Sovente, e non solo durante le meditazioni nella nostra saletta, ma anche nei tanti momenti della vita quotidiana, ci ritroviamo a considerare la debolezza dimostrata dai diversi comportamenti che la mente umana fa avere alle persone. Fin da quando abbiamo con gioia aperto il nostro piccolo Centro Nirvana, con lo scopo di utilizzare le pratiche del Buddhismo Chan e dell’Advaita Vedanta, noi avevamo l’intenzione di aiutare quante più persone possibili (sempre tenendo conto del nostro limitato raggio d’azione) a far trovare dentro di esse la loro vera natura (Natura di Buddha, o Realtà Assoluta), cominciando ad applicare la pratica di consapevolezza, e continuando con l’indagare costantemente la mente, cioè la nostra ordinaria mente samsarica quando è in funzione. Questo compito però si è rivelato quantomai difficile e, in molte situazioni, addirittura impossibile, vista la quasi completa mancanza di collaborazione da parte delle persone stesse o almeno di molte di quelle che, pure in qualche modo, avevano provato ad affacciarsi alla porta del Centro, aspettandosi forse una qualche esperienza differente, e forse non del tutto autenticamente spirituale. Infatti, la maggioranza delle persone si sono dimostrate abbastanza pigre e incompetenti. Alcune, addirittura riottose, con il loro categorico rifiuto a non voler mettere in atto le istruzioni del Dharma che proprio dicono di non dover aderire (e cioè, non obbedire) agli imperiosi comandi della propria mente egoica (la quale infatti dice di non essere interessata a quel tipo di esperienza, e che meglio sarebbe non tornare più in quel luogo…) Fatto sta che, per poter applicare al meglio questa meritevole iniziativa, essendo noi stessi impegnati a motivarci sempre di più verso la nostra stessa Realizzazione del Sentiero di purificazione mentale, da alcuni chiamata Illuminazione, abbiamo ritenuto sicuramente utile e idoneo servirci delle più preziose testimonianze tratte dai testi sacri e dalle scritture, con riguardo alle storie ed agli insegnamenti dei più noti e riconosciuti maestri e saggi dell’antichità, a cui noi stessi facciamo riferimento, e che sono stati i principali capisaldi delle dottrine esoteriche e filosofico-spirituali dell’India e della Cina. La cosa essenziale, però, è che noi crediamo davvero in questi insegnamenti e ancor più davvero ci dedichiamo a metterli in pratica. Altrimenti, che senso avrebbe cercare di far sorgere dentro di sé la saggezza, se poi si rifiutano gli strumenti ed i metodi per realizzarla? Per fare un esempio… Diversi anni fa, come tutti, io ero molto interessato alle cose del mondo. In tutti i sensi. Provavo attrazione per le cose belle e attraenti, e mostravo repulsione per quelle brutte e repellenti. Ero molto normale, in ciò, perché in questo mondo, più o meno, tutte le persone sono così. E non è che adesso le cose siano poi così tanto cambiate. Nell’intimo della mia sfera personale, queste manifestazioni le riconosco ancora naturamente come mie, e sento che, ad ogni relativa occasione, esse puntualmente si ripresentano. Ma forse, proprio per il fatto che ora ME NE ACCORGO, cioè, io ne sono consapevole, sento anche che non sono più portato a dar loro molto spazio… in qualche modo, ho rallentato l’apparizione di queste manifestazioni e non aderisco più così facilmente. Eppure, anche per me, la cosa non è mica facile! Anzi, è davvero molto impegnativa. Però, dentro di me, adesso c’è una voce che mi guida, mi mantiene attento e mi dice che è giusto così. Questa voce è la pura coscienza. Questa pura coscienza può farsi sentire solo perche il mio ‘io’ si è fatto un po’ da parte. Il mio ‘ego’, educato e sottoposto ad uno stretto controllo, ha capito che non può più farla da padrone e così, alla fine, ha lasciato spazio alla sublime voce della coscienza. Ma, in realtà, tutto ciò è potuto accadere non perché il mio ‘io’ abbia capito da solo, da se stesso, che doveva farsi da parte… piuttosto, perché è stato reso emancipato dalla dottrina e dalla pratica del Dharma. Se la mia mente non avesse finalmente compreso che la causa di tutte le mie difficoltà e sofferenze, che fino ad allora avevo provato, erano solo il pagamento karmico per la mia ignoranza e mancanza di consapevolezza, non credo proprio che la mia ‘egoità’ si sarebbe mai fatta da parte. E quindi, come avrebbe potuto farsi sentire la voce della pura coscienza? Se in tutti questi lunghi anni, io non avessi seguito le istruzioni degli antichi saggi e patriarchi, oggi tramandate dai maestri di spiritualità e commentate con le loro stesse esperienze, e poi fatte diventare mie al momento della comprensione, quando mai il mio tremendo ‘ego’ (o, come molti lo chiamano, ‘libero arbitrio’) avrebbe potuto farsi da parte e far emergere ‘l’embrione del Buddha’? Aldilà del fatto se questa ‘comprensione’ possa essere o meno chiamata ‘Illuminazione’ (non è compito mio dare etichettature, e non ho nessun desiderio di darne…), resta il fatto che gli effetti di questa mia ‘trasformazione mentale’ hanno portato tutti quei benefici di cui i Sutra tanto parlano. E nemmeno mi interessa provare a enumerarli. Per me, basta la mia esperienza diretta a darmene testimonianza. Anche perché, gli effetti positivi dell’eventuale emancipazione mentale di un individuo non sempre sono ‘visti’ o considerati dalle altre persone. Il fatto che le persone non sempre decidono di incamminarsi sinceramente sul sentiero dell’auto-coscienza sta proprio a dimostrare che di sicuro esse non possono (o non vogliono) comprendere, percepire, e neanche riconoscere i vantaggi del lavoro spirituale per ottenere la comprensione e la rinuncia da parte dell’‘ego’. Perciò, qui io sto solo cercando di esprimere l’evidenza del fatto che gli sforzi prodotti per liberare la mente dal cappio dell’egoità, se continuati nel tempo e se non ci si attacca ad essi, portano decisamente alla trasformazione ed al godimento del frutto, cioè la cessazione degli stati di sofferenza mentale e di imprigionamento alle tendenze nevrotiche dell’io. Allora, dopo questo preambolo, è doveroso che io dichiari qui il mio scetticismo sulle potenzialità di Illuminazione da parte di coloro che non intendono rinunciare a tutti i loro attaccamenti mondani. La comodità di pensare (secondo alcune celebri frasi dei Sutra) che ‘Tutti siamo Buddha’, non è un buona ragione per non mettersi umilmente alla ricerca di questo ‘buddha’ e per non sforzarsi di farlo emergere. E poiché molte persone non ritengono di dover sacrificare i loro futili interessi e passatempi mondani, in cui si manifestano come ‘personaggi’ alla ricerca di un mero protagonismo privo di un vero valore e significato, c’è ben poco da sperare che il ‘Buddha’ possa emergere. Tutte le loro egoiche lotte effettuate nel campo della società che impone di ‘apparire’ piuttosto che ‘essere’, tutti i loro sforzi per inseguire samsarici sogni e vane chimere, destinati poi inutilmente a modificarsi e svanire; tutti i loro idealistici inseguimenti a ciò che ritengono (puerilmente) buono e l’avversione per ciò che ritengono (falsamente) errato, con giudizi e opinioni dettati dalla mente umana, che è anzitutto solo ignorante e offuscata da un dualismo imperante… Perciò, mi chiedo, come e quando queste menti potranno raggiungere l’Unità e la Pace dell’Assoluto? Se per esse è predestinato un terribile karma di ripetute rinascite, senza soluzione di continuità, se continuano a rifiutare il Dharma, se non si sottopongono umilmente ad una analisi di se stesse, se non vogliono affidarsi alla medicina spirituale ed alle cure di un abile e compassionevole insegnante, come si potrà sperare che nelle menti di questi esseri possa mai crearsi lo spazio per l’emersione della Pura Coscienza? Quando, allora, potrà farsi viva l’Illuminazione? E se l’Illuminazione non arriva, quando mai esse potranno avere pace e serenità, anche se il loro desiderio, come quello di tutti quanti, è proprio l’ottenimento della felicità? Bisogna sapere che la beatitudine (o felicità) è il capolinea del lavoro spirituale. Purtroppo, però, per poterla raggiungere, bisogna prima parecchio faticare. La fatica (cioè, lo sforzo-virya) è quella richiesta per applicare la disciplina. La disciplina è il praticare continuamente la consapevolezza per ottenere il cambiamento di pensiero e della struttura mentale. Dunque, se le persone che fuggono e scappano dal Dharma lo fanno proprio perché non vogliono applicarsi alla pratica ed alla disciplina, in che modo esse potranno mai risvegliarsi e illuminarsi? Il loro ‘sogno’ samsarico durerà in eterno. Esse continueranno quindi a restare nel ‘coma-profondo’ dell’illusione samsarica e, per quanti sforzi facciano per migliorare le loro condizioni di vita, anche se in qualche modo potessero riuscirci, sarà sempre come se avessero migliorato lo svolgersi del loro sogno. Al momento della morte, quando il loro ‘sogno’ dovrà obbligatoriamente svanire, esse dovranno penosamente ‘risvegliarsi’ alla drammaticità di ciò che le aspetta… vale a dire, la retribuzione karmica per la loro mente illusa che continuerà a ‘proiettare’ innumerevoli altre vite o altri universi, e non necessariamente in questa dimensione che conosciamo. Dunque, se per qualche caso ipotetico, questi scritti arrivassero agli occhi e alla mente di persone che siano incorse in fatti come quelli sopra descritti, cioè che sono scappate via dal Dharma, perché non hanno voluto crederci o non si sono sentite interessate, tengano bene a mente queste considerazioni, perché in un modo o nell’altro, grazie ad esse, queste persone potrebbero ritrovare il Sentiero per la felicità perduta, una felicità eterna e permanente, completamente diversa da quella breve e mutevole dell’illusorio mondo samsarico in cui si trovano attualmente, un mondo che però purtroppo appare ‘reale’, proprio a causa della contaminazione mentale dovuta alla loro fondamentale ‘ignoranza’ della trascendente verità ultima. | |