mille occhi è preso dal capogiro e da vertigine

guardandone i 999 dolorosi come il fuoco, dolorosi come la montagna

proprio sopra l'altopiano, che bollendo troppo a lungo

fa aprire sulla fronte il primo dei mille occhi…

grande saggezza, grande stupidità, grande gioia

grande volta celeste,grande miseria.

Così disse in uno sguardo

 

(Tratto da: Wang Meng, Pensieri vaganti nel Tibet, Scheiwiller, Milano 1987)

 

PERCHE' HO CREDUTO NEL DHARMA….

(tratto dal Bollettino  ‘Mission’ – Ott.1995)

 

La storia ha visto sorgere e tramontare diversi tentativi per lo sviluppo della vita individuale e collettiva. Mol­ti hanno dedicato se stessi all'oggettivo progresso dell'umanità per alleviare la sofferenza con il perfezionamento del sistema sociale. Altri invece, rifiutando gli ideali esteriori della società materialista, hanno adottato una via diversa cercando la pace interiore della comunione con il divino, nella contemplazione e nella preghiera. La maggio-ranza però, per egoismo o per rifiuto dei limiti di questi due e­stremismi, ha preferito il disimpegno. Succede però che ognuno di noi si trovi costantemente a dover scegliere tra queste varie linee di compor­tamento.

Allorché a me avvenne di dover credere nel Dharma (dove per Dharma si intende il carattere interiore, la natura più vera e lo scopo fondamentale per cui ogni cosa sussiste) fu quando incontrai il Chan, dopo che per un decennio stavo comunque frequentando vari centri spirituali e varie scuole orientali di pensiero. La semplice lettura di un libro (Il Sutra di Hui-Neng) mi mise in diretto contatto con la Scuola dell'Illuminazione Improvvisa dei saggi Patriarchi del buddhismo Cinese. Questa antica Scuola, constatato che non a tutti era data la possibilità di realizzarsi per mezzo delle varie pratiche dello Yoga e del Tantra, ingiunse dei metodi di decisa consapevolizzazione dei propri stati mentali, che nulla avevano a che fare con le pratiche ascetiche di umiliazione del corpo e della mente, fino ad allora utilizzate per cercare la liberazione. Così, dopo il giusto periodo di emancipazione, gli adepti del Chan erano in grado di far generare una mente volta a migliorare se stessi ed il mondo (insegnando agli altri come migliorare la propria mente).

LA REALIZZAZIONE SPIRITUALE

Mediante le pratiche dello Yoga e del Tantra, l'uomo progressivamente può liberarsi da ogni tipo di negatività e la sua natura più elevata fiorisce, rivelando l'inestimabile tesoro che da sempre era celato nelle profondità del suo cuore. Allora egli comprende come la sua essenza sia la stessa Coscienza che pervade l'universo e da cui deriva la gioia estatica del sentirsi in unione con tutto il creato. La fusione della coscienza individuale con la Coscienza Cosmica, che è ciò che si intende con YOGA (unione), e che parimenti è il fulcro delle pratiche del Tantra, è la pratica intorno alla quale ruota un intero sistema di vita che comprende: regole morali, Asana (posizioni fisiche yogiche), regime alimentare, filosofia, musica e danza, relazioni sociali e personali, ecc., il tutto per agevolare il processo di interiorizzazione ed eliminare gli ostacoli che esistono o possono sorgere a diversi livelli dell'evoluzione dell'uomo. Tuttavia, gli antichi Cinesi erano piuttosto inclini a ritenere tutte queste attività della persona, nient'altro che 'perdite-di-tempo', strumenti occasionali che non potevano interrompere la dipendenza samsarica della mente, passatempi che riportavano obbligatoriamente la persona nel circolo vizioso delle nascite e delle morti e, pertanto, si applicarono in maggior misura nella pratica ritenuta la più veloce e risolutiva dell'emancipazione mentale: il Chan, o meditazione profonda.

LA MEDITAZIONE CHAN

E' il mezzo più importante a nostra disposizione per giungere alla reale conoscenza del proprio "né; consiste nella progressiva concentra­zione della mente verso i suoi livelli più profondi, fino al raggiungimento del nucleo più interiore ed essenziale della coscienza, dove risiede la più pura ed illimitata natura di felicità (in sanscrito Ananda) che è la meta di ogni uomo e di ogni essere vivente. La meditazione Chan è anche il mezzo più idoneo per superare tutte le limitazioni psichiche e mentali dovute a ignoranza metafisica, complessi di paura, di colpa e di inferiorità, ecc., nonché alla errata comprensione religiosa, all'educazione, al condizionamento dei mass-media, per poter avere una chiara consapevolezza della realtà materiale e sottile in cui vivia­mo e per sviluppare al massimo le nostre potenzialità fisiche e psichiche.

