www.superzeko.net  

Sommario del sito

RIFLESSIONI SUI CICLI STORICI

Anonimo

 

Caro Dario, prima di partire ti offro ancora delle riflessioni...

 “L'accostamento di Malkuth e di Tsedeq, ossia della Regalità (il governo del Mondo) e della Giustizia, si ritrova nel nome di Melki-Tsedeq. Si tratta qui della Giustizia distributiva e propriamente equilibratrice, nella «colonna di mezzo» dell'albero sephirotico, che va distinta dalla Giustizia opposta alla Misericordia e identificata col Rigore, nella «colonna di sinistra», perché si tratta di due aspetti diversi (e del resto in ebraico [in un articolo raccolto negli Studi sull'esoterismo cristiano e dedicato alla lingua sacra, che non c'è nel Cristianesimo, dove c'è soltanto una serie di lingue liturgiche, Guénon cita favorevolmente l'idea di Dante che sia l'ebraico la lingua sacra dell'Occidente] vi sono due parole per designarli: la prima è Tsedaqah e la seconda è Din). Di questi due aspetti, il primo è la Giustizia nel senso più stretto e completo insieme, implicante essenzialmente l'idea di equilibrio e di armonia, e legata indissolubilmente alla Pace.

Malkuth è «il serbatoio in cui si riuniscono le acque che vengono dal fiume che sta in alto, cioè tutte le emanazioni (grazie o influssi spirituali) che essa poi diffonde in abbondanza» [P. Vulliaud, La Kabbale juive, I, p. 509]. Tale «fiume che sta in alto» e le acque che ne discendono ricordano stranamente il ruolo attribuito al fiume celeste Gangâ nella tradizione indù; e si potrebbe anche osservare che la Shakti, di cui Gangâ è un aspetto, presenta indubbiamente alcune analogie con la Shekinah, se non altro per quanto riguarda la funzione «provvidenziale» che è loro comune. Il serbatoio delle acque celesti è naturalmente identico al centro spirituale del nostro mondo: da lì partono i quattro fiumi del Pardes, dirigendosi verso i quattro punti cardinali. Per gli Ebrei, questo centro spirituale s'identifica con la collina di Sion alla quale dànno l'appellativo di «Cuore del Mondo», comune per altro a tutte le «Terre Sante». Essa diventa così, per loro, in certo modo, l'equivalente del Mêru degli Indù o dell'Alborj dei Persiani. «Il tabernacolo della Santità di Jehovah, la residenza della Shekinah, è il Santo dei Santi che è il cuore del Tempio, il qual è esso stesso il centro di Sion (Gerusalemme), come la santa Sion è il centro della Terra d'Israele, come la Terra d'Israele è il centro del mondo» [La Kabbale juive, ibidem]. Ma ci possiamo spingere ancora oltre: non solo tutto ciò che è enumerato qui, prendendolo nell'ordine inverso, ma anche, dopo il Tabernacolo nel Tempio, l'Arca dell'Alleanza nel Tabernacolo e, sull'Arca dell'Alleanza, il luogo dove si manifesta la Shekinah (fra i due Kerubim), rappresentano altrettante approssimazioni successive al «Polo spirituale».

"In modo analogo Dante presenta proprio Gerusalemme quale «Polo spirituale» [...]; ma, se appena si esce dal punto di vista propriamente giudaico, ciò diviene soprattutto simbolico e non costituisce più una localizzazione in senso stretto. Tutti i centri spirituali secondari, costituiti in vista di adattamenti della tradizione primordiale a condizioni determinate, sono, come già abbiamo mostrato, immagini del centro supremo [...]. Come indica il suo nome, Gerusalemme è effettivamente un'immagine della vera Salem; la «Terra Santa» [...] la quale non è soltanto la Terra d'Israele [...].

"A questo proposito, è assai significativa, quale sinonimo di «Terra Santa», l'espressione «Terra dei Viventi»: tale espressione designa chiaramente il «soggiorno d'immortalità», sicché, nel suo significato più vero, può essere attribuita al Paradiso Terrestre o ai suoi equivalenti simbolici; ma tale appellativo è stato esteso anche alle «Terre Sante» secondarie, e in particolare alla Terra d'Israele. Si dice che la «Terra dei Viventi comprende sette terre», e, secondo il Vulliaud, «questa terra è Chanaan, dove si trovavano sette popoli» [La Kabbale juive, II, p. 116]. Questo è indubbiamente esatto in senso letterale; ma, simbolicamente, queste terre potrebbero benissimo corrispondere, come d'altronde quelle di cui si parla nella tradizione islamica, ai sette dwîpa che, secondo la tradizione indù, hanno il Mêru come centro comune [...]. Parimenti, quando i mondi antichi o le creazioni anteriori alla nostra sono raffigurati mediante i «sette re di Edom» (il numero settenario è qui in rapporto con i sette «giorni» del Genesi), vi è una rassomiglianza, troppo evidente per essere casuale, con le ere dei sette Manu contate dall'inizio del Kalpa fino all'epoca attuale” (Guénon, Il Re del Mondo, Adelphi 1977, pp. 63-4-5-6-7).

In nota:

“Un Kalpa comprende quattordici Manvantara; Vaivaswata, il presente Manu, è il settimo di questo Kalpa, detto Shrî-Shwêta-Varâha-Kalpa o «Era del Cinghiale bianco». Altra osservazione curiosa [come spesso capita a Guénon, il “curioso” va sempre sottolineato: vuol dire che c'è un parallelo che non si sente di sviluppare esplicitamente per ragioni prudenziali]: gli Ebrei dànno a Roma l'appellativo di Edom; ora, la tradizione parla dei sette re di Roma, il secondo dei quali, Numa, considerato legislatore della città, porta un nome che è l'inversione sillabica esatta di Manu, e può essere avvicinato anche alla parola greca nomos, «legge». Si può dunque pensare che i sette re di Roma altro non siano che una rappresentazione particolare dei sette Manu per una particolare civiltà, come i sette saggi della Grecia sono, d'altra parte, in condizioni similari, una rappresentazione dei sette Rishi nei quali si sintetizza la saggezza del ciclo immediatamente anteriore al nostro” .

Ogni Manvantara si compone dei quattro Yuga, di durata decrescente, di cui l'ultimo, il Kali-Yuga, è 1/10 del Manvantara stesso. Poiché il Kali-Yuga è di 6.480 “anni” (la durata stessa dell'anno, rotazione della Terra intorno al Sole - o viceversa, la cosa non cambia - ha dei piccoli resti che modificano, anche se di poco, la durata stessa dell'anno; assommandosi tale resto per lunghe durate, modifica sensibilmente la durata stessa dell'anno), il Manvantara è di 64.800 “anni”. Un Kalpa è quattordici volte un Manvantara, cioè: 64.800 x 14 = 907.200; ora - afferma Guénon in Forme tradizionali e cicli cosmici - il Kalpa si compone di due fasi: una discendente, ed una ascendente, la prima di sette Manvantara, e la seconda degli altri sette. Noi siamo al termine del primo settenario. In altre parole: col termine di questo Manvantara, e cioè col termine di questo Kali-Yuga, s'inverte il ritmo stesso del Kalpa, che inizia la sua fase ri-ascendente (ogni Manvantara iniziava un po' più “in giù” del precedente, da ora in poi sarà diverso; si tenga conto, punto importantissimo, che il Manvantara è un ritmo, e non implica la ripetizione uguale di ciò che è passato, ma soltanto un'analogia qualitativa). Ora: 907.200/2 = 453.600. Col sandhya, in cui siamo entrati, termina anche questo. Terminano “in contemporanea” ed “in analogia”, ma su piani molto differenti: il Kali-Yuga del Manvantara presente, il presente Manvantara, la fase discensiva dei primi sette Manvantara del nostro Kalpa, quello del “Cinghiale bianco”.

Sull'anno solare, va detto che certe leggere differenze di computo dei cicli indicherebbero “la diminuzione dell'anno solare” (Guénon, L'Archeometra, Atanòr 1986, p. 35). E in nota: “Questa diminuzione dell'anno solare è stata intravista dal celebre astronomo Bailly” (ibid.).

Sulla successione dei Manu: “In un Kalpa [...] ci sono quattordici Manu” (A. C. Bhaktivedânta Swami Prabhupâda, Shrî Chaitanya. Gli insegnamenti di Shrî Chaitanya Mahâprabhu, Ediz. Bhaktivedânta 1985, p. 64).

I Manu son detti Manvantara-avatâra, “discese” (non “incarnazioni”) divine che hanno lo scopo di “rettificare” il mondo e/o di mantenerlo nel Dharma, la profonda inerente Armonia col Divino, la Lex Divina, la Tsedeq, ma talvolta Tsedeq implica Din. Vi sono gli avatâra che han dato inizio al Cosmo stesso, Vishnu e Shiva, e Brahma talvolta (perché talvolta il ruolo è “delegato” ad un essere individuale che ne abbia le altissime qualificazioni): è la Trimurti indù. Tali sono i Guna-avatâra. Al di sotto i Lîlâ-avatâra, gli avatâra del “Gioco” divino, che hanno lo scopo particolare di portare a termine una missione di reintegro del Cosmo e/o di sue parti nell'Armonia del Dharma. A tale categoria, appartengono gli avatâra storici, o pre-storici: Râma, Krishna, Buddha, Kalkin (il Decimo e futuro).

Vi sono delle differenze: la tradizione bhaktica afferma che Buddha, reintegrato, sebbene avente rotto l'Induismo e dato origine al Buddhismo, non appartiene a tale flusso, secondo Guénon: “in India, il pianeta Mercurio (o Ermete) è denominato Budha, parola la cui radice significa propriamente la Saggezza” (Guénon, Forme tradizionali e cicli cosmici, Mediterranee 1974, p. 110). Ed in nota: “Non bisogna confondere il nome Budha con quello di Buddha, designazione di Shâkya-Muni, benché entrambi abbiano evidentemente il medesimo significato radicale e benché poi taluni attributi del Budha planetario siano stati trasferiti successivamente al Buddha storico” (ibid.).

Continua istituendo un parallelo, dimostrato dall'etimologia, tra Woden o Wotan, Odino, e Mercurio, assimilato a tale dio non illegittimamente dai Romani antichi, dunque. Inoltre, Quetzalcoatl, detto Votan in altre parti, dell'America precolombiana, ha gli stessi attributi, e si collega col simbolo che è ancora del Messico, ma non più compreso: l'aquila che uccide il serpente, che corrisponde alla lotta tra il Garuda ed il Nâga della tradizione indù; ora, “specialmente nel simbolismo araldico, accade che il serpente sia rimpiazzato dalla spada (sostituzione particolarmente degna di nota, quando questa ha la forma di spada fiammeggiante, peraltro da ravvicinare ai fulmini che tiene l'aquila di Giove), e la spada, nel suo significato più elevato, rappresenta la Saggezza e la potenza del Verbo (si veda, per esempio, Apocalisse I, 16). C'è da rilevare che uno dei principali simboli del Thoth egizio [corrispondente ad Hermes] era l'ibis, distruttore di rettili, divenuto, come tale, simbolo di Cristo, ma nel caduceo ermetico si ha il serpente sotto i suoi due aspetti opposti, come nell'immagine dell'anfisbena medievale (vedi Le Roi du Monde, cap. III, in fine, in nota)” (ibid., p. 111).

In tutto ciò, bisognerebbe davvero essere ciechi per non vedere l'unità di fondo delle dottrine tradizionali, che non nega la Rivelazione, perché Cristo è Re del Mondo, e collegato al Graal ed al Sacro Cuore; ma, si noti, se il Re del Mondo è Cristo è anche Presbyter Johannes. In altre parole, il Cristianesimo medioevale, oggi sopitosi, riconosceva simbolicamente la perfetta ortodossia tradizionale del Cristianesimo, come Guénon dimostrò grazie all'episodio dei Re Magi, e tuttavia il Re del Mondo è anche altro, se non da Cristo Re, dal Cristianesimo storico, ed ecco il mitico Presbyter Johannes (nota il nome) che è non cristiano, ma “amico” dei cristiani. La cecità che impedisce di vedere tale unità, che non implica né l'uguaglianza né l'assenza di differenze, tale cecità, “è fin troppo comune nella nostra epoca, in cui coloro che sanno davvero comprendere i simboli non sono che un'infima minoranza” (ibid.).

Nella tradizione islamica, Seyidnâ Idrîs è assimilato sia con Hermes che con Henoch, il patriarca antidiluviano mai morto. Le scienze ermetiche sono state particolarmente assimilate a Cristo, che corrisponde a Mercurio, come corrispondenza tra Poli (Aqtâb) e pianeti. Nel Medioevo e nel Rinascimento occidentali se n'ebbe la forte consapevolezza, perché Hermes ed i Libri ermetici erano considerati, avendo una dottrina del Verbum, precorritori ed annunciatori del Cristo: si ricordi il famoso affresco della cattedrale di Siena raffigurante Hermes.

C'è poi una serie di oscillazioni sul senso del simbolismo del Cristo, perché da un lato Cristo è collegato a Mikha'él-Metatròn (l'Angelo della Presenza, il Celeste Mediatore), quindi è solare, centrale, dall'altro, essendo sommamente “guaritore”, simbolizza con Repha'él, Mercurio. Ciò spiega come Cristo sia Sol nel Cristianesimo e Mercurius nell'Islamismo. Ma il fatto, dimostrato anche dall'astronomia, è che Sole-Mercurio formano una biunità, cioè non sono separabili. Mercurio, l'Annunciatore divino, non si stacca mai dal Sole per più della minima distanza fra tutti gli astri del sistema solare. Non solo, ma rivolge sempre una stessa faccia al Sole, come fa la Luna rispetto alla Terra: non è un pianeta, ma un satellite del Sole, incomprensibile senza il Sole stesso. La qual cosa stempera il dissidio fra Cristianesimo ed Islamismo su questo punto, senza risolverlo, ma notando che son due visuali legittime, per quanto la natura solare del Cristo sia molto più evidente, nei Vangeli, di quella mercuriale di “guaritore” e “Nunzio” e “Scrittore”, che invece si sottolinea nel Corano.

Il giorno di Cristo è la domenica, dies Solis, la sua festa il Sol Invictus. Il suo essere Re del Mondo conferma la natura solare. In nota, Guénon scriveva, in relazione al rapporto fra Cristo e Mercurio: “È forse [il rapporto Cristo-Mercurio-Budha, e si noti che l'Intellectus, Buddhi, è la natura divina nell'uomo, la goccia divina nell'uomo, anche decaduto, e nonostante tutto, la traccia divina: qui è il fondamento della vera gnôsis] questa l'origine dell'errore di certuni, i quali considerano Buddha come il nono avatâra [come fa Swami Prabhupâda, ed anche Schuon condivide la posizione del grande bhakta] di Vishnu; in realtà, si tratterebbe d'una manifestazione in rapporto con il principio designato come il Budha planetario; in tal caso, il Cristo solare sarebbe propriamente il Cristo glorioso, cioè il decimo avatâra, che dovrà venire alla fine del ciclo” (ibid., p. 113, n.11).

Cioè: se il nono avatâra di Vishnu sia Cristo o Buddha: Guénon propende per la prima idea, Schuon per la seconda, conforme alla tradizione indù. Nella tradizione indù si parla del mleccha-avatâra, che Guénon, ne L'Archeometra, identifica con Cristo (pp. 51-52); ma, a parte il sapere se il nono avatâra sia il mleccha-avatâra - e la dottrina presenta oscillazioni anche qui, e quindi è bene non voler sapere troppo per il semplice fatto che le basi dell'operazione mentale sono malferme su questo punto (così occorrerebbe comportarsi ovunque non vi siano dati sufficienti) - certo è che il punto di vista indù sostiene che il Buddha sia il nono avatâra, la contraddizione con Mercurio si riverbera nel Cristo stesso, solare per il Cristianesimo e mercuriale per l'Islamismo. Insomma, Sol e Mercurius sono strettamente legati. Certo è che tali oscillazioni dottrinali si risolvono soltanto in forma escatologica: il Decimo Avatâra, che è il “Cavaliere sul cavallo bianco” ed il Giudizio, cioè la diretta manifestazione del Divino. Guénon sottolinea poi l'affinità tra Henoch ed Elia, “entrambi assunti in cielo senza essere passati attraverso la morte del corpo” (Forme tradizionali e cicli cosmici, pp. 113-114), il che dimostra che la morte corporale non è un'assoluta necessità, anche se è una quasi necessità, una necessità per l'uomo decaduto. E si spiegano così quei trasferimenti in altri mondi sottili dei quali parlano varie leggende; in tal caso, si parla di trasferimento nei “cieli”, cioè nella manifestazione sovraformale, sovratemporale.

Dopo aver sottolineato la totale mancanza di continuità tra l'Egitto antico e quello arabo (che non esclude sopravvivenza “sethiane” malefiche, in Sudàn, dove, ultimamente, han trovato delle tombe intatte della dinastia nubiana, sudanese, quando conquistò l'Egitto; altro ritrovamento importante: che la più antica carta, di 32.000 “anni” fa, rappresenta Orione, il Cacciatore, collegato alla finis temporum), parla della “Tomba di Ermete”, che altro non è se non la Grande Piramide di Gizah. Chiedendosi di cosa è la “tomba” la Grande Piramide detta di “Cheope”, Guénon afferma: “In ogni caso, non si è mai trovata fino ad ora alcuna tomba nella Grande Piramide; ma anche se ve ne fosse una, ciò non servirebbe a risolvere completamente l'enigma poiché, evidentemente, la cosa non escluderebbe affatto che essa abbia potuto avere nello stesso tempo altre funzioni, magari più importanti”.

Continuando, afferma:

“In effetti, da taluni è detto che la Grande Piramide sarebbe la tomba di Seyidnâ Idrîs, ovverossia del Profeta Henoch, mentre la seconda Piramide sarebbe quella di un altro personaggio che di questi sarebbe stato il Maestro, [...] ma, [...] presa in senso letterale, la cosa si presenterebbe manifestamente assurda, dal momento che Henoch non morì, ma fu trasportato vivo in Cielo; come dunque potrebbe avere una tomba? [...] è questa la spiegazione che ne è data: non il corpo d'Idrîs fu sepolto nella Piramide, bensì la sua scienza; e da ciò taluni deducono che si tratti dei suoi libri [...].

"Certamente sarebbe molto più plausibile che il contenuto di questi libri fosse scolpito in caratteri geroglifici all'interno del monumento; ma, disgraziatamente per questa supposizione, nella Grande Piramide non si trovano né iscrizioni né figurazioni simboliche di alcuna specie.

"Non resta dunque che una sola ipotesi accettabile: ed è che la scienza d'Idrîs sia davvero nascosta nella Grande Piramide, ma perché si trova inclusa nella sua stessa struttura, nella sua disposizione interna ed esterna e nelle sue proporzioni; e tutto ciò che vi può essere di valido nelle «scoperte» che i moderni hanno fatto o creduto di fare a tale proposito non costituisce tutto sommato che qualche infimo frammento di questa antica scienza tradizionale.

"In fondo, questa interpretazione si accorda abbastanza bene con un'altra versione araba sull'origine delle Piramidi, la quale ne attribuisce la costruzione al re pre-diluviano [diluvio di Noè, ] Surîd: questi, avvertito in sogno dell'imminenza del Diluvio, le fece edificare secondo i disegni dei saggi, ed ordinò ai sacerdoti di depositarvi i segreti delle loro scienze ed i precetti della loro saggezza” (ibid., pp. 116-118).

Si parla delle “Colonne”, di Henoch e/o di Seth, e Guénon cita tale tradizione. Secondo Guénon, la seconda Piramide, quella detta di “Chefren”, sarebbe quella di Seth: “se questi fu il maestro di Seyidnâ Idrîs, egli non può essere stato che Seyidnâ Shîth, cioè Seth, figlio d'Adamo; è vero che autori arabi antichi lo designano coi nomi apparentemente strani di Aghatîmûn e di Adhîmûn, ma evidentemente tali nomi non sono altro che deformazioni del greco Agathodáimon che, riferendosi al simbolismo del serpente considerato sotto il suo aspetto benefico, si applica perfettamente a Seth [art. “Sheth”, in Simboli della Scienza sacra: “L'uomo fu un tempo serpente” - proverbio arabo ivi citato - il Kakodáimon essendo Set-Typhon]” (ibid., p. 119). Ambedue, ed è il punto rilevante, Henoch e Seth, con angolazioni differenti, son collegati strettamente al Paradiso terrestre, cosa che fa cogliere l'occasione a Guénon di ribadire che le Piramidi erano luoghi d'iniziazione, come l'uso distorto e deviato del “new age” - per il quale il “sarcofago” della Grande Piramide è “il centro del mondo” e cercano di passarvi la notte - non fa che confermare: se non vi fosse nulla, la controiniziazione che interesse avrebbe a cercare d'usarlo per appropriarsi delle forze psichiche rimastevi collegate?

“Aggiungeremo un'altra osservazione: è detto che Idrîs (o Henoch) scrisse numerosi libri ispirati, dopo quelli scritti da Adamo e da Seth; questi libri furono il prototipo dei libri sacri degli Egizi, ed i «Libri ermetici» più recenti non ne rappresentano in certo modo che un «riadattamento», alla stessa stregua dei diversi «Libri di Henoch», i quali sono pervenuti fino a noi sotto questo nome.

"D'altra parte, i libri di Adamo, di Seth e di Henoch dovevano naturalmente esprimere [...] aspetti differenti della conoscenza tradizionale, giacché implicavano una relazione più particolare con questa o quella scienza sacra, come sempre accade quando si tratta degli insegnamenti trasmessi dai diversi Profeti” (ibid., p. 120).

Secondo Guénon, la terza Piramide, quella detta di “Micerino”, sarebbe collegata ad Adamo, cosicché quest'ultima “debba completare la terna dei grandi Profeti pre-diluviani” (ibid.). Nel precisare che gli egittologi sono ben lungi dall'aver scoperto i “segreti” della “tomba di Ermete”, cioè della Grande Piramide, che ossessiona tanti al giorno d'oggi, perché v'intuiscono la presenza di qualcosa, ma non sanno individuare bene cosa, Guénon concludeva che “i misteri della sua [della “tomba di Ermete”] saggezza e della sua scienza vi sono stati nascosti in modo tale che certo è ben difficile scoprirveli” (pp. 122-3).

Dava una notazione importante, sui tre Ermeti, come tre son le Piramidi di Gizah: “Questa «triplicità» [degli aspetti di Hermes] ha d'altronde ancora un altro significato, trovandosi talvolta sviluppata sotto la forma di tre Ermeti distinti: il primo, chiamato «Ermete degli Ermeti» (Hermes al-Harâmesah), e considerato come pre-diluviano, è quello che s'identifica propriamente a Seyidnâ Idrîs; gli altri due, post-diluviani, sono l'«Ermete babilonese» (El-Bâbelî) e l'«Ermete egizio» (El-Miçrî). Ciò sembrerebbe indicare abbastanza nettamente che le due tradizioni caldea ed egizia deriverebbero direttamente da un'identica fonte principale, la quale, dato il carattere pre-diluviano che le è riconosciuto, non può che essere la tradizione atlantidea” (ibid., p. 122).

Oltre ai Lîlâ-avatâra, vi sono i Manvantara-avatâra, come ti dicevo parlando dei Manu. Ecco i nomi dei Manu del nostro Manvantara: “Il primo è Svâyambhuva, ed è figlio di Brahmâ. Il secondo Manu, Svârociça, è figlio della divinità del fuoco. Il terzo Manu è Uttama (...). Il quarto [...], Tâmasa, è fratello di Uttama” (A.C. Bhaktivedânta Swami Prabhupâda, Shrî Chaitanya. Gli insegnamenti di Shrî Chaitanya Mahâprabhu, cit., pp. 64-65). Poi vengono Raivata e Châkshuça, tutt'e due fratelli di Tâmasa. “Il settimo Manu si chiama Vaivaswata, ed è figlio del dio del sole” (ibid., p. 65), il nostro Manu. Dall'ottavo in poi, hanno tutti il nome di Sâvarni, con il nome della divinità che “fan discendere” che li qualifica. Il prossimo è proprio Sâvarni, che anch'egli è figlio del Sole, poi il figlio di Varuna verrà; poi: Brahmâsâvarni, Rurdasâvarni, Dharmasâvarni, Devasâvarni ed Indrasâvarni. Per completare il quadro, vi sono ancora gli shaktyâveça-avatâra, quelli cui il Signore Supremo dà un potere particolare (una shakti, come dice la parola), come Parashu-Râma, ed i yuga-avatâra, incaricati di far discendere la maniera più giusta d'adorare il Divino a seconda degli Yuga (cioè le età, dell'oro, dell'argento, del bronzo, del ferro, divisione interna al Manvantara stesso), e che son collegati ai colori degli yuga, di cui ecco l'elencazione discendente secondo il procedere del tempo: bianco (prima età), rosso (seconda età), nero (terza età), nero e giallo (quarta età).

 

[11.2.2003]

 


Nota
a) I grassetti nelle citazioni da Guénon sono sottolineature dell'Anonimo.
b) Sono state ampiamente citate nel testo le seguenti opere:
# René Guénon (Palingénius), L'Archéomètre, serie di articoli pubblicati da Guénon (in quanto direttore, ma scritti - sembra - da altri, salvo qualche nota) su La Gnose,1910-12, trad. it. di Luigi Mancuso: L'Archeometra, Atanòr, Roma, 1986;
# René Guénon, Le Roi du Monde, 1927, trad. it. di Bianca Candian: Il Re del Mondo, Adelphi, Milano, 1977;
# René Guénon, Symboles fondamentaux de la Science sacrée, 1962, trad. it. Francesco Zambon: Simboli della Scienza sacra, Adelphi, Milano, 1975;
# René Guénon, Formes traditionnelles et Cycles cosmiques, 1970, trad. it. Giuseppe Del Ninno: Forme tradizionali e cicli cosmici, Mediterranee, Roma, 1974;
# A. C. Bhaktivedânta Swami Prabhupâda, Teachings of Lord Caitanya, trad. it.: Shrî Chaitanya. Gli insegnamenti di Shrî Chaitanya Mahâprabhu, Ediz. Bhaktivedânta, Roma, 1985.

  


Anonimo è un corrispondente con cui ebbi uno scambio epistolare (di cui mantengo la documentazione) tra il 2001 e il 2003. Accettò di essere pubblicato ma solo in forma anonima. Queste su SuperZeko sono le uniche edizioni autorizzate; chiunque abbia pubblicato questi testi altrove, l'ha fatto senza autorizzazione.

Dario Chioli, 23/4/2013

 

 

Se vuoi invia un commento, specificando da che pagina scrivi:

scrivi@superzeko.net

Sommario