La meditazione non è né una preghiera, né recitazione di versi, né speculazione intellettuale. La meditazione è una pratica psico­-spirituale basata su una tecnica ben precisa che tutti possono imparare, quando siano veramente motivati a seguire l'insegnamento profondo dei Patriarchi Chan. Quello che occorre, però, è di abbandonare tutti i vecchi meccanismi di pensiero abituali, di cui purtroppo non si ha una vera ed esatta conoscenza, né comprensione. E questo è l'aspetto più difficile, a cui non tutti possono giungere; soprattutto perché a questo punto entrano in gioco la volontà personale e la capacità individuale di saper veramente "comprendere"  ciò a cui ci si sta dedicando. Ecco, perché la meditazione 'Chan' non è per tutti; perché non tutti sono in grado di capirne lo scopo e la funzione.

REGIME ESISTENZIALE E ASPETTO SOCIALE

Tutti coloro che praticano Yoga, Zen e le Vie spirituali, ed in generale tutti quelli che ricercano la massima efficienza del corpo e della mente, per cibarsi dovrebbero adottare il sistema alimentare latto-vegetariano (cioè verdure, frutta, cereali, legumi + il latte ed i suoi pro­dotti) perché è il più consono alle caratteristiche fisiolo­giche della mente e del corpo Umano. Si riduce inoltre la sop­pressione di animali che sono sensibili alla sofferenza e che, come noi, hanno lo stesso nostro diritto a vivere in pace e senza la paura. Inoltre, riconoscendo che l'uomo non è libero di svilupparsi intellettualmente e spiritualmente finché non risolve i bisogni fon­damentali dell'esistenza fisica, la meditazione Chan agisce in profondità nella mente dell'individuo che, una volta emancipato e liberato dalle sue innate preoccupazioni, potrà agire a livello sociale per sanare i sintomi di una società malata e per estirpare alle radici le loro cause. Per questo la pratica meditativa continuata, soprattutto nella vita ordinaria, svolge diversi còmpiti riguar­danti ogni espressione dell'attività umana: l'uomo emancipato è in grado di prestare il suo servizio, nel momento che gli venga richiesto, dal­lo sviluppo dell'arte all'educazione morale degli esseri, dalla ricerca medica alla prevenzione igienistica, dalla soppressione dell'istinto di crudeltà verso umani, animali e piante, alla sensibilizzazione delle proprie energie per scopi umanitari.

Per concludere, questi e molti altri motivi più riservati, mi hanno indotto a credere nel Dharma della Mente. E, grazie a questa fede, sono stato spinto anche a cercare di insegnare alle altre persone di iniziare a praticare la meditazione Chan. Devo dire che non è stato affatto facile, né arrivare al giusto livello di comprensione e né stabilire una valida e efficace condotta utile per stimolare le altre persone. Non sono stati molti, anche se occorre riconoscere la grande difficoltà di questa istruzione,  gli individui che hanno deciso di dedicarsi alla pratica meditativa del Chan. Tuttavia, le poche decine di persone da me stimolate nel corso di questi anni sicuramente ne avranno tratto giovamento, anche se esse non lo sanno, perché nessuno potrà mai sapere come la propria vita sarebbe andata senza l'avviamento di una cosciente consapevolezza che governi i nostri pensieri e le nostre azioni, in questa lotta continua di ciascun individuo per l'esistenza serena e per il benessere psicofisico proprio e degli altri esseri. =======================================================###

 

 LA PAGODA CH'AN di PIEVE A SOCANA   - di Alberto Mengoni

(Articolo tratto dalla Rivista 'Occidente Buddhista'- num. 15 del Maggio 1997)

 

Nella verde Toscana, agli estremi margini meridionali ­dell'appennino tosco-romagnolo, nella frazione di Pieve a Sòcana del comune di Castel Focognano-Rassina, in provincia di Arezzo, sorge la piccola pagoda della meditazione Ch'an. Questo minuscolo e prezioso eremo buddhista, limitrofo ai ben più noti eremi cristiani della Verna e di Camaldoli, è stato fortemente voluto dal compianto ingegner Luigi Martinelli di Arezzo, scomparso recentemente e tra i primi promotori dell'arrivo del buddhismo in Italia, nei primi anni del dopoguerra.

Per anni questa piccola costruzione è rimasta una sorta di segreto e nascosto tabernacolo dedicato alla straordinaria epopea spirituale dell'Illuminato, il saggio Buddha Shakyamuni, rappresentata figurativamente dalla volta conica mosaicata sulla quale sono rappresentate, in mezzo alle tradizionali e classiche sentenze tratte dai sutra più conosciuti del canone pali, scene simboliche dedicate alla vita e alle opere del Grande risvegliato, nonché le rappresentazioni scenografiche delle sue Quattro Nobili Verità. Questi suggestivi mosaici sono stati eseguiti personalmente, come pratica spirituale, dallo stesso Ingegner Martinelli. Nel 1992, per diretto intervento della Fondazione Maitreya, questo umile luogo spirituale fu destinato, da parte del proprietario benefattore, a residenza di un monaco della tradizione del Buddhismo Coreano e fu concesso, quindi, al monaco Zen Tae-Hye.

Tae-Hye, finlandese di nascita e il cui vero nome è Mikael Niinimakí, ha trascorso diversi anni nei monasteri tailandesi e coreani, ove ha preso i voti. È giunto in Italia nel 1992, imparando la nostra lingua in modo apprezzabile. In questo periodo egli vive nella pagoda quasi sempre solo, per molti mesi all'anno e pratica una disciplina Zen che deriva direttamente dalla scuola Ch'an, così come viene praticata nei monasteri coreani della tradizione Chogye e cosi come è stata tramandata dal Sesto Patriarca Hui Neng e da tutti gli altri venerabili maestri della Cina, del Giappone e di Formosa.

Quando qualche piccolo gruppo di praticanti motivati giunge alla pagoda, solitamente in determinati week-end, il buon monaco Tae Hye predispone un programma che è quasi l'esatta replica della vita nei monasteri coreani: Sveglia alle cinque e subito meditazione seduta per circa un'ora; poi vari intervalli nella giornata dedicati alla colazione, al lavoro di karma­yoga, al pasto, al riposo e allo studio. Tutto questo, scandito da quattro sedute di meditazioni zazen di circa un'ora l'una, cui sono inserite brevi meditazioni camminate, e da una cerimonia serale con recite di Sutra e prostrazioni per la durata di circa mezz'ora. Alla sera, non troppo tardi, ci si corica in stanzette di uno, due o tre posti, per un totale di circa dieci-dodici alloggiamenti.

La pace che si respira all'interno e tutt'intorno, anche se rare volte può accadere di venir disturbati dalle presenze della moderna contestualità, fa ritornare alla mente dei praticanti, karmicamente aderenti al sentiero Ch'an, lo stile di vita di mille e più anni fà che, come sicuramente è avvenuto in chi scrive ed in altri individui, è collegato alla connessione di appartenenza alla scuola della Illuminazione Improvvisa. Si percepisce quasi una rimembranza delle precedenti vite trascorse con coloro che si trovano in sintonia con gli insegnamenti degli antichi illuminati e saggi del Buddhismo Ch'an Cinese e dì quello, meno conosciuto, della tradizione Coreana. Nella pagoda sono inoltre consultabili alcuni testi, introvabili in Italia, e di cui si sta curando la traduzione per conto della Fondazione Maitreya, sulla vita e gli insegnamentii di alcuni tra i più grandi maestri dello Zen Coreano, sia antichi che attuali (tra cui T'ae-gó, Sheng-yen e Seung-Sahn). In essi si può verificare la corrispondenza tra questa tradizione con l'autentico messaggio del Ch'an degli antichi Patriarchi originali.

Il messaggio del Ch'an, propagandosi oltre i confini del Celeste Impero a cavallo di successive ondate, giunse nel corso dei secoli in territorio Coreano e, benché sottoposto a governi medioevali di precarie dinastie, sanguinose invasioni di orde mongole ed eserciti giapponesi, nonché a tumultuose guerre civili fratricide, arrivò a instaurarsi stabilmente per giungere sino ai giorni nostri, diramandosi in diverse scuole di pensiero, tra cui la più ortodossa è la scuola Chogye, quella appunto a cui appartiene Tae-Hye nella sua linea di trasmissione.

Il monaco Tae­-Hye ha effettuato, ed è sua intenzione ripeterli, alcuni viaggi dì Dharma: oltre che in Corea e in Finlandia, anche in Italia e precisamente a Roma, Genova, Napoli, Firenze e Pian dei Ciliegi (Piacenza), dove alcuni dei suoi studenti hanno costituito dei piccoli sangha che, dietro suo consiglio spirituale, hanno preso il nome di Gruppo di Meditazione Ch'an Bodhidharma. Questi gruppi di meditazione, che si riuniscono per conoscere la saggezza Ch'an e praticarne la relativa meditazione, non sono le sole iniziative promosse da Tae-Hye per la propagazione del sentiero Ch'an in Italia. Egli ha avuto anche il grande merito di motivare due giovani italiani a prendere l'ordinazione monastica della sua tradizione Choghye del Buddhismo Coreano. Una ragazza friulana, Isabella Yo-ung, e un giovane veneto, Giancarlo Tae-Ri, hanno completato il loro proposito prendendo i voti: la prima nel monastero delle monache di Bul-jong-Sa, e il secondo in quello dei monaci di Song­wang-Sa, entrambi in Corea. Certamente questo fa onore al Dharma ed al monaco Tae-Hye, ma altre considerazioni sono ancora da fare sull'influenza spirituale creata dalla presenza della pagoda.

Non è assolutamente da dimenticare l'esperienza della praticante Cristina Martire che, dopo diverse partecipazioni ai ritiri in pagoda, ha coronato il suo lungo iter spirituale nel Dharma, iniziato circa vent'anni prima, arrivando al termine della sua breve esistenza nel giugno del 1995 con una morte in uno stato di grazia, da perfetta praticante Ch'an. Dopo il trapasso, e per un certo tempo, la sua mente ben addestrata si è posizionata tra i boschi che circondano il piccolo tempio della pagoda in cui, quarantanove giorni dopo la sua morte, è stato tenuto il rito cerimoniale per la fine del 'Bardo' (fase di passaggio) della sua esistenza terrena. Inoltre, è ancora da ricordare che l'autore di questo scritto, da anni sta impegnandosi affinché, oltre egli stesso, anche altre coscienze possano seguire l'ammirevole esempio di Cristina, come pure di chiunque abbia veramente imboccato il sentiero Ch'an, creando a Roma un gruppo di autocoscienza e di meditazione per principianti ed avanzati (il Centro Nirvana).

Il profondo sentimento di appartenenza alla nobilissima famiglia dei praticanti Ch'an della scuola dei Patriarchi, permette a Tae-Hye ed altri suoi studenti anziani l'applicazione della pratica il più possibile vicina all'insegnamento tradizionale motivata dalla qualificazione della serietà e dell'aderenza ai precetti buddhisti che vedono nella liberazione dalla sofferenza di tutti gli esseri lo scopo principale della motivazione bodhisattvica, indispensabile per l'umanità e per tutti gli esseri senzienti di questo mondo e di questa epoca, in questa società confusa ed ignara, oltre che pericolosamente immersa nell'oceano delle sofferenze samsariche.

La serena e quieta atmosfera della pagoda Ch'an di Pieve a Sòcana riporta ad una dimensione più umana, nel senso classico dello Zen, in cui l'uomo ritrova se stesso come unità col tutto e come manifestazione innata (nirmanakaya) della pura Mente-Buddha, a cui guardano ed aspirano tutti gli individui di spirito acuto e di profonda compassione, riproponendosi così di percorrere le orme del glorioso sentiero degli antichi adepti, sia monaci che laici, della immortale scuola Ch'an. -- JJJ                ----------------------------------------

P.S. = Quest'articolo fu scritto alla fine del 1995 e si riferisce a situazioni che erano valide in quel lontano periodo.  Al giorno d'oggi, la situazione è cambiata. Il Monaco Tae-Hye non risiede più in Pagoda da almeno sette-otto anni e la Pagoda stessa è diventata sede di una Associazione buddhista collegata a varie tradizioni. Io stesso non la frequento più da ormai sei anni, anche sevorrei  mantenere un contatto con i bravi praticanti che custodiscono e curano il mantenimento dell'attività spirituale

--------------------------------------------------------------------------------------------------

"CH'AN"  ANTICO E MODERNO – di Alberto Mengoni

  -( Pubblicato sul ‘Bollettino Vegetariano’, 1997 )

 

Si dice che in questa epoca degenerata da consumismo e materialità, non vi sia più spazio per una autentica spiritualità. O meglio, sembra che sia un luogo comune il ritenere che, ai giorni nostri, vi siano pochissime persone degne e destinate ad approdare ad un Sentiero spirituale di un certo valore, come ad esempio, il buddhismo Esoterico.

In realtà, a ben vedere, in questa era moderna ed ipertecnologica, ci sarebbe molta più possibilità di praticare una disciplina realizzativa, drastica e severa come il Ch'an, che non parecchi secoli indietro, in cui era già molto difficile aver tempo per pensare alla vere condizioni della mente umana. Il disperato bisogno di sopravvivenza, così evidente ed impellente mille o duemila anni fa, oggi non sembra essere così marcato, almeno nella nostra società occidentale. Benché in vaste aree del pianeta, presso alcune società culturalmente assai retrive di paesi sottosviluppati, il venire al mondo sia ancora regolato da necessità ed obblighi procreativi, tuttavia le possibilità di sviluppo e crescita, sia economica che culturale, grazie alla facilità di interscambi e migrazione, sono effettivamente molto migliorate. Sembra che oggigiorno la cerchia elitaria degli individui che possono aspirare ad arrivare alla conoscenza della spiritualità profonda, sia di molto aumentata dal punto di vista quantitativo e numerico.

Diversa però è la valutazione qualitativa. Come in tutte le componenti dell'Essere, ad un aumento smisurato della quantità, spesso corrisponde un restringimento della capacità qualificante. Vale a dire che, sebbene oggigiorno molte più persone potrebbero venire in contatto con la spiritualità genuina, ma proprio per il fatto che sono sorte a dismisura delle posizioni intermedie, o inferiori, di una più abbordabile spiritualità, alla fine coloro che veramente riescono a raggiungere, e ad attivare, la forma pura della pratica evolutiva della Coscienza, sono di gran lunga rimasti assai pochi. In questo modo si torna a dare ragione al luogo comune ed all'antico vaticinio.

Dalla nostra esperienza in materia, (più di vent'anni dedicati al solo scopo di scoprire la Verità, di cui gli ultimi sei a tempo pieno, ventiquattr'ore su ventiquattro), abbiamo dedotto che la maggior parte delle persone, pur in qualche modo interessate ad una personale emancipazione, spesso e volentieri si fermano a livelli intermedi, e quindi inferiori, nella Via della Conoscenza. Cioè, in realtà, si fermano al confine tra la realtà ordinaria e la Realtà Ultima, o Vacuità.

Magari a livello concettuale, moltissime persone hanno senz'altro valicato questo confine, gettando uno sguardo nello spazio metafisico della mente. Grazie ad una notevole quantità di libri, le più svariate discipline spirituali, come lo Zen, il Vedanta, il Sufismo o la Gnosi, hanno portato a casa nostra materiale informativo, in un certo modo anche allettante, cosicché si può dire che non vi sia biblioteca domestica che non abbia in bella mostra la sua sfavillante collezione di filosofia e spiritualità.

Tanti altri hanno poi preso a frequentare scuole di Yoga e di Arti Marziali, nonché Centri di Meditazione. Abbiamo avuto anche un certo numero di monaci Europei e perfino Italiani, nelle varie religioni Orientali, ben diretti e guidati da validi Maestri, anch'essi spesso di estrazione Occidentale. Tutto perfetto, dunque. Ma allora, c'è o non c'è questa desertificazione spirituale?

Bene, se qualcuno di voi ha letto le storie di vita dei Grandi Yogi dell'India, del Tibet e della Cina, come Milarepa ed altri, allora avrà subito chiaro che cosa intendo dire. Oggi si fa un gran parlare di spiritualità, anche grazie ai numerosi mezzi di informazione mediatici;  ma, oltre al parlarne, più in là non si va di certo. Quei (mica tanto pochi) grandi Esseri che, centinaia o migliaia di anni fa, avevano oltrepassato i limiti ordinari della mente umana, parlavano sì del Dharma e del modo di arrivarvi, ma soprattutto erano, essi stessi, esempi viventi e perfetti testimoni dell'autenticità della Dottrina. Non avevano certo riguardo per il loro <Io> mondano, non si preoccupavano dei formalismi e del conformismo. Non mettevano in giro inutili dicerie su altri esseri umani e né erano intenzionati ad ascoltare malelingue o credere a pettegolezzi mondani.

Se conoscete la storia del grande saggio Tibetano Drugpa Kunley, chiamato "lo Yogi folle", e ne vedeste oggi arrivare uno identico, che se ne va in giro per i nostri Centri spirituali, che fareste, allora? Se, anziché cogliere i messaggi sintetici e le testimonianze profonde della pura Coscienza di un individuo speciale, voi vi metteste a criticare ciò che artificiosamente vi appare dai suoi comportamenti o, peggio ancora, deste retta agli stupidi giudizi su di lui, dati da persone totalmente offuscate dall'Avidya, allora converrete con me che il traguardo della reale spiritualità è davvero molto lontano.

Perciò, non lasciamoci trascinare dalla mente, da questa nostra mente ordinaria e condizionata. Se, prima, non operiamo una radicale trasformazione e una netta purificazione della nostra sostanza mentale condizionata, qualsiasi cosa si faccia, qualsiasi intenzione si abbia, tutto sarà impuro e opposto a ciò che dovrebbe essere il puro Dharma, ovverosia la profonda Dottrina degli antichi, a cui pure noi facciamo riferimento.Vediamo di fare in modo che il Ch'an, o qualunque altro tipo di disciplina spirituale moderna, non sia affatto differente dal suo prototipo originario. Poiché soltanto a queste condizioni potremo liberarci dal condizionamento della nostra mente attuale, collegata al mondo ordinario ed alla visione di realtà illusoria. Dalla quale, almeno noi che pratichiamo una dottrina liberatoria come il buddhismo, dovremmo cercare di liberarci e liberare tutti gli altri sfortunati esseri senzienti, che ancora sono costretti, loro malgrado, a credervi ed a rapportarcisi. --JJJ

§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§§

L'ESPANSIONE DELLA COSCIENZA tramite i MODERNI SISTEMI DI COMUNICAZIONE DI MASSA (Non tutto il male viene per nuocere…) 

 di Alberto Mengoni (Pubblicato su "MEDIA-MENTE", 1997). 

           In questi ultimi tempi, occorre indubbiamente riconoscere che vi è stato un prolifico e crescente interesse verso la spiritualità in genere e verso quella di matrice orientale, in particolare. Sull'onda del successo di alcuni "testimonials" culturali (nel cinema, nell'editoria e perfino in ambiente sportivo), il grande pubblico, questa immensa massa che viene stimolata a fare tendenza, si è quasi impetuosamente accostato alle discipline orientali, e in particolar modo a quella insegnata più di 2500 anni fà dal grande Saggio Indiano conosciuto col nome di "Buddha, il Risvegliato". Le acute intuizioni ed i profondi insegnamenti del 'Bhagavan' (Beato), di cui si può prendere conoscenza tramite una nutritissima letteratura (vedi le collezioni letterarie delle Case Editrici, come Ubaldini-Astrolabio, Mediterranee, Adelphi, Chiara Luce, tanto per citarne alcune), risultano essere  un cospicuo allargamento della nostra visione spirituale e del nostro bisogno di fede con, in più, una maggiore possibilità di espansione e comprensione del concetto di "Coscienza". Tutto ciò, proprio utilizzando un sistema che, partendo dall'originario messaggio del comportamento etico, più facilmente comprensibile, arriva all'indicazione di un Sentiero Interiore destinato alla salvezza (purché lo si percorra interamente). La salvezza (Liberazione o Illuminazione, che dir si voglia) viene additata precisamente come risultato, con una dichiarazione di enfatica speranza, nei confronti dei mali psicologici della nostra esistenza e come riconoscimento della "reale Natura dell'Uomo", anche e soprattutto attraverso una pacifica e tollerante coesistenza con i propri simili e con tutte le creature dell'Universo.

Questa componente "olistica", a parer mio carta vincente della filosofia buddhista, ha fatto sì che, in qualsiasi epoca, ogni componente espressiva della società, contraria alla sottomissione culturale e ideologica dei poteri governanti, finisse quantomeno per avvicinarsi, ed in seguito confluire e riversarsi, in quell'oceano spirituale che da sempre prometteva l'affrancamento dalla schiavitù ideologica e dal sistema delle "caste" sociali, fino a travalicare dagli originari confini dell'India, espandendosi con successive ondate sempre più all'esterno e raggiungendo, nel secolo che sta finendo, perfino il tecnologico e scientifico mondo occidentale. In questo frangente, il Dharma del Buddha si portò dietro una notevole quantità di elementi libertari, nonché qualitative particolarità del tutto rispondenti ai desideri di una umanità sofferente e bisognosa di conoscenza e benessere psicologico. In effetti, ciò che sta avvenendo (in questi ultimi periodi del ventesimo secolo e inizi del ventunesimo) è un qualcosa contraddistinto da profondi sommovimenti culturali e religiosi, che conferma pienamente la necessità, da parte delle popolazioni occidentali, di scoprire nuove direzioni e nuove proposte, per riuscire ad affrontare e superare i numerosi problemi di una esistenza sempre più angosciosa ed annichilante, sempre più permeata di modernismo stressante, di materialismo opprimente e di tecnicismo alienante.

Nondimeno, è sorprendente rilevare che proprio alcuni dei prodotti di questa tecnologia moderna, come i sistemi multimediali di comunicazione di massa, tanto in voga al giorno d'oggi, sono diventati strumenti che permettono una maggiore espansione della conoscenza dei metodi operativi filosofici e spirituali. Questi insegnamenti per ampliare e valorizzare la Coscienza, sono rimasti per millenni sotto il segreto appannaggio di limitate frange sociali in aree circoscritte, tradizionalmente più idonee all'apprendimento ed alla comprensione delle sottili verità metafisiche. Ora, invece, sia la carta stampata, il cinema, la televisione e, addirittura i sistemi interattivi (vedi Internet), stanno contribuendo a trasformare gli strumenti ed i metodi che propongono una istruzione spirituale; per cui la più tradizionale "Trasmissione" per mezzo della parola e dell'ascolto ad personam, è stato relegato al ruolo di "tappa finale o ultimo appuntamento" solo per coloro che dimostrano di essere assai più determinati.

La pubblicizzazione massiccia ed i messaggi subliminali, effettuati con ogni specie di sistema informativo globale, costituiscono adesso una sorta di "primo approccio", beninteso del tutto opportuno e comunque valido a tutti gli effetti, che ha la funzione di innescare una ricerca di massa, verso tutto ciò che faccia trasparire un contenuto spirituale od escatologico, abbinata ad una frenetica "caccia al Guru", con risultati che sovente hanno messo in crisi le strutture istituzionali. Quest'ultime, già da diversi anni dedite ad una tranquilla attività di promozione selettiva, sono state costrette alla creazione di una sorta di "seconda linea" nel fronte dei discepoli e praticanti aggiunti, per poter essere di supporto ai primi pionieri della spiritualità orientale che, di sicuro, avevano ben altre motivazioni, avendo certamente fatto una scelta assai più ponderata e con maggiori difficoltà nell'approccio.

Nella continuità della pratica degli esercizi meditativi e nella messa in atto dei comportamenti etici e morali, questi individui otterranno l'effetto di un maggior beneficio per se stessi e per tutti gli altri esseri viventi, rafforzando quindi e non disperdendo, il primitivo ed originale messaggio "cristiano" che, anzi, verrà maggiormente integrato, tramite queste ulteriori possibilità di comprensione e grazie agli aumentati canali informativi. In definitiva, si può concludere che questo fertile terreno del movimento di espansione coscienziale, viene magistralmente alimentato (almeno per noi occidentali) dal moltiplicarsi dei mezzi di comunicazione, dato che essi si rivolgono espressamente, ma non solo, all'universo delle persone interessate, a quel cosiddetto "mondo alternativo", che ha già messo in moto la propria attenzione verso ciò che tende a rendere migliore l'esistenza, tanto dal punto di vista fisico quanto da quello psichico e mentale. Di norma, questi piani dell'essere, quando sono strettamente collegati tra loro, producono il naturale raggiungimento di uno stato evolutivo superiore, grazie ad una perfetta simbiosi ed a quella tanto auspicata "qualità della vita" che sicuramente è impossibile raggiungere senza una valida emancipazione spirituale. La Coscienza di Prajna (Saggezza Profonda Trascendente) è la degna conclusione del movimento di ricerca, l'apice della piramide ed il punto di arrivo per coloro che, ora, stanno muovendo, quasi inconsapevolmente, i loro primi passi verso l'espansione di questa Coscienza, solamente già col rispondere agli annunci ed ai richiami mediatici, veri segnali e cartelli indicatori del Karma, per i predestinati sulla Via del Risveglio. -JJJ ^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^^

##########################################################

 

Lo ZEN e la Meditazione contemplativa

di Alberto Mengoni  (Pubblicato su ‘INPUT’ nel settembre 2000)

 

Il termine Zen, mai come in questo periodo, è stato usato a sproposito in quasi tutte le sue accezioni. Si è voluto dare un significato esotico a qua­si tutte le discipline "orientaleggianti" che oggi vanno per la maggiore. Nella realtà, la realtà più semplice, il termine ‘zen’ signi­fica perlopiù meditazione contemplativa. Nell'an­tica Cina, quando il Patriarca Bodhidhar­ma portò il Buddhismo Indiano in quella già vasta ed affermata cultura, la filoso­fia del Buddha Sakyamuni ben si sposò con le teorie metafisiche del preinsedia­to Taoismo. La visione della vita e del suo mistero, nonché l'ottica speculativa in cui si ipotizzava l'esistenza dopo il trapas­so, come in quasi tutte le Dottrine del­l'Asia, erano assai simili e prescindeva­no da un ineccepibile comportamento etico e, soprattutto, da una chiara, aper­ta e immancabile comprensione della natura della mente.

Perciò lo Zen (anzi, il Chan, com’era chiamato in Cinese) fin dal principio divenne, e così continuò per centinaia di genera­zioni, l’insondabile, costante, illu­minante, liberatoria, istruzione spirituale con la capacità di farci essere consapevoli di quella misteriosa ener­gia, origine di tutto l'esistente, che è pro­prio la nostra stessa mente.

Lo scopo della pratica meditativa del Chan e Zen, é proprio la liberazione dalle angosce esistenziali di questo inspiegabile e nevrotico pro­cesso chiamato vita umana, e pertanto non é possibile ipotizzare una valida riuscita del metodo curativo se non vi é dappri­ma una forte motivazione ed una preci­sa e costante applicazione di questo metodo, venendo supportati da abili insegnanti e, principalmente, da una convinta predi­sposizione che guidi la mente verso la stessa perazione salvifica, qui ed ora, capace di modificare in meglio la maniera di per­cepire, e vivere, l'esistenza terrena.

In questa odierna, frenetica, civiltà Occidentale, alle soglie del Terzo Millennio, la maggior parte della popolazione dell’attuale società ­se, da un lato, può fruire di un tenore di vita e di un benessere economico invidiabile, dall’altro è soggetta a condizioni mentali fortemente insidiose, perverse e pericolosamente nevrotiche, molto più di quanto non fosse vittima l'intera umanità dei tempi remoti. Non a caso, nelle antiche Scritture sapienziali orientali, questo periodo, che va da circa l’anno Mille fino ai giorni nostri, viene chiamato il "Kali-Yuga", cioè l'Epoca Oscura, in quanto per la mente gli ostacoli che si oppongono alla possibilità di comprendere la "vera Conoscenza" hanno il potere di risultare enormemente difficoltosi e insormontabili. Da parte dei pochi arditi motivati a contrapporsi a questo triste e pessimistico vaticinio resta esclusivamente l'intima speranza di poter riconvertire il periodo che da qui in avanti ci attende, trasformandolo in una Nuova Era (New-Age). Questo desiderio è ben rappresentato dall'immagine di una rosea alba con cui il nuovo giorno succede alla notte, nera e fredda, arrecando speranzosi propositi di un futuro migliore. Sulla base di questo esempio, l'insegnamento dello Zen, vera speranza per un futuro migliore, ci offre più di un proposito affinché l'attuale società degenerata possa aspirare ad un reale cambiamento di rotta. Mai come in questa era oscurata, caratterizzata da forte egoismo e violenza morale e sociale, la parola del saggio Siddharta il Risvegliato può eccheggiare in modo migliore, sotto forma di messaggio di speranza, di certezza e di stimolo, idoneo a superare le nostre difficoltà sia psicologiche che esistenziali.

La comprensione effettiva della sottile e profonda saggezza del Dharma (Verità Eterna), può produrre un'inequivocabile e inarrestabile evoluzione della coscienza, tale da illuminare chiaramente la mente umana sulle ineluttabili leggi della Natura del Karma (Legge di Causa ed Effetto) nonché sulla rivelazione della continuità di esistenza (Reincarnazione o Rinascita) fino all'esaurimento delle nostre perversioni. Così da ottenere la fruizione di uno Stato di pace e serenità (Nirvama) dovuto alla instaurazione nella mente di una trascendente saggezza e di un’amorevole compassione per tutti gli Esseri viventi, inconsci prigionieri di questo terribile ciclo nascite e morti, intriso di profonda sofferenza (Samsara).

Questa è la ragione principale per cui, in questa odierna civiltà Occidentale piena di contrasti e conflitti, si nota un costante e crescente aumento di interesse verso la meditazione in tutti i suoi aspetti, con l'attivazione di fiduciosi contatti nei confronti dei numerosi Centri Spirituali che anche in Italia offrono la possibilità di poter seguire e imparare i nobili insegnamenti dei Maestri sia Orientali che Occidentali. Nel Chan, poi, data la peculiare particolarità di proporre sottili insegnamenti mirati al riconoscimento della reale natura della mente, piuttosto che verso rituali o attività fisiche, si osserva la formazione di motivati Gruppi di Meditazione Contemplativa, dove anche i neofiti e i principianti possono, naturalmente dopo una costante frequentazione, sperimentare nel tempo gli enormi benefici derivati dalla Pratica, vale a dire la profonda inte= riorizzazione e la sincera gioia derivata dalla precisa e profonda conoscenza dei fenomeni e di se stessi